Editoriale
I tempi della storia non si lasciano imbrigliare dalle previsioni ordinarie. In un mondo abituato da secoli al dominio incontrastato sulla natura, in cui le potenti forze del capitalismo monopolistico determinano le sorti dell’intera umanità, un virus invisibile all’occhio umano, mette in crisi le certezze dell’ordine economico e le convinzioni ideologiche che ne hanno costituito le difese più inespugnabili. La storia inizia a correre più veloce.
In poche settimane, le contraddizioni materiali di un modello di società insostenibile, vengono allo scoperto. L’insieme delle sovrastrutture capitalistiche e dei loro attori, dai governi al sistema mediatico, non riesce più a filtrare agli occhi delle masse il vero volto del capitalismo,
mettendone in luce la natura predatoria e ingiusta. Il conflitto capitale-lavoro emerge nella sua centralità: tutto può fermarsi tranne i profitti dei padroni. La stessa salute collettiva, e la tutela della vita che le Costituzioni borghesi sulla carta assumono come principi fondamentali, in nome dei quali diventano sacrificabili anche le libertà assolute, cede il passo di fronte alla Costituzione reale di ogni paese capitalistico: l’interesse del capitale è il fine ultimo, la sua difesa il principio fondamentale che non necessita di essere scritto per venire quotidianamente applicato.
Anni di teorie sulla fine della centralità del conflitto capitale/lavoro, sulla fine del ruolo della classe operaia sono spazzate via dalla fredda compilazione, sotto pressione di Confindustria, di una lista dei settori produttivi essenziali.
Tutti parlano di necessità di cambiamento. Persino nel desiderio umano del ritorno alla normalità, si percepisce che quella normalità è parte del problema, e che nulla potrà semplicemente tornare come prima. Il sistema delle alleanze internazionali viene messo in crisi: ciò che per anni ha covato sotto l’apparenza in modo più o meno esplicito oggi esce allo scoperto.
Ciò che si apre davanti a noi è uno scenario di crisi organica, nella quale tutto cambierà. La questione è stabilire la natura di questo cambiamento, chi ne assumerà la direzione, in nome di quali interessi avverrà.
Non bisogna illudersi: la storia ha insegnato a caro prezzo che il mutamento anche repentino delle condizioni materiali non è di per sé in grado di assicurare una via di uscita in senso progressivo dalle crisi.
L’impatto di questa crisi è già paragonabile a quello di una guerra quanto a distruzione di forze produttive, costi sociali e prezzo che verrà richiesto alle classi popolari. Ma anche il grande capitale è irrequieto, perché gli eventi di questi giorni hanno amplificato i conflitti al vertice; la media borghesia è sul piede di guerra perché la pandemia è una spinta micidiale e senza ritorno verso una ulteriore centralizzazione e concentrazione capitalistica, che abbassa le condizioni di vita degli strati intermedi e riduce gli spazi di sopravvivenza delle forme di produzione e distribuzione non più al passo con i mezzi tecnologici oggi a disposizione.
Si invoca una direzione salda. Si chiede apertamente l’uomo forte al potere. Si apre lo scenario di una possibile nuova stretta reazionaria, per la quale nella società italiana e occidentale sono da tempo presenti tutti gli ingredienti necessari, ad eccezione di un conflitto sociale che ne renda indispensabile la piena applicazione. Dove il capitale non riuscirà più con la propria egemonia ideologica, la strada è la coercizione.
I capitalisti fanno appello al nazionalismo, per legare i propri destini a quelli delle classi oppresse e impedirne una presa di coscienza autonoma. Gli alfieri più convinti del neoliberismo si riscoprono improvvisamente keynesiani e statalisti: si invocano nazionalizzazioni e contributi statali, si chiede di ridurre l’indebitamento privato per sostituirlo con quello pubblico, non volendo di certo l’ampliamento delle politiche sociali, ma semplicemente che i costi delle perdite private siano socializzate e ricadano sulle classi popolari. Nel cambiare tutto, in modo Gattopardesco, in realtà non si vuole cambiare nulla: sostituire l’apparenza con una nuova, per lasciare i rapporti sociali invariati.
Ecco perché sbagliano quanti credono che il lavoro sia già compiuto: la storia lavora per noi, ma non al nostro posto.
La tentazione di salutare con entusiasmo la nuova, conclamata crisi del capitalismo deve cedere il passo a un lavoro organizzato e meticoloso che tessa le reti della società futura che vogliamo costruire, dirigendo ogni energia nell’abbattimento del vecchio per lasciare spazio al nuovo.
A questo appuntamento, ancora una volta la classe operaia e le masse popolari giungono impreparate. Prive di validi strumenti politici, che mancano dell’autorevolezza, del riconoscimento e soprattutto dell’organicità necessaria a poterne dirigere attivamente la lotta.
Anni di strategie errate, spesso superate solo a parole ma riconfermate sotto nuove apparenze nei fatti, impediscono oggi – nel momento in cui la storia chiama – di poter disporre di forze già pronte e strutturate da rivolgere immediatamente nella direzione necessaria.
Il quadro non muta sul fronte sindacale, che per certi versi è anche più frammentato e fiaccato da anni di attacchi diretti, riforme e complicità da parte delle dirigenze sindacali confederali.
