Covid-19: cronaca di un disastro sanitario annunciato
-
La pandemia COVID-19. La situazione in Italia: un disastro annunciato
L’emergenza, connessa alla pandemia di COVID-19, ha evidenziato il drammatico stato di disastro del sistema sanitario in Italia, nell’UE e in molti altri paesi del modo e, più in generale, ha messo a nudo, anche per i più restii a vederle, le contraddizioni insanabili di un modo di produzione, quello capitalistico, basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e sulla massimizzazione del profitto, rivelandone il carattere non solidaristico, cinico, in definitiva antiumano.
Balzano agli occhi le drammatiche carenze di strutture sanitarie (ospedali e posti letto), di apparecchiature biomedicali (ventilatori, dispositivi per la respirazione artificiale, ecc.), di medicinali di supporto ai malati terminali (antidolorifici, sedativi, morfina), dei tamponi per la rilevazione del virus, ma, soprattutto, di personale medico, infermieristico e ausiliario.
I lavoratori della sanità, già largamente sottodimensionati in regime normale (ancora prima dell’emergenza, la sanità pubblica accusava la mancanza di almeno 46.000 operatori, di cui 8.000 medici), sono costretti a turni di lavoro massacranti, il più delle volte senza disporre dei necessari DIP (dispositivi individuali di protezione),
con gravissimo pericolo per la propria salute, subendo spesso la beffa di dover pagare addirittura la sosta delle proprie autovetture nei parcheggi degli ospedali, gestiti in concessione da società di diritto privato. Nei reparti non direttamente coinvolti in prima linea nella lotta al virus, quando l’Azienda Sanitaria Locale non è in grado di garantire ai lavoratori i DIP prescritti per legge, di concerto con le Regioni, si ricorre al trucco di declassare il livello di rischio del servizio, per obbligare i lavoratori ad operare comunque, anche in assenza delle minime condizioni di sicurezza. L’effettivo livello di positività al virus tra il personale medico-sanitario è difficile da quantificare, poiché raramente e non in tutte le regioni vengono prelevati i tamponi, stante la loro scarsità, se non al manifestarsi di sintomi conclamati. I casi positivi, quindi, sono presumibilmente superiori a quanto ufficialmente annunciato, anche perché spesso il virus è asintomatico e non viene rilevato senza tamponatura.
Più in generale, i bollettini forniti dalla Protezione Civile al 31 marzo 2020, parlano di una diminuzione del numero di nuovi contagi, ma anche di una diminuzione del numero di tamponi effettuati. In tali condizioni, non si può affermare che siamo effettivamente in presenza di un inizio di appiattimento della curva del contagio, poiché, come si può vedere in fig. 1, il numero dei nuovi contagi accertati e dichiarati è strettamente correlato al numero dei tamponi effettuati e diminuisce in perfetta corrispondenza con quest’ultimo[1].
Lo stesso vale per il tasso di mortalità da COVID-19, in quanto tiene conto soltanto dei decessi in strutture ospedaliere di individui tamponati per sintomi conclamati, ma non delle possibili vittime, decedute nelle proprie case e non tamponate. Il dato sulla diminuzione dei ricoveri è semplicemente irrilevante in termini di diffusione della malattia, in quanto riflette solo la saturazione delle strutture ospedaliere.
L’evidente manipolazione dei dati forniti acquista ancora maggiore rilevanza in relazione alle forti pressioni di Confindustria e del padronato tutto per una rapida riapertura delle attività produttive temporaneamente chiuse per limitare i contagi. Attraverso testate giornalistiche e esponenti politici a loro legati (Renzi e Salvini in testa, ma non solo), i padroni hanno lanciato una campagna che volutamente minimizza il rischio che la ripresa delle attività in regime normale comporterebbe per i lavoratori e la salute pubblica e, per contro, diffonde notizie allarmistiche sulle conseguenze di un prolungamento del lockdown per disorientare i lavoratori e carpirne il consenso ad un’eventuale riapertura anticipata, creando panico sulle loro prospettive occupazionali e reddituali. In questa direzione sembra andare anche l’eccessiva leggerezza nelle dimissioni dei cosiddetti guariti, ai quali, scomparsi i sintomi, non viene rifatto il tampone per accertare anche la scomparsa del virus. Dimissioni, quindi, affrettate per alleggerire il sovraccarico degli ospedali, senza accertare se il paziente è ancora positivo e potenzialmente contagioso. A mettere in dubbio la veridicità dei dati ufficiali sono anche fonti non sospette. Come riferisce La Stampa: “…le statistiche potrebbero ingannare. Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, ripete da giorni l’allarme: «Il numero dei contagiati e dei deceduti è sicuramente più alto di quello che viene comunicato». Quanto, con precisione, non lo sa nessuno: «Tre, quattro volte di più? Chi fa il tampone ormai è una minoranza. Si muore a casa, nelle RSA degli anziani, sulle ambulanze»“[2].
