L’attacco al diritto di sciopero si respinge scioperando
L’emergenza del covid-19 ha interessato fortemente i lavoratori. Per settimane la Confindustria è riuscita a ritardare e bloccare l’adozione di un provvedimento di chiusura generalizzata dei luoghi di lavoro, ad eccezione di quelli essenziali. Successivamente ha potuto influenzare le decisioni governative dapprima con una lista di attività necessarie molto ampia, successivamente ottenendo la concessione di un sistema di deroghe in tutto e per tutto favorevole alle imprese. Le fabbriche e i luoghi di lavoro sono divenute un luogo privilegiato del contagio, con migliaia di casi di lavoratori contagiati e molte vittime. In molti luoghi di lavoro, i già inconsistenti protocolli sulla sicurezza non sono stati rispettati.
A causa dello scenario appena descritto abbiamo assistito a un’ondata di scioperi, spontanei o proclamati dai sindacati di base. Un’azione di protagonismo diretto dei lavoratori, mai vista negli ultimi anni, che ha costretto le stesse dirigenze sindacali confederali, nemiche giurate del conflitto e del protagonismo operaio, a darne copertura in molti casi. Solo a questo punto, e solo grazie alla forza messa in campo dai lavoratori, il Governo è stato costretto a dichiarare la chiusura delle attività produttive non essenziali. Ciò ha causato le proteste di Confindustria che, grazie alle pressioni esercitate sull’esecutivo, era riuscita a evitare la chiusura delle aziende.
Tuttavia, quasi il 40% delle attività non indispensabili continua a rimanere aperto e produrre, mentre la carenza di Dispositivi di Protezione Individuale e di sanificazione degli ambienti rende impossibile garantire la sicurezza dal rischio di contagio per tutti i lavoratori occupati in realtà produttive e settori che non possono in alcun caso chiudere. A questo si è aggiunto il ricorso massiccio alle deroghe degli ultimi giorni. Le agitazioni nei luoghi di lavoro sono continuate, anche in forme non tradizionali come la messa in malattia di gruppo o le assenze di massa grazie a permessi e ferie.
I sindacati di base hanno continuato a proclamare astensioni dal lavoro. Dapprima settori della CUB, Si Cobas e poi l’Unione Sindacale di Base hanno promosso scioperi generali. L’USB ha convocato per il 25 marzo lo sciopero generale in tutti i settori, prevedendo una forma simbolica per i servizi essenziali, dove l’astensione è durata solo minuto. L’Iniziativa dell’USB ha visto l’aperto contrasto da parte della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, che ha sanzionato l’USB e ha vietato le astensioni collettive dal lavoro fino al 30 aprile. Un provvedimento, preso nella contingenza della pandemia, ma che contribuisce a rafforzare quella svolta repressiva e autoritaria che va concretizzandosi giorno dopo giorno nel nostro paese.
Le ragioni dell’attacco padronale al diritto di sciopero
Il diritto di sciopero è l’arma più potente che la classe lavoratrice possiede per far valere i propri interessi e le proprie rivendicazioni. In questi anni alla riduzione dei margini di profitto le imprese hanno risposto con le consuete misure: intensificare i ritmi e ad allungare la giornata lavorativa; tagliare i salari e risparmiare sulle misure di sicurezza; licenziare “lavoratori di troppo”; usufruire di forme contrattuali sempre più precarie e sfavorevoli ai lavoratori.
In un certo senso il diritto di sciopero è per i lavoratori il primo diritto: grazie al quale è possibile tutelare e ottenere tutti gli altri. Di questo i capitalisti sono ben consapevoli
e non è un caso che il diritto di sciopero sia stato conquistato pagando un grande tributo di sangue, migliaia di anni di carcere e persecuzioni di ogni natura. Un diritto tanto fondamentale non è acquisito per sempre, e le associazioni industriali e i Governi borghesi tentano con diverse strategie di limitarne la portata, in modo più o meno aperto.