Ma non tutto è perduto. All’arrendevolezza delle dirigenze sindacali confederali, si contrappone oggi la presenza di scioperi e mobilitazioni, anche spontanee, dei lavoratori che acquisiscono coscienza della propria condizione e si pongono sul terreno della lotta. Esistono settori sindacali di lotta e quadri di altissimo valore che muovono ogni giorno il conflitto di classe nei propri luoghi di lavoro e in tutto il Paese. Esiste una parte della gioventù italiana che alle parole d’ordine dei comunisti si è dimostrata sensibile, grazie al lavoro importante che proprio sui giovani è stato condotto conciliano coerenza nei principi, e modernità delle forme.
Esiste ormai una condivisione generale e diffusa tra le forze marxiste-leniniste sull’impossibilità di far avanzare la prospettiva comunista all’interno di alleanze con le forze borghesi, che esclude la compartecipazione dei comunisti alla gestione del potere capitalistico.
Esistono forze sane e vitali che spingono per compiere fino in fondo il processo di superamento delle residue concezioni opportunistiche, per dare al movimento comunista in Italia una forma compiuta, superando gli attuali limiti senza abiurare ai principi di autonomia e indipendenza di classe, trovando una capacità di azione comune in una strategia e in una chiara direzione rivoluzionaria.
Tutte queste forze devono connettersi.
I tempi della storia non si accomodano alla nostra arretratezza. Se la storia brucia le tappe, noi dobbiamo fare altrettanto, e prepararci da subito alla stagione di conflitto sociale che già si prospetta all’orizzonte.
“L’Ordine Nuovo” è un collettore di idee e un catalizzatore di forze: un luogo di confronto per far avanzare l’unità comunista sulla base di una condivisione reale di prospettiva strategica che solo la discussione e il dibattito nella piena franchezza delle posizioni possono ottenere.
È il luogo della costruzione di una rete nazionale sui luoghi di lavoro, che rafforzi la prospettiva rivoluzionaria; sostenga le lotte contribuendo a trasformarle da parziali in lotta generale; elevi la coscienza di classe, che lavori per dirla con Marx, per “costituire il proletariato in classe” pienamente cosciente del suo ruolo storico. “L’Ordine Nuovo” è protagonismo diretto dei lavoratori, voce delle loro lotte, animatore permanente del conflitto di classe, luogo di diffusione della cultura operaia e della lotta teorica, politica e economica.
“L’Ordine Nuovo” è un luogo di analisi e sviluppo di strategie. Perché il marxismo-leninismo è cosa viva e vitale quando riesce a far vivere i principi fondamentali nella costante analisi del mondo reale, nell’evolversi dei processi produttivi e, con essi, dell’insieme della società. Essere marxisti non è adorare feticci, non è santificare le feste, non è liturgia, non è chiudersi nelle proprie stanze: è teoria e prassi rivoluzionaria. Per questo “L’Ordine Nuovo” è luogo dell’unità tra lavoro intellettuale e materiale, che unisce e lega l’esperienza e le capacità per metterle al servizio dell’emancipazione della classe operaia.
“L’Ordine Nuovo” lega ogni rivendicazione parziale all’obiettivo generale. Dalle questioni strutturali dell’economia e del lavoro ad ogni battaglia per i diritti, dalle moderne rivendicazioni sul piano ambientale, alla lotta contro ogni deriva reazionaria: la lotta contro le contraddizioni parziali deve mirare al superamento del sistema che le genera, e rivolgere così ogni forza nuova nella direzione del rovesciamento dei rapporti sociali capitalistici.
Assumendo questo nome richiamiamo l’esperienza del gruppo animato da Gramsci, che fu tra i protagonisti della nascita del Partito Comunista d’Italia animando la prospettiva rivoluzionaria all’interno del PSI e le lotte operaie torinesi.
Per questo non sarà uno spazio di proprietà di nessuno, ma un patrimonio collettivo di parte, aperto cioè al dibattito e al contributo di tutti coloro che condividono la nostra prospettiva.
In un mondo in cui tutti vogliono cambiare, i politici, persino gli industriali e i grandi magnati dell’economia, definiamo il nostro fine. Il cambiamento necessario della nostra epoca è il rovesciamento dei rapporti sociali capitalistici, è il potere nelle mani dei lavoratori, la rottura delle alleanze imperialiste che in nome degli interessi del capitale monopolistico schiacciano le condizioni di vita dei popoli.
L’ordine nuovo che vogliamo costruire è la società socialista-comunista. Ma la semplice affermazione del fine non lo realizzerà. Non è tempo di fare sfoggio di massimalismo inconcludente. È tempo di agire. Per costruire l’ordine nuovo, è necessario liberare le forze che in potenza già esistono, dare ad esse coscienza e organizzazione.
Questo il compito che insieme ci poniamo, per proiettare il movimento comunista in una prospettiva superiore, per contribuire al compimento del nostro compito storico, per rovesciare questo sistema e liberare il futuro che oggi resta imprigionato nel vecchio e stantio ordine capitalistico.
Le pubblicazioni de “L’Ordine Nuovo” inizieranno da lunedì 6 aprile 2020