Nei fatti, la borghesia capitalistica di tutti i paesi si dibatte tra due strategie opposte. La prima, simile a quella inizialmente adottata da Trump e Johnson, basata sulla teoria della “immunità di gregge” tutta da dimostrare scientificamente, propende per ridurre al minimo le misure contenitive del contagio, favorendo ipoteticamente il raggiungimento del picco e il ritorno alla normalità in un periodo più breve, con minori conseguenze negative sul PIL e, soprattutto, sui propri profitti, ma con un maggior numero di esclusi dall’assistenza sanitaria per limiti di capacità ricettiva e, quindi, di vittime.
La seconda, invece, prevede l’applicazione di misure restrittive di contrasto al contagio (isolamento sociale, chiusura di attività non essenziali, ecc.) più prolungate, in modo da spalmare il numero dei contagiati su un arco temporale più lungo, rendendolo compatibile con la capacità del sistema sanitario, probabilmente con un minor numero di morti, ma con un maggiore impatto su PIL e profitti, questi ultimi comunque compensati da sussidi statali. Queste due posizioni sono graficamente illustrate, per maggior chiarezza, in fig. 2.
Entrambe, a nostro parere, sono strategie sbagliate, in quanto non considerano di agire sulla terza variabile, cioè sulla capacità del sistema sanitario e del suo indotto. Il grafico evidenzia come un innalzamento del livello di capacità del sistema consentirebbe di elevare il punto di picco della curva gaussiana verde, riducendo i tempi di ritorno alla normalità senza precludere a nessuno l’assistenza sanitaria. Il loro potenziamento immediato con ogni misura possibile, ordinaria e straordinaria, è l’unica via per uscire dalla falsa scelta tra PIL e vite umane e permetterebbe di aumentare l’occupazione e l’offerta di servizi qualificati, rispondenti ai bisogni del popolo, sostenendo così la domanda aggregata attraverso l’investimento pubblico,con un effetto antirecessivo.
Nella sanità, oltre alle carenza strutturali, si rilevano non meno preoccupanti ritardi e deficienze organizzative nell’affrontare l’emergenza che si accompagnano alla mancanza di una strategia centralizzata e univoca di lotta alla malattia, con differenze da regione a regione.
Stupisce che non si sia pensato da subito a dedicare strutture sanitarie alla terapia intensiva da COVID-19 in via esclusiva, per garantire il necessario isolamento e evitare il contagio tra il personale sanitario e i degenti degli altri reparti ospedalieri. Inoltre, si sono verificati casi di pazienti sintomatici, affetti da corona-virus, che hanno rifiutato il ricovero in ospedale e, dopo avere firmato la manleva, sono stati inviati alle proprie case in quarantena domestica, senza ricorrere, come si sarebbe dovuto, al ricovero coattivo. Infine, sono abbandonati a sé stessi altri malati, affetti da patologie diverse, anche gravi, a causa della riconversione di molti reparti alla cura del COVID-19.
In tutto il paese, la mancanza di mascherine, guanti e disinfettanti favorisce la diffusione del virus e espone i lavoratori e la popolazione tutta al contagio. Da parte degli alleati tradizionali dell’Italia in ambito UE e NATO e di alcuni paesi “amici” vi è stato un comportamento cinico, al limite dello sciacallaggio. Decine di milioni di mascherine, comprate da aziende italiane da paesi che non avevano introdotto il blocco delle esportazioni di tali presidi sanitari, sono state bloccate durante il transito in dogana in Francia e Germania (sbloccate il 22 marzo, dopo giorni di trattative diplomatiche e un intervento diretto di Ursula Von der Leyen e restituite ai destinatari), Repubblica Ceca, Polonia e Turchia (confiscate). L’Egitto, paese con cui l’ENI ha un importante contratto di concessione per lo sfruttamento di giacimenti sottomarini, sta bloccando una fornitura di mascherine acquistata in India. Questi fatti ci confermano che le alleanze tra paesi imperialisti, come ci ha insegnato Lenin, sono instabili e temporanee e non sfuggono alla legge della concorrenza generalizzata. La principale ragione che muove i comportamenti internazionali dei paesi imperialisti è l’acquisizione di vantaggi economici sui concorrenti, ancorché “alleati”, anche sfruttando momenti di difficoltà o tragedie umanitarie, per consolidare la propria posizione. L’UE non riesce a trovare una linea univoca di lotta concreta, immediata, al virus, per la protezione delle persone, mentre la BCE adotta una linea forzatamente comune a tutti i paesi UE che, però, si preoccupa di proteggere i mercati e la moneta comune dagli effetti devastanti della crisi post-virale, non i popoli.
Ci preme sottolineare come questo non sia uno scontro tra “stati ricchi e stati poveri”, tra “Nord e Sud” dell’Europa e del mondo, come affermano pseudoscientifiche teorie geopolitiche, ma sia una questione legata alla natura del capitalismo nella sua fase imperialista e agli interessi di classe delle oligarchie finanziarie di ogni paese, ugualmente colpevoli a qualsiasi latitudine, inevitabilmente opposti a quelli del proletariato e dei loro stessi popoli.
Anche gli “imprenditori” italiani speculano e cercano di trarre profitti straordinari dalla situazione, come testimoniano i numerosi tentativi di esportazione, illegale per via del blocco imposto dalle disposizioni governative, di mascherine e altri presidi sanitari deficitari per rivenderli a prezzi maggiorati su internet, o le forniture alla sanità pubblica di materiali non utilizzabili per mancanza di requisiti qualitativi.
L’Italia si è trovata, quindi, in una situazione di dipendenza dall’estero per la fornitura dei dispositivi di protezione e delle apparecchiature biomedicali, paradossalmente alimentata dalla formulazione stessa dei decreti che avrebbero dovuto alleggerirla. Oltre a consentire la produzione di questi materiali senza obbligo di certificazione da parte dell’Istituto Superiore di Sanità per ragioni d’urgenza, anche la loro importazione è stata consentita sulla base di una semplice autocertificazione. Ciò ha favorito i profitti degli intermediari commerciali, facilitati nell’importazione di mascherine e altri prodotti sanitari, spesso privi dei requisiti qualitativi, che rivendono a prezzi gonfiati, mentre la produzione nazionale, anche tenendo conto delle poche riconversioni, resta ferma su quantità largamente insufficienti. La stessa riconversione di singoli reparti di grandi aziende alla produzione di mascherine e apparecchiature sanitarie si sta rivelando un trucco dei padroni per mantenere aperti tutti gli stabilimenti e sfuggire alla chiusura forzosa in modo perfettamente legale.
Occorre fare chiarezza anche nella questione degli aiuti internazionali, distinguendo tra gli aiuti veri e propri, a titolo non oneroso, concordati a livello intergovernativo e altre forniture commerciali, provenienti dagli stessi paesi. Nella indifferente latitanza degli “alleati occidentali” dell’Italia, stati diversi hanno inviato un proprio contributo al nostro paese, a titolo di pura solidarietà. Cuba socialista, forte del suo sistema sanitario all’avanguardia nonostante l’embargo e dell’esperienza acquisita in Africa nella lotta contro Ebola, l’Albania e la Russia, grazie a quanto ereditato dallo sviluppo della medicina socialista, la Cina, grazie alla recente esperienza di contenimento del virus. A questi paesi deve andare un sincero ringraziamento del popolo italiano per gli aiuti inviati, evitando inutili dietrologie su presunti secondi fini di quei governi.
Tuttavia, bisogna tenere presente che, oltre alla solidarietà, esistono contratti commerciali a titolo oneroso con Cina e Russia per la fornitura di materiali e attrezzature sanitarie, sia pure a condizioni di priorità per l’acquisto[3]. Non tutto ciò che proviene da quei paesi, quindi, può essere inteso come atto di generosità nei confronti del paese, in quanto una parte consistente è a pagamento. Avere ottenuto dal governo cinese condizioni di priorità d’acquisto di forniture sanitarie, tra l’altro, garantisce al capitale italiano un vantaggio tattico sugli alleati-concorrenti, consentendogli di diventare veicolo d’ingresso preferenziale di tali prodotti sui mercati europei.
Le grandi potenze sono ben consce del fatto che la pandemia porterà a grandi mutamenti sul piano economico, sociale e politico, non tanto in termini di cambiamento dei rapporti di produzione capitalistici, impossibile in assenza dell’azione di un soggetto rivoluzionario organizzato e con un seguito di massa, quanto in termini di una “spartizione” del mondo in nuove sfere di influenza tutta interna al sistema imperialista e, di conseguenza, sono impegnate in una battaglia mediatica senza quartiere per promuovere la propria immagine e manipolare il consenso dell’opinione pubblica mondiale. Questo spiega anche l’impegno e la profusione di risorse da parte degli USA non in opere di solidarietà, ma nella denigrazione, attraverso i mezzi di comunicazione di massa, del valore degli aiuti da parte dei paesi concorrenti.
La scarsità di presidi sanitari determina esorbitanti aumenti ingiustificati dei loro prezzi, sia sul mercato reale che nell’e-commerce. Se l’inflazione misurata sull’indice dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati (CPI) registra un calo, passando dallo 0,488% di gennaio al 0,293% di febbraio[4] e quella misurata sull’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC) diminuisce dallo 0,3% di febbraio allo 0,1% di marzo, per contro i prezzi dei generi alimentari schizzano dallo 0,3% di febbraio al 1,2% di marzo[5], evidentemente in correlazione con speculazioni che sfruttano il panico da corona-virus. Il governo italiano non ha preso, né sembra volerlo fare, nessuna misura per impedire gli aumenti ingiustificati dei prezzi al consumo dei generi di prima necessità e dei presidi sanitari, continuando ad affidarsi all’anarchia del mercato e a consentire profitti speculativi al capitale, senza neppure pensare a tutelare il potere d’acquisto dei lavoratori.
-
La pandemia di COVID-19. Le cause del tracollo del sistema sanitario italiano
In generale, le cause del disastro in cui versa il sistema sanitario sono imputabili alle politiche di rigore di bilancio e di stabilità monetaria, concordate tra i governi borghesi e attuate dall’UE e dalla BCE nell’interesse del capitale finanziario di cui sono espressione. Con l’adozione dell’euro, la stabilità monetaria è divenuta una delle principali preoccupazioni dell’UE e dei suoi organi, perseguita attraverso il contenimento dell’inflazione (almeno fino alla crisi del debito sovrano e al Quantitative Easing) e vincoli stringenti di riduzione dell’incidenza del deficit e del debito pubblico sul PIL, con l’obiettivo del pareggio del bilancio degli stati dell’Eurozona. Per il raggiungimento degli obiettivi sono state attuate politiche di riduzione della spesa pubblica, con tagli lineari ai servizi pubblici essenziali, tra cui l’assistenza sanitaria, di privatizzazioni che, unitamente alla riduzione di salari, stipendi e pensioni, hanno contribuito a comprimere la domanda aggregata con un effetto depressivo sull’economia, aggravato dalla crisi di sovrapproduzione e sovraccumulazione del 2008. In altre parole, anziché partire dai bisogni della popolazione, i governi borghesi e l’UE tengono in principale considerazione indicatori monetari, parametrati sugli interessi del capitale finanziario.
In particolare, per quanto riguarda il nostro paese, questa linea comune del capitalismo europeo è stata perseguita con criteri attuativi e scelte politiche peculiarmente italiane.
L’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale con la L. 833/1978 aveva abolito la giungla del precedente sistema mutualistico, unificando la sanità pubblica in un sistema omogeneo che superasse differenze di trattamento per territorio o censo, facilitasse l’accesso alle cure anche attraverso la creazione della rete dei medici di base e sancisse il diritto a prestazioni mediche gratuite per tutti. Questo, almeno, nelle intenzioni.
Le successive riforme del settore[6] hanno stravolto la natura del SSN prevista dalla legge istitutiva, burocratizzandolo e introducendo il pagamento parziale di alcune prestazioni. In particolare, la “riforma Bindi” del 1999 (governo D’Alema I, con la partecipazione del PdCI) sanciva la definitiva trasformazione delle USL in aziende con vincoli di bilancio, stabiliva i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e il pagamento del ticket per usufruire del servizio. Il successivo “decreto Balduzzi” del 2012 (governo Monti) peggiorava ulteriormente la situazione con l’introduzione del super-ticket e la revisione dei LEA. L’aziendalizzazione ha di fatto trasformato le strutture sanitarie pubbliche in entità simili a quelle private dal punto di vista gestionale, finalizzate alla “redditività” del servizio, che diventa il vero obiettivo dei dirigenti-manager, spesso nominati più per meriti politici che professionali, al posto della cura dei malati. Questo senza contare il gravissimo colpo inferto alla sanità pubblica dalla modifica del Titolo V della Costituzione con L. Cost. 3/2001, che ha attribuito alle regioni piena autonomia in materia di sanità, creando di fatto un “federalismo sanitario”, accrescendo la burocratizzazione del sistema, creando gravi diseguaglianze territoriali e scaricando i maggiori costi sugli utenti. Grazie alla burocratizzazione e alla regionalizzazione dei servizi si sono moltiplicati i dirigenti con laute retribuzioni, mentre sono stati ridotti i posti letto e gli organici del personale medico e paramedico necessario. Le forze politiche, dalla Lega al PD, passando per il M5S e i governi borghesi intendono proseguire sulla strada del federalismo regionale con la linea delle “autonomie differenziate”, una via che investirà anche altri settori, porterà a ulteriori tagli e scadimento qualitativo dei servizi, a nuove disparità nella loro erogazione e, in definitiva, ad un peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori.
In termini di spesa sanitaria in quota PIL, l’Italia si colloca sostanzialmente in linea con gli altri paesi UE, al di sotto della media dell’UE (13° posto) ma al di sopra di quella dell’OCSE (20° posto), con meno del 6,5%, un trend costantemente decrescente dal 2015 e un livello al di sotto di quello del 2012, come mostrato in fig. 3.[7]
Se si considera la spesa sanitaria pro-capite, l’Italia si colloca al 18° posto tra i paesi OCSE (dati a prezzi correnti e parità di poteri d’acquisto), sensibilmente al di sotto della media. Per tasso di crescita della spesa sanitaria pro-capite corrente in termini reali , siamo addirittura al 33° posto in classifica con un +0,2% annuo, immediatamente prima del Messico e a grande distanza dalla media OCSE[8].
In Italia il SSN spende mediamente 2.545 dollari per cittadino, circa la metà di quello che spende la Germania, una cifra insufficiente, secondo l’Ufficio Parlamentare di Bilancio[9], 564 dollari in meno della media degli altri paesi OCSE, nonostante la ben più elevata età media della popolazione italiana.
In termini assoluti, nel ventennio 2001-2019 la spesa sanitaria è cresciuta in valore nominale fino agli attuali 8,8 miliardi del Fabbisogno Sanitario Nazionale (FSN). In realtà, i dati ufficialmente presentati sono a prezzi correnti, anziché a prezzi costanti, quindi non tengono conto dell’inflazione, in particolare dell’aumento dei prezzi dei prodotti sanitari, più elevato rispetto a quello di altre merci. Il finanziamento pubblico del SSN è aumentato in termini nominali in media dello 0,9% annuo, un tasso inferiore a quello dell’inflazione media annua, pari a 1,07%[10], fatto che ha determinato una diminuzione media annua in termini reali pari a -0,17%.
All’erosione inflattiva si sono aggiunti tagli e definanziamenti degli aumenti di spesa sanitaria previsti in misura di 37 miliardi di euro nel solo decennio 2010-2019, operati dai vari governi succedutisi, primo fra tutti il governo Monti, che da solo tagliò ben 25 miliardi[11].