In molte parti del mondo continuano a verificarsi stragi e uccisioni di operai in sciopero. Anche il nostro Paese non è esente da episodi del genere. Nel 2016 venne ucciso l’operaio della GLS Abd Elsalam Ahmed Eldanf, schiacciato dal camion di un crumiro mentre picchettava i cancelli del magazzino in cui lavorava. Per non parlare di quanto accade spesso nei campi agricoli, dove le forme più crudeli di repressione sfociano in omicidi efferati. Solo per citare un caso, quello del 2018 quando Soumaila Sacko, il bracciante e militante Usb venne assassinato. Ma se questa è la faccia più esplicita, relegata a settori di più elevato livello di conflittualità di classe e al riparo dai riflettori mediatici, la strategia generale utilizzata dalle classi dominanti è assai più sofisticata e complessa.
La realtà quotidiana ci mostra, come lo sciopero venga costantemente attaccato nel tentativo di renderlo un’arma spuntata, inoffensiva e incapace di intaccare gli interessi padronali. Questa è senza dubbio la strategia principale utilizzata dai Governi che si sono succeduti in questi anni: svuotare quello che è un diritto costituzionalmente riconosciuto della sua reale capacità di incidere.
Padroni e governi tornano alla carica: la legge 146/90
Durante il “riflusso” che ha caratterizzato il movimento operaio negli anni 80’, cominciato con la capitolazione sindacale e politica seguita alla “marcia dei 40mila”, la controffensiva padronale si intensificò, prendendo forza dalla controrivoluzione in URSS e nei paesi del blocco socialista e dalla dissoluzione del PCI, parallelamente al generico allontanamento del sindacalismo confederale da una prospettiva conflittuale, con la sostituzione della logica della concertazione.
Un primo, forte elemento di limitazione del diritto di sciopero è rappresentato dalla legge 146/90 sul mantenimento dei servizi pubblici essenziali.
Con il pretesto di garantire servizi come la raccolta dei rifiuti, il servizio sanitario, i trasporti, l’istruzione ecc, la legge 146 attacca fortemente il diritto all’astensione collettiva dal lavoro, impedendo a un gran numero di lavoratori impiegati in questi settori di partecipare agli scioperi.
Il cuore dell’attacco viene ottenuto imponendo procedure di raffreddamento che rallentano fortemente la tempestività con cui i sindacati possono proclamare gli scioperi.
In questo caso la strategia padronale è chiara: contrapporre gli utenti di questi servizi ai lavoratori in lotta, nascondendo che in realtà, sono proprio le politiche antipopolari che i governi borghesi hanno messo in atto in questi anni a distruggere, privatizzare e mercificare i servizi pubblici, creando le condizioni che costringono i lavoratori a scioperare per salvaguardare salari e diritti.
Negli anni si sono susseguiti innumerevoli casi in cui la Commissione di garanzia sull’applicazione della 146/90 ha abusato del proprio potere vietando scioperi, precettando i lavoratori e comandandoli all’erogazione dei servizi. Inoltre, sono stati frequenti i casi in cui la Commissione ha sconfinato in settori che di pubblico ed essenziale non hanno nulla. Ad esempio, durante uno sciopero nazionale convocato dal SI Cobas alla Granarolo, la commissione ha avuto il coraggio di sostenere che il latte Granarolo fosse indispensabile chiedendo al sindacato di ritirare lo sciopero… come se non ci fossero altre innumerevoli marche a disposizione dei consumatori!
