Continua la guerra in Libia. Al via una nuova missione imperialista targata UE (2/2)
L’imperialismo italiano in Libia
La recente presenza militare italiana nella ex colonia libica risale all’aprile 2011, con l’invio di circa 200 militari nella zona di Bengasi nel quadro della Missione “CYRENE”, poi trasferiti a Tripoli a novembre, che aveva come scopo ufficiale quello di addestrare personale militare libico e garantire il funzionamento dell’ambasciata italiana.
Progressivamente, la presenza militare italiana si è strutturata nella Missione Bilaterale di Assistenza e Supporto in Libia (MIASIT), partita formalmente all’inizio del 2018 con lo scopo di assistenza e supporto al Governo di Accordo Nazionale libico (GNA) presieduto da Al-Sarraj. La presenza militare italiana a terra è concentrata in Tripolitania, con un avamposto più a ridosso del fronte di combattimento nella città di Misurata. Dal 2016 (Operazione Ippocrate) è infatti presente un contingente di 400 soldati, a presidio di un ospedale da campo (30 posti letto), allestito per il supporto sanitario alle truppe del GNA contro le milizie jihadiste che facevano base a Sirte, nel quadro dell’offensiva del Governo presieduto da Al-Sarraj contro lo Stato Islamico. Il contingente è stato mantenuto operativo nella zona probabilmente per essere convertito in forza di interposizione nel quadro di una missione ONU a guida italiana, fortemente auspicata a dicembre scorso, naufragata entro la fine del mese e rilanciata dal governo italiano durante la Conferenza di Berlino accettando l’eventualità della rinuncia ad un ruolo di primo piano.[1]
È impossibile però inquadrare l’attività del governo Conte sulla questione libica senza tenere in considerazione gli interessi che si propone di sostenere e quelli contro i quali si scontra. La politica estera italiana in Libia è completamente determinata da ENI e orientata al sostegno dei suoi interessi e di quelli dei suoi azionisti privati, italiani e stranieri. ENI controlla circa il 70% della produzione libica di petrolio e gas naturale, che a sua volta vale circa il 15% della produzione di ENI. La sola produzione di gas in Libia rappresenta un terzo del totale prodotto da ENI.[2]
La posizione specifica di ENI è determinante per comprendere l’indirizzo che imprime alla politica dell’Italia in Libia. La strategia dei grandi gruppi petroliferi degli altri paesi è quella di spingere i propri governi ad aumentare il sostegno alle fazioni di riferimento nell’ottica di ribaltare lo status-quo e di conquistare quote di produzione e raffinazione in Libia. Il contesto della guerra civile è l’unico nel quale ciò può avvenire. La strategia di ENI è ovviamente di senso opposto, il nemico principale: è la guerra civile più di quanto non lo siano le singole fazioni. Inoltre, ENI opera in Libia in partnership con l’azienda di stato libica sotto il controllo del GNA, la National Oil Corporation (NOC). Inoltre il Greenstream[3], il gasdotto che collega la Libia alla Sicilia, di cui ENI controlla il 75% della proprietà, parte proprio dalla costa ad ovest di Tripoli, controllata da governo di Al-Serraj. La posizione del governo italiano e il sostegno al GNA nel contesto di una posizione ufficialmente neutrale, risultano indubbiamente più chiare una volta presi in considerazione questi elementi. Lo slogan più volte ribadito da Giuseppe Conte è stato, non a caso, “Né con Sarraj, né con Haftar, ma con il popolo libico”. È evidente che gli interessi del popolo libico non siano minimamente presi in considerazione da nessuna delle parti coinvolte, Italia inclusa, ma, al di là della sua ipocrisia, lo slogan è indicativo dell’orientamento del governo italiano a porre la questione in termini di stabilità della Libia, per cristallizzare la posizione di ENI oggi a rischio proprio a causa di una guerra civile, dovuta direttamente al crescente livello di contrapposizione tra i monopoli internazionali dell’energia. La questione va ricondotta infatti alla generale crisi di sovrapproduzione di petrolio e alla guerra commerciale che va avanti da anni, esacerbata oggi dal mancato accordo in seno all’OPEC+ sui tagli alla produzione, a causa della contrapposizione tra Russia e Arabia Saudita. Non è un caso che la produzione libica sia passata da 1,22 a 0,28 milioni di barili al giorno e che l’esportazione di petrolio nelle zone controllate dalle milizie di Haftar, sostenuto da Francia, Russia, Egitto e EAU, sia stata bloccata con la forza.[4] Questi dati rispondono infatti alla necessità delle compagnie petrolifere dei paesi produttori di tagliare l’estrazione anche con la spada, se necessario, per mantenere la propria produzione a pieno ritmo (l’embargo petrolifero contro il Venezuela, per certi aspetti, è un caso simile).