Difficilmente si può credere a quanto annunciato dal DEF 2019, che comunque prevede per il triennio 2020-2022 un’ulteriore diminuzione dell’incidenza della spesa sanitaria al 6,4% del PIL nel 2022, per le seguenti ragioni:
- il DEF 2019 si basava su una previsione di crescita del PIL al 2,5%, già rivista al ribasso e totalmente irreale in considerazione delle conseguenze recessive della pandemia di COVID-19;
- un aumento di spesa nominale dell’1,4% non coprirà neppure l’effetto dell’inflazione e si tradurrà in un’ulteriore diminuzione della spesa sanitaria in termini reali;
- l’esperienza insegna che le somme previste dai vari DEF sono sempre state regolarmente definanziate dalle successive Leggi di Bilancio, come si vede nella fig. 4.[12]
Come giustamente rileva l’Osservatorio GIMBE, “le previsioni sul rapporto spesa sanitaria/PIL smentiscono l’inversione di tendenza incautamente annunciata dal Premier Conte nel giugno 2018 […] e sono identiche a quelle dei DEF (e dei Governi) precedenti, dove all’incremento atteso della crescita economica corrisponde sempre una riduzione del rapporto spesa sanitaria/PIL“[13], a testimonianza del fatto che i governi borghesi non sono credibili.
Se consideriamo la composizione della spesa sanitaria, anche solo considerando valori nominali, possiamo notare che la spesa sanitaria corrente coperta dall’amministrazione pubblica in quota della spesa totale diminuisce, passando dal 76,13% del 2012 al 74,23% del 2018, mentre aumentano il peso della sanità integrativa (assicurazioni volontarie sottoscritte dal cittadino) dal 2,2% al 2,7% e quello della spesa sanitaria out-of-pocket (pagata direttamente dal cittadino) dal 21,7% al 23,08%[14], la percentuale più alta in tutta l’UE, dove la spesa out-of-pocket è pari mediamente al 15,8%[15]. Assistiamo quindi ad un graduale disimpegno dello stato nella tutela della salute del popolo, sul quale di fatto grava ormai il 25,77% della spesa sanitaria, con un crescente numero di persone (le stime parlano di un numero tra i 5 e i 12 milioni di italiani, ma l’intervallo troppo ampio per rendere attendibili i dati, ragionevolmente attestati intorno a 8 milioni) che sono costrette a rinunciare alle cure mediche per motivi di reddito o di lunghezza dei tempi d’attesa.
Passando dagli indicatori economico-finanziari a parametri più direttamente tangibili e sofferti dall’utenza, il disastro della sanità italiana è ancora più evidente.
Il totale dei posti letto è sceso da 530.000 nel 1981 a 215.000 nel 2016[16], letteralmente dimezzato. Da un numero di 99 letti ogni 10.000 abitanti nel 1978, anno d’istituzione del SSN, siamo passati a 34 letti ogni 10.000 abitanti (- 65,66%) nel 2016[17]. In vent’anni, dal 1996 al 2016, i posti letto in terapia intensiva sono passati da 63 ogni 10.000 abitanti a 27,5 ogni 10.000 abitanti (- 56,35%)[18]. Dal 2009 al 2017 la sanità ha perso oltre 46.500 addetti, 8.000 medici e più di 13.000 infermieri, con una contrazione del 6,2%[19].
Chiaramente, dato lo stato di devastazione in cui versa, il sistema sanitario italiano, già carente in regime normale, non è certamente in grado di far fronte all’emergenza da COVID-19 in modo adeguato. La pandemia ha evidenziato, se ancora ce n’era bisogno, l’incapacità di fondo del capitalismo di soddisfare le esigenze primarie e i diritti più naturali del popolo, come il diritto alla salute, sacrificato sull’altare dei vincoli monetari nell’interesse dei monopoli capitalistici e delle oligarchie finanziarie. La prestazione sanitaria è stata trasformata in merce, la sua erogazione in un rapporto di compravendita e l’accesso a cure qualificate è sempre più legato alla disponibilità di mezzi finanziari da parte dell’acquirente-utente, con evidenti diseguaglianze di classe e di territorio.