L’offensiva padronale nei confronti del diritto di sciopero non sarebbe stata così forte nelle dimensioni e nel contenuto senza la complicità delle dirigenze dei sindacati confederali. Il sindacalismo confederale, con l’obbiettivo di salvaguardare il suo gigantesco apparato burocratico e a causa della sua subalternità all’ideologia riformista e alle forze politiche che ne hanno incarnato l’illusione, ha scambiato la lotta operaia organizzata e di massa con il riconoscimento padronale del proprio ruolo di “sindacato responsabile”. A partire dai Patti Interconfederali del 1993 si è avviata la stagione della concertazione con cui, in nome di una fantomatica e falsa comunanza di interessi tra i lavoratori e i “datori di lavoro”, si è messo da parte il conflitto sindacale disarmando la classe lavoratrice del principale strumento con cui difendere i propri interessi economici: lo sciopero.
La rappresentanza che piace ai padroni: il TUR del 10 gennaio 2014
Un ulteriore passaggio che evidenzia quanto l’atteggiamento delle dirigenze confederali abbia fatto da sponda ai padroni nell’ attaccare il diritto di sciopero e l’agibilità sindacale, è dato dal Testo Unico sulla Rappresentanza del 10 gennaio del 2014. Questo accordo stipulato e proposto da Confindustria insieme ai Confederali, a cui hanno aderito vari sindacati corporativi e alcuni sindacati di base, riguarda il lavoro privato e prevede pesanti limitazioni al diritto di sciopero in cambio della possibilità di candidarsi alle RSU.
Più nello specifico, esso prevede che la rappresentatività sindacale sia misurata in base all’incrocio dei dati relativi ai voti presi alle RSU con quelli relativi al numero di iscritti al sindacato. Sulla base di questo calcolo si stabilisce la possibilità di partecipare alle trattative legate al CCNL, riservate alle sigle che superano la soglia del 5% di rappresentatività. Inoltre, gli accordi stipulati a livello aziendale dalla maggioranza delle RSU e dall’azienda avranno valenza per tutti i lavoratori, mentre i sindacati che non li hanno firmati, che per potersi candidare alle RSU hanno aderito al TUR, non potranno scioperare pena pesanti sanzioni.
L’accordo prevede una serie di procedure di raffreddamento, simili a quelle legate alla 146/90, per poter convocare uno sciopero (sempre entro certi limiti) impedendo nei fatti la proclamazione di astensioni dal lavoro repentine e a sorpresa, fondamentali in alcuni settori lavorativi per prendere alla sprovvista il padrone e far valere la propria forza. Il Testo Unico sulla Rappresentanza del 10 gennaio 2014 è un accordo tra le parti valido solo per i sindacati che lo sottoscrivono, i quali scelgono di barattare una parte rilevante del diritto di sciopero con la possibilità di candidarsi alle RSU.
Tuttavia lo sciopero viene considerato dall’ordinamento giuridico italiano come un diritto individuale del lavoratore, anche se si pratica collettivamente, dunque sindacati di base che hanno aderito al TUR, in più occasioni, sono riusciti ad aggirare il problema mettendo in atto scioperi spontanei o convocati da comitati di operai.
Degli esempi di questa tattica sono rappresentati dagli scioperi in TIM proclamati dai CLAT (Comitato Lavoratori Autoconvocati Telecomunicazioni), come da quelli di queste settimane legati all’emergenza Covid-19.
L’attacco al diritto di sciopero purtroppo non si ferma qui, infatti la direzione delle organizzazioni sindacali Confederali insieme a Confindustria hanno espresso più volte l’intenzione di trasformare il TUR in una legge quadro sulla rappresentanza, dunque valida erga omnes. CGIL, CISL, e UIL in ogni occasione di sciopero proclamato dal sindacalismo di base, si sono abbandonati a polemiche sui “sindacatini non rappresentativi che paralizzano le città”, rivendicando il monopolio della rappresentanza e della possibilità di indire scioperi. Evidentemente vogliono che i padroni dormano sonni tranquilli, confermando che “la democrazia si ferma ai cancelli delle fabbriche”.
Anni di carcere per un picchetto: i Decreti Sicurezza
I Decreti Sicurezza approvati dal Governo Cinque Stelle-Lega dimostrano come l’offensiva padronale nei confronti del conflitto operaio si acuisca sempre di più. Lungi dall’occuparsi solo del salvataggio in mare dei rifugiati, mostrano la loro reale natura repressiva e autoritaria per quanto concerne i reati sociali e la limitazione del diritto di sciopero. Negli ultimi mesi si sono susseguiti episodi in cui sindacalisti e lavoratori, da Prato a Tortona, sono stati vittime di pesanti multe e rinvii a giudizio relativi all’applicazione dei decreti.
Le norme volute da Salvini prevedono pene da 6 a 12 anni per chi si rende protagonista di picchetti ai cancelli delle aziende, sistematicamente classificati come blocchi stradali.
La pratica del picchetto si è rivelata, in questi anni come in tutta la storia del movimento operaio, un’arma formidabile in mano ai lavoratori per imporre la difesa dei propri diritti, la salvaguardia del posto di lavoro e il miglioramento salariale e delle condizioni di lavoro. Picchettare i cancelli diventa ancora più importante in settori strategici e ad alta conflittualità come la logistica in cui la produzione è data dalla circolazione delle merci.
Non a caso le maggiori pressioni sul Governo Giallo-Verde in favore dell’approvazione dei Decreti Sicurezza sono arrivate proprio da Confetra, l’organizzazione dei padroni del trasporto merci. La vicenda di questi decreti, inoltre, non fa altro che confermare l’ipocrisia delle forze che sostengono l’attuale Governo Conte il quale, non abrogandoli, si dimostra ancora una volta come il garante degli interessi del grande capitale.
Commissione antisciopero: dentro e oltre l’emergenza Covid-19
In queste settimane caratterizzate dalla pandemia Covid-19, il capitalismo è piombato in una crisi di gigantesche dimensioni. Proprio in questi momenti la lotta di classe si acuisce sia dall’alto verso il basso, che dal basso verso l’alto, come dimostrato dall’ultima ondata di scioperi. In situazioni come queste, dunque, il sistema mostra il suo vero volto, la democrazia borghese tende a smascherarsi e a dimostrare quello che è veramente: la dittatura del capitale sui lavoratori e le masse popolari.
Come già riportato in precedenza, la Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali ha sanzionato l’USB per lo sciopero generale del 25 marzo, vietando di convocarne altri fino al 30 aprile. Inoltre, il presidente della commissione Giuseppe Santoro-Passarelli, il 27 marzo, ha pubblicato un articolo su Il Sole 24 Ore dal titolo “Scioperi, serve una riflessione non solo per l’oggi”.
Santoro Passarelli inizia il suo intervento sul quotidiano di Confindustria partendo dal consueto tentativo di contrapporre lavoratori in lotta e gli utenti dei servizi scrivendo. “Oggi – si legge nell’articolo – il conflitto al tempo del Coronavirus ci porta davanti a uno scontro terribile ed inedito rischiando di mettere l’una contro l’altra, la salute del lavoratore che protesta affinché gli siano garantite condizioni di lavoro sicure e salubri, e quella del cittadino che deve poter contare sulla continuità dei servizi essenziali…”.
Ricordiamo che il Governo, sotto la pressione di Confindustria, è riuscito nell’incredibile impresa di classificare come “servizi essenziali” un gran numero di attività produttive, di beni e servizi assolutamente superflui in una condizione di emergenza sanitaria come quella che stiamo vivendo. Inoltre bisogna sottolineare quanto siano state proprio le politiche antipopolari a distruggere servizi pubblici come la Sanità, giusto per fare un esempio, ancora più indispensabili in un contesto come quello attuale.
Va anche rammentato a Santoro-Passarelli che lo sciopero nei servizi essenziali è stato puramente simbolico e della durata di un minuto, dunque questa accusa si dimostra nient’altro che un pretesto per colpire ancora di più il diritto di sciopero.