In questo contesto si spiegano gli sforzi italiani per la stabilizzazione della Libia, il viaggio del ministro Di Maio in Tripolitania e Cirenaica, gli incontri del presidente Conte con Haftar e quello annullato con Al-Serraj tra dicembre e gennaio e l’entusiasmo con cui è stata accolta la missione IRINI[5]. L’attività del governo italiano per garantire gli interessi di ENI è stata vanificata dagli sforzi congiunti di Russia e Turchia, da fronti opposti, per incentivare lo scontro militare e favorire una nuova spartizione delle risorse libiche.
L’imperialismo italiano rischia proprio in questi mesi di perdere questo confronto, di essere estromesso dalla spartizione della Libia nel caso di un accordo per una tregua gestito da Turchia e Russia, con forze militari di interposizione turche e russe, come già accaduto in Siria.
Dalla Libia al Mediterraneo orientale al Medio Oriente: la guerra per gli idrocarburi
Questi eventi sono collegati agli sviluppi nel Mediterraneo Orientale, dove cresce sempre più la competizione tra gli Stati della regione per affermare gli interessi dei rispettivi monopoli energetici per il controllo del mare e per la ridefinizione delle Zone Economiche Esclusive (ZEE). Non è un caso che anche la missione “IRINI” insisterà su questo spazio marittimo dove, anche in questi giorni di pandemia, non cessano operazioni e esercitazioni militari come quella, ancora in corso, dell’Alleanza Atlantica “Sea Guardian 2020”, con la partecipazione della marina italiana.[6]
Nel dicembre scorso, il governo turco e quello di Tripoli hanno firmato un accordo che, in cambio del sostegno militare e politico turco al GNA, prevede la concessione alla Turchia di una consistente parte dei ricchi fondali libici per trivellazioni alla ricerca di gas e petrolio, con la definizione unilaterale di una ZEE che entra in conflitto con quelle di Grecia, Cipro e Egitto.
La Turchia, inoltre, con il suo progetto di autonomia energetica, cerca di consolidare le sue ambizioni imperialiste e i conseguenti piani per estendere la sua egemonia intensificando le sue mire espansionistiche nella regione, oltre che con gli interventi armati in Siria e Libia, anche inviando proprie navi militari e attrezzature di trivellazione nella ZEE della Repubblica di Cipro, entrando in conflitto con le concessioni dell’ENI, della francese TOTAL, della SHELL, della sudcoreana EKOGAS, delle americane NOBLE ENERGY e EXXON MOBILE, rivendicando la titolarità su un area marittima che si sovrappone per circa il 40% a quella di Cipro, avvalendosi dell’illegittima occupazione militare della parte settentrionale dell’isola e dell’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro Nord, in tutto il mondo riconosciuta dalla sola Turchia.[7]
L’intervento militare della Turchia in Libia è quindi direttamente collegato anche con il ritorno in primo piano dell’irrisolta “questione Cipro” e alla disputa con Grecia, Israele ed Egitto, che stanno sviluppando il progetto congiunto del gasdotto sottomarino “EastMed” per il trasporto del gas da Israele ed Egitto verso l’Europa attraverso l’Italia nell’ambito del progetto di diversificazione energetica dell’UE che taglia fuori la Turchia. Una competizione che coinvolge anche la Russia, direttamente interessata a mantenere la sua posizione dominante nelle quote di approvvigionamento energetico all’Europa attraverso il gasdotto Nord Stream. Inoltre, a seguito del rifiuto della Bulgaria a dare seguito alla costruzione, già iniziata, del gasdotto “South Stream” in applicazione delle sanzioni europee, Russia e Turchia hanno concluso un accordo per deviarne il percorso senza passare attraverso paesi UE.[8]
L’escalation della guerra in Libia, paese con le maggiori riserve di petrolio e gas di tutta l’Africa, collocato in una posizione di importanza geostrategica, è la manifestazione della contesa interimperialista nell’ampia regione del mondo che va dal Mediterraneo Centrale a quello Orientale, dall’Oceano Indiano occidentale allo Stretto di Hormuz, dall’Africa Settentrionale al mar rosso fino al Medio Oriente, passando dal canale di Suez e dallo Stretto di Bab el-Mandeb. Un’area in cui l’UE e gli USA, pur rimanendo per il momento al vertice della piramide imperialista, si trovano a dovere affrontare una crescente penetrazione e concorrenza da parte dei capitali russi e cinesi e a fare i conti con le potenze regionali, con i loro interessi particolari, che giocano un ruolo sempre più decisivo, sul piano delle alleanze strategiche, per il successo dei piani delle grandi potenze imperialiste.
Nessuna tolleranza nei confronti degli interventi imperialisti, nessuna convergenza con gli interessi della propria borghesia nazionale!
L’area del Mediterraneo e del Medio Oriente è diventata, quindi, una polveriera in cui i contrasti interimperialistici e tra potenze regionali sono destinati ad acutizzarsi sempre più, con il concreto rischio di sfociare, prima o poi, in una nuova guerra generalizzata che, come sempre, troverà nei lavoratori e nei popoli la carne da cannone.
Gli interessi del capitale italiano trascinano il nostro popolo in pericolosi piani imperialistici per consentire a un gruppo ristretto di sfruttatori di partecipare alla spartizione del bottino. Il governo e le forze politiche borghesi difendono solo i profitti dei monopoli capitalistici, non certo l’interesse del popolo, non certo la pace. Non possiamo mostrare alcuna tolleranza di fronte ad ogni tipo di intervento e missione militare imperialista, al di là dei pretesti con cui si maschera, né possiamo accettare che il capitalismo, che porta in sé il germe della guerra, si finga garante di pace. Quella che la borghesia vuole è una “pace” con la pistola puntata alla tempia del popolo!
Storicamente, il capitalismo ha sempre cercato di uscire da crisi come quella che stiamo vivendo facendo ricorso alla reazione e alla guerra, mascherando i propri interessi di classe come universali “interessi della patria”. Compito primario dei comunisti è porre la lotta per la pace, contro la guerra imperialista e contro qualsiasi tentativo di involuzione reazionaria, al centro della mobilitazione dei lavoratori e dei ceti popolari, ribadendo con forza, senza compromessi e tentennamenti, che non c’è e non ci può essere nessun interesse comune tra sfruttati e sfruttatori, nessuna convergenza tra proletariato e borghesia, né nelle guerre combattute con le armi, né nelle guerre concorrenziali di competitività.
Respingendo con decisione ogni scivolamento verso la collaborazione sociale in nome degli “interessi della nazione”, i comunisti devono ribadire con determinazione che, come insegnano Lenin e Gramsci, il proletariato diventa “classe nazionale” solo diventando classe dirigente e dominante nel proprio paese, cioè abbattendo il dominio della propria borghesia e concentrando tutto il potere nelle proprie mani, per uscire dal vicolo cieco del modo di produzione capitalistico e avviare la costruzione del socialismo-comunismo, di un ordine nuovo di donne e uomini liberi dallo sfruttamento, dalla povertà e dalla guerra.
[1] https://www.adnkronos.com/fatti/esteri/2020/01/19/libia-maio-berlino-risposta-non-altra-guerra_5GFI8336fAdfaqk9RBR1UK.html?refresh_ce
[2] https://www.eni.com/it-IT/presenza-globale/africa/libia.html
[3] Per approfondirehttps://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/10/08/al-via-il-gasdotto-italia-libia.html
[4] https://www.avvenire.it/mondo/pagine/libiuapetrolio
[5] https://www.esteri.it/mae/ar/sala_stampa/archivionotizie/comunicati/farnesina-mediterraneo-soddisfazione-per-la-nuova-operazione-ue.html
[6] http://antoniomazzeoblog.blogspot.com/2020/04/esercitazione-beffa-della-nato-nel.html
[7] Per approfondire: http://www.senzatregua.it/2019/12/22/sui-pericolosi-sviluppi-nel-mediterraneo-orientale/
[8] Ibid