Occorrono misure drastiche e rapide nella consapevolezza che la salute del popolo è la prima risorsa strategica del paese:
- nazionalizzazione delle strutture sanitarie private e delle industrie che producono materiali sanitari, apparecchi biomedicali e farmaci;
- potenziamento della sanità pubblica con un programma di investimenti basato sui reali bisogni della popolazione e assunzioni di personale medico-sanitario a tempo indeterminato con retribuzioni a livello degli altri paesi europei;
- significativo rifinanziamento della ricerca scientifica e dell’università, con la revoca del numero chiuso nelle facoltà di medicina;
- rigorosa verifica dell’applicazione delle norme di sicurezza per evitare il contagio in tutti i luoghi di lavoro funzionanti durante l’emergenza e inasprimento delle sanzioni amministrative e penali per i padroni che non le rispettano;
- interventi per impedire aumenti speculativi dei prezzi dei generi di prima necessità e dei presidi sanitari, fenomeni di accaparramento e di mercato nero;
- distribuzione gratuita, a carico dello stato, di mascherine, guanti e disinfettanti;
- rientro immediato delle 36 missioni militari all’estero e riduzione delle spese militari per recuperare risorse;
- piena deducibilità dal reddito imponibile delle spese medico-farmaceutiche connesse alla prevenzione e alla cura del COVID-19, con abolizione della franchigia di 500 euro;
- rottura, definitiva e non temporanea, di ogni vincolo monetario e di bilancio derivante dai Trattati dell’UE e loro denuncia unilaterale;
- ritorno allo stato della piena competenza in materia di sanità, per un sistema sanitario unico e solidale che superi le diseguaglianze territoriali.
Non sono certo misure risolutive della contraddizione fondamentale del capitalismo, quella tra carattere sociale della produzione e appropriazione privata del prodotto, tra il profitto di una minoranza di sfruttatori e i bisogni collettivi di una maggioranza di sfruttati – una contraddizione che potrà essere superata solo dal rovesciamento rivoluzionario del capitalismo – ma sono indispensabili per prevenire il collasso del sistema sanitario, per assicurarne il ristabilimento nel breve e medio periodo e garantire la salute pubblica. La classe operaia e i ceti popolari, che più soffrono l’attuale situazione, devono battersi da subito per la loro attuazione, dimostrando tutta la forza di mobilitazione e di lotta di cui sono capaci, per scongiurare conseguenze future ancora peggiori.
_______________
[1]Fonte: TG La7, edizione delle 20:00 del 31/03/2020 da dati Protezione Civile, nostra elaborazione
[2]Fonte: https://www.lastampa.it/cronaca/2020/03/21/news/il-sistema-sanitario-e-al-collasso-sempre-piu-difficile-salvare-vite-1.38617802
[3]Fonte: https://www.notizie.it/esteri/2020/03/10/coronavirus-aiuti-cina-italia/
[4]Fonte: https://it.global-rates.com/statistiche-economiche/inflazione/indice-dei-prezzi-al-consumo/cpi/italia.aspx
[5]Fonte: ISTAT, Comunicato stampa del 31/03/2020, “Prezzi al consumo (dati provvisori)”
[6]L. 502/1992, L. 517/1993, L. 229/1999, D.L. 158/2012
[7]Fonte: INNOGEA su dati OCSE, La Spesa Sanitaria in Italia: Dati e Trend
[8]Fonte: OCSE
[9]Ufficio Parlamentare di Bilancio, Lo stato della sanità in Italia, Focus tematico n. 6 del 2 dicembre 2019
[10]Fonte: GIMBE, Il Definanziamento 2010-2019 del SSN, Report Osservatorio GIMBE n. 7/2019
[11]Fonte: Ibidem
[12]Ibidem, pag. 11
[13]Ibidem, pag. 10
[14]Fonte: ISTAT, Sistema dei conti della sanità, Spesa corrente per l’assistenza sanitaria della popolazione residente
[15]Fonte: EUROPEAN COMMISSION, State of Health in the EU, Italia, Profilo della Sanità 2019
[16]Fonte: https://programmazionesanitaria.it/_progsan/2018/SSN40-Rapporto.pdf, SSN 40 Rapporto Sanità 2018, 40 anni del Servizio Sanitario Nazionale
[17]Fonte: WHO (OMS), European Health Information Gateway
[18]Fonte: Ibidem
[19]Fonte: Ragioneria dello Stato, Conto annuale 2017