Il presidente della commissione continua richiedendo una maggiore collaborazione tra lavoratori e aziende, insistendo con il solito mantra della comunanza di interessi tra operai e padroni. Egli prosegue: “… si deve continuare a scegliere la via maestra del dialogo anziché quella del conflitto, scongiurando l’attuazione di astensioni che produrrebbero un’incalcolabile danno alla collettività e aumenterebbero il senso di insicurezza dei cittadini…”.
Qualcuno dovrebbe spiegare a Santoro-Passarelli che è proprio la decisione scellerata di lasciare aperte migliaia di aziende non indispensabili alla cura e al sostentamento della popolazione, di ammassare milioni di persone nei mezzi pubblici e negli stabilimenti, ad alimentare il contagio e dunque “il senso di insicurezza nella popolazione”. Proprio questo è il motivo che ha spinto i lavoratori a scioperare: la necessità di far capire ai padroni e al governo che non si possono far morire migliaia di persone per salvaguardare i profitti di pochi sfruttatori. Niente che non ci aspettassimo da quella che si può definire come una vera e propria commissione antisciopero.
Tuttavia, la parte più interessante delle dichiarazioni, che deve farci alzare il livello di guardia è questa: “Ma la commissione deve sin d’ora pensare anche al “dopo” quando, superata l’emergenza sanitaria, il conflitto, prima di tornare ad assestarsi sui binari tradizionali, attraverserà verosimilmente una fase acuta. … ma cambierà anche la percezione che abbiamo dell’essenzialità di alcuni servizi, in primis quello della distribuzione anche online dei generi di prima necessità, sollecitando nuove riflessioni.”
Dunque i padroni e lo Stato, come è naturale, si aspettano un inasprimento dei conflitti sociali e vogliono farsi trovare pronti per scaricare sulla classe lavoratrice, come al solito, i costi della crisi. Pertanto possiamo aspettarci un irrigidimento della 146/90, finalizzato ad abbracciare categorie rimaste fin ora, quasi sempre, libere dalle limitazioni agli scioperi nei servizi essenziali.
Il riferimento alla distribuzione mette nel mirino anche la GDO, la logistica e l’e-commerce, settori in cui, grazie allo sfruttamento selvaggio del lavoro, i profitti dei grandi monopoli continuano a crescere.
Conclusione
Abbiamo visto come negli anni si sono susseguiti innumerevoli attacchi al diritto di sciopero sia da parte di padroni e governi che dalle dirigenze sindacali complici, questa tendenza inoltre si acuisce in contesti in cui, a causa delle crisi, il conflitto di classe si inasprisce. Il diritto di sciopero, nonostante sia formalmente riconosciuto a livello legale, e addirittura protetto dalla Costituzione, dimostra di essere costantemente in pericolo e sotto il fuoco di chi vorrebbe rendere l’astensione collettiva dal lavoro un’arma spuntata e innocua.
Il diritto di sciopero, il diritto dei diritti, si difende scioperando, imponendo sul terreno della lotta rapporti di forza favorevoli alla classe lavoratrice, in modo da costringere i padroni alla ritirata. Purtroppo, come tutti i diritti formalmente riconosciuti dagli ordinamenti giuridici borghesi, rischia continuamente di essere revocato appena i rapporti di forza permettono alla borghesia di lanciarsi all’attacco con più forza e possibilità di successo.
Tra i compiti primari dei comunisti c’è quello di lavorare per costruire coscienza e organizzazione di classe. Ogni lavoratore che legge “L’Ordine Nuovo” deve legarsi ai propri compagni di lavoro, partecipando attivamente al lavoro sindacale e alla lotta di classe, a partire dalle vertenze più immediate e dalla difesa dei diritti sul luogo di lavoro. Ogni lavoratore che legge L’Ordine Nuovo deve contribuire a far avanzare la coscienza della necessità storica del rovesciamento di questo modello di sistema, come fine ultimo della nostra lotta.