Le radici di classe del “sovranismo”
Se parlate di sovranismo in Italia all’ascoltatore medio verrà in mente Salvini. Questa associazione però non è completamente corretta. La galassia sovranista, infatti, è molto più ampia, articolata e in alcuni casi radicale. È composta da accademici, economisti, giornalisti, professori; ha una rete piuttosto ramificata di canali di diffusione su internet, giornali, radio, pagine social. L’underground del sovranismo italiano fa un enorme lavoro ideologico e probabilmente anche voi siete incappati sulle loro pagine senza rendervene conto.
Questo capita perché molto raramente nel circuito sovranista ci si presenta come tali. Più spesso giornali, radio, blog, canali youtube vengono semplicemente raffigurati come piattaforme di controinformazione, scomodi alle élite, sui quali è possibile ascoltare il punto di vista opposto al “mainstream”. Su questa fascinazione del “ribelle”, comune anche agli ambienti complottisti, si inserisce la scelta di non darsi una caratterizzazione d’area ben precisa. È più facile veicolare le proprie idee quando queste non vengono considerate “di parte”.
Proprio nella sovrapposizione delle “parti”, infatti, sta la grande partita del sovranismo italiano, il quale più che dar vita ad un movimento compiuto ha posto le basi per la diffusione di un ampio bagaglio ideologico e culturale in maniera piuttosto trasversale tra gli schieramenti politici, superando gli steccati ideologici ritenuti non più attuali. Nella loro lettura la contrapposizione reale dei nostri giorni è quella tra il capitalismo nella sua forma globalizzata, sregolata, sovranazionale e la dinamica nazionale, sovranista, all’interno della quale lo Stato potrebbe avere un ruolo regolatore che difenda il ceto medio e i lavoratori, che ricostruisca il welfare state e metta al centro il lavoro (inteso ovviamente in senso corporativista). Non ha rilevanza quale sia l’appartenenza politica, tutte le forze che mettono in discussione le istituzioni sovranazionali e hanno al centro del loro programma il “lavoro”, appartengono, in questa visione, allo stesso campo.
I sovranisti parlano apertamente di diritti sociali, di lavoro, di attacco alla “globalizzazione capitalistica” ed è facilmente comprensibile come queste idee, se non adeguatamente confutate, possano diventare attrattive anche tra i lavoratori. In questi ambienti non ci si limita ad esaltare il concetto di nazione ma si riprendono molti dei temi della cosiddetta “destra sociale” rimodulandoli in maniera che siano appetibili ad un pubblico più ampio possibile, con una fraseologia che comincia a farsi strada anche negli ambienti di sinistra.
La diffusione di un certo lessico non è una questione da sottovalutare poiché è un primo passaggio di contaminazione culturale che oltre ad essere pericoloso perché inconscio è anche estremamente efficace: cambiare i termini spesso si traduce nel modificare le categorie d’analisi.
Per fare un esempio, è molto negativo che in ambienti anticapitalisti, il sistema economico capitalista si trasformi nella globalizzazione capitalistica, che l’ideologia dominante venga ridotta al solo concetto di mainstream, che il rapporto con l’Unione Europea venga presentato come rapporto di sudditanza alle élite o colonizzazione. A cambiare non sono solo i termini usati, che diventano indistinguibili da quelli del campo nazionalista, ma a lungo andare anche i concetti e le analisi.
Per rendere questa operazione di sfondamento a sinistra completa sulle testate del campo nazionalista e sui loro canali youtube, a fianco ad esponenti della destra (economisti, politici, sociologi, ecc.) vengono invitate personalità della sinistra o addirittura comunisti, o sedicenti tali. Persino sul Primato Nazionale, giornale apertamente collegato a Casapound non manca lo spazio per questo tipo di interventi. Il messaggio che si vuole lanciare è che non importa lo schieramento politico, il nemico è comune, ciò che dice la destra nazionalista non è un messaggio di parte, è buonsenso.
La presenza di personaggi della sinistra ha anche un risvolto pubblicitario. Permette di attingere ad un bacino più ampio, far conoscere questi canali al di fuori del proprio circuito politico, accreditarsi verso un pubblico che altrimenti non si raggiungerebbe. Questo è il risultato più pericoloso poiché traghetta verso questa propaganda la nostra gente contribuendo alla realizzazione della strategia sovranista.
Per quanto tenti di mostrarsi trasversale il sovranismo, come ogni corpus ideologico ha una propria connotazione di classe, cioè, è portatore di specifici interessi materiali. L’origine materiale di queste posizioni si rintraccia facilmente nella contrapposizione naturale che lo sviluppo del capitalismo genera al suo interno tra la grande concentrazione monopolista e i piccoli proprietari.
La tendenza alla concentrazione è una caratteristica del capitalismo che porta, attraverso lo strumento della concorrenza, al fallimento o all’inglobamento della piccola proprietà. Questa tendenza, ovviamente, si fa più acuta durante ogni momento di crisi in cui migliaia di artigiani, negozianti, piccoli produttori e piccoli distributori, spesso addirittura medi e grandi proprietari, sono costretti a chiudere. La contrapposizione della piccola e media borghesia con il grande capitale, o tra settori stessi del grande capitale, determina spesso la natura conservatrice del primo gruppo. Di fronte a questo scenario, infatti, la piccola e media borghesia ha risposto storicamente in due modi: in senso rivoluzionario, solo dove ha trovato una classe operaia unita ed in grado di porsi alla guida di un processo rivoluzionario che facesse egemonia sulle classi intermedie; o, più frequentemente, in senso reazionario. Questo ultimo caso è quello che riguarda la diffusione delle idee sovraniste.
Il sovranismo è il tentativo di salvare la classe media in quanto classe media, salvare i proprietari in quanto proprietari. Cerca di salvare il capitalismo dallo sviluppo del capitalismo stesso. In questo senso le parole contro i grandi monopoli, contro la finanza, contro le istituzioni sovranazionali, contro il mercato deregolamentato, contro la globalizzazione non sono mai parole rivoluzionarie, ma solo la richiesta di una presenza maggiore dello stato nazionale a difesa degli interessi di una parte della borghesia in quanto borghesia. Il sovranismo è la veste ideologica di questa reazione che si dipinge né di destra né di sinistra perché aspira ad essere universale teorizzando l’unità di classe tra la piccola e media proprietà e il proletariato nella difesa della piccola e media proprietà.
Chi crede di potersene servire anche “da sinistra” non comprende che in realtà l’operazione consiste nell’abbandono completo della concezione dell’avanguardia rivoluzionaria, per abbracciare di fatto una visione interclassista.
Culturalmente gli ambienti anticapitalisti sono preparati a respingere l’idea dell’unità nazionale con il grande capitale, ma si prestano bene all’assimilazione di parole d’ordine nazionaliste in chiave antimonopolista. Limitando la lotta contro il capitalismo nella lotta contro la forma monopolistica e transnazionale dello stesso, e implicitamente o esplicitamente rivendicando le forme proprietarie originarie del capitalismo. L’unità della nazione contro la globalizzazione, contro il monopolio, per la difesa del capitalismo.
La crisi sanitaria, con il suo contributo disgregatore degli equilibri politico-istituzionali dell’Unione Europea, potrebbe dare nuova linfa nazionalista a questo progetto. Non mi riferisco ad un’ascesa elettorale – quel campo è saldamente occupato da Salvini- ma alla nuova fortuna che potrebbero incontrare gli ambienti culturali più radicali, che in alcuni casi sostengono direttamente la Lega – o una parte di essa – e che spingono affinché il Carroccio faccia scelte di campo più coraggiose, ad esempio nei confronti dell’Europa o nelle relazioni commerciali e di alleanze al di fuori di essa.
La diffusione delle idee nazionaliste è un tema che i comunisti devono affrontare con priorità. Spesso si è pensato che bastaste per liquidare la faccenda aggiungere “per il socialismo” alle proprie rivendicazioni. Ma non credo sia sufficiente richiamarsi astrattamente al fine ultimo o aggiungere alle proprie rivendicazioni immediate ipotesi massimaliste mentre su tutto il resto si presta il fianco a pericolose sovrapposizioni. La differenza nelle rivendicazioni immediate tra il proletariato e la piccola borghesia, tra i comunisti e il campo sovranista non può risiedere solo nel fine ultimo. Si rischierebbe in questo modo, nel tentativo di conquistare la classe media, di assumerne le parole d’ordine. La grande sfida che i comunisti si trovano di fronte è riuscire a diffondere le proprie categorie e le proprie analisi, disvelando chiaramente il gioco del campo sovranista e preparare gli anticorpi di fronte a qualsiasi ipotesi nazionalista.