Cronache da Mirafiori e strategie del gruppo FCA in Italia
L’Amministratore Delegato di FCA Michael Manley, in una lettera rivolta ai dipendenti del gruppo, ha chiesto a tutti i lavoratori non coinvolti in riduzioni d’orario o ammortizzatori sociali di accettare una “temporanea” decurtazione pari al 20% del salario per “proteggere la salute finanziaria dell’azienda”. In questa lettera si rivolge ai lavoratori chiamandoli colleghi, una vera e propria provocazione se si pensa alle condizioni di sfruttamento, precarietà e repressione di ogni forma di dissenso imposte agli operai. L’A.D. FCA continua scrivendo: “Con il diffondersi della pandemia, abbiamo dato priorità alla creazione di un ambiente di lavoro sano e sicuro…” Peccato che i fatti lo smentiscano dato che – come in tutta Italia – gli operai FCA hanno scioperato proprio per difendersi dal rischio di contrarre il Coronavirus.
Nella sua lettera Manley prosegue con una formidabile dimostrazione di ipocrisia borghese: “Proteggere la salute finanziaria dell’azienda è responsabilità di tutti, a partire naturalmente da me e dal team di leadership. Al fine di raggiungere questo obiettivo e per evitare una riduzione del personale nel secondo trimestre, dal mese di aprile e per i prossimi tre mesi ridurrò il mio stipendio del 50% e i membri del Group Executive Council (GEC) ridurranno il loro del 30%. … Inoltre, il nostro Presidente John Elkann e il nostro Consiglio di Amministrazione hanno deciso all’unanimità di rinunciare in toto al proprio compenso da qui alla fine del 2020.”
La retorica del “siamo tutti sulla stessa barca” qui ben esposta, è da sempre l’arma preferita dei capitalisti in momenti di crisi. Ma i lavoratori sanno bene che la loro condizione, quella di chi fatica ad arrivare alla fine del mese, non è in nessun modo equiparabile a chi incassa compensi multimilionari.
Come dichiarato dallo stesso Michael Manley, per l’FCA il 2019 è stato un anno “storico”, con utili degli ultimi tre mesi aumentati del 35%, raggiungendo 1,578 miliardi di euro, e ricavi in crescita dell’1%, toccando quota 29,643 miliardi. Per quanto riguarda i compensi personali l’Amministratore Delegato nel 2019 ha guadagnato 13,28 milioni di euro più 1,8 milioni di benefit pensionistici, mentre John Elkann ne ha intascati 3,85. Rinunciare al 50% del proprio stipendio o alla remunerazione di un anno per chi ha accumulato cifre astronomiche non è la stessa cosa di tagliare il 20% del salario a chi porta a casa 1200 euro al mese!
A fronte della situazione appena illustrata, l’Ordine Nuovo ha deciso di riportare la testimonianza diretta di un operaio dello stabilimento di Mirafiori, a cui abbiamo chiesto anche come l’azienda e gli operai hanno risposto all’emergenza Covid-19 e quale fosse la sua opinione in merito alla situazione in FCA prima dello scoppio della pandemia, riservandoci alcune considerazioni finali sulla strategia del gruppo FCA.
Per le comprensibili ragioni di protezione abbiamo deciso di pubblicare il contributo sotto anonimato. Sebbene la FCA oggi non abbia, come molte delle multinazionali italiane, sede legale nel nostro Paese, un’analisi delle condizioni di lavoro in uno dei principali gruppi automobilistici internazionali, e ancora oggi una delle maggiori società “italiane” per numero di stabilimenti e dipendenti in Italia, resta un osservatorio privilegiato sulla condizione generale del rispetto delle misure sanitarie nelle aziende e sul trattamento riservato ai lavoratori. La nostra fonte si chiama Carlo e lavora per FCA in precedenza FIAT, come operaio da 32 anni nel reparto meccanica di Mirafiori.
Quale è stata la reazione dell’azienda all’emergenza Covid-19? Quali misure sono state prese per proteggere i lavoratori dal contagio? Voi lavoratori le ritenete adeguate?
Con il DPCM dell’11 marzo veniva disposta la chiusura di tutte le attività commerciali, la FCA veniva esclusa dalla chiusura in quanto attività produttiva di interesse nazionale. La chiusura è arrivata solo successivamente, ma nei primi giorni dell’epidemia siamo comunque andati a lavorare. Siccome il decreto del governo imponeva alle aziende di prendere le dovute precauzioni igienico-sanitarie, la dirigenza non ha attuato alcuna di queste misure; eccezion fatta per il mantenimento della distanza di sicurezza. Dopo due giorni di chiusura preventiva, motivati con la necessità di dover sanificare i locali, siamo tornati a lavoro con il sentore che tale sanificazione fosse stata fatta esclusivamente a bagni e spogliatoi. Ovviamente il materiale necessario per il rispetto delle normative sanitarie, come le mascherine, non ci sono state messe a disposizione.
Questa situazione insieme alle notizie derivanti dalla diffusione del virus ha scatenato reazioni di paura e rabbia in officina, che hanno portato ad uno sciopero spontaneo di 4 ore. Speravamo di ottenere spiegazioni dalla dirigenza, che si è però limitata a darci risposte di circostanza, che avevano come unico scopo giustificare il loro operato. L’unico argomento utilizzato è stata la mancanza dei fondi necessari. Il tutto sotto il silenzio complice della dirigenza dei Confederali, FIOM inclusa, che hanno provato a frenare lo sciopero e le azioni rivendicative.
Siamo riusciti ad ottenere esclusivamente delle mascherine da verniciatura, quindi usa e getta, che non permettono una reale tutela della salute, e che tra l’altro andrebbero sostituite ogni 4 ore, cosa che non avviene.
Quale è stata la reazione operaia all’emergenza? In tutta Italia si sono susseguiti scioperi ed astensioni dal lavoro, ci sono state azioni di lotta nella tua fabbrica?
La reazione è stata abbastanza tardiva rispetto ad altri luoghi di lavoro, complice anche la mancanza di informazione interna rispetto agli intenti dell’azienda. Come detto prima, la maggioranza dei rappresentanti sindacali ha cercato in tutti i modi di stemperare gli animi e frenare le proteste, schierandosi nei fatti dalla parte della dirigenza, che come al solito si è dimostrata contraria a qualsiasi nostra richiesta. I nostri diritti fondamentali, e in primo luogo quello alla salute, non sono stati garantiti né dall’azienda, né adeguatamente tutelati dalle strutture sindacali.
Io stesso ho avuto modo di parlare personalmente con dirigenti aziendali chiedendogli perché non ci venissero fornite le mascherine adeguate. La risposta è stata: “ma lei sa che costo è per un’azienda fornire le mascherine a tutti gli operai?”
Quali sono state le reazioni dei lavoratori alla richiesta dell’amministratore delegato Manley di decurtare il 20% dello stipendio dei dipendenti per “curare la salute finanziaria dell’azienda”?
Apprendo da voi questa notizia: sempre in linea con quanto detto finora, non c’è comunicazione con noi. Indubbiamente sono contrario, come immagino anche i miei colleghi. Vogliono far ricadere la crisi sugli operai. Io mi reputo anche fortunato ad avere uno stipendio più elevato rispetto a molti ragazzi più giovani che lavorano a Mirafiori. Per loro tale provvedimento sarebbe distruttivo visto che non arrivano a prendere nemmeno 900/1000 euro al mese.
Tu e gli altri lavoratori siete preoccupati per quanto riguarda la cassa integrazione?
Certo, perché ci viene decurtata una buona parte dello stipendio. Ma purtroppo non possiamo fare diversamente al momento se non accettare questa situazione e attendere il rientro.
Puoi parlarci della situazione generale in FCA prima che scoppiasse l’emergenza Coronavirus?
Come in tante altre grandi fabbriche, anche a Mirafiori la sicurezza sul luogo di lavoro è un problema serio. Soprattutto per quanto riguarda il carico di lavoro: siamo in una fabbrica, il lavoro è già usurante di per sé; ma in molte situazioni non tengono nemmeno conto delle cartelle cliniche degli operai, lasciandoli svolgere determinate mansioni che clinicamente non potrebbero svolgere a causa di potenziali danni permanenti.
In alcune zone abbiamo il timore che non vengano prese le dovute precauzioni per contrastare la presenza di fumi tossici. Sarebbe compito dell’ASL verificare tali situazioni e denunciare l’impossibilità di svolgere il nostro lavoro in queste condizioni, ma ogni volta che si presentano la non vengono mai presi adeguati provvedimenti. Non sono un tecnico e non ho elementi per sapere se i limiti vengano superati o meno. So da operaio che molti colleghi denunciano questa situazione. E so anche che la FCA è una società importante.
Non siamo solo noi operai assunti direttamente dalla FCA a avere condizioni di lavoro difficili e salari bassi. Anche chi lavora in appalto per conto dell’FCA nei nostri stessi locali come i lavoratori dell’impresa di pulizie, subiscono trattamenti anche peggiori. Sono lavoratori che fanno turni massacranti condensati in 4/5 ore di lavoro al giorno, per uno stipendio che si aggira intorno ai 600/700 euro al mese.
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In questo momento lo stabilimento FCA di Mirafiori è chiuso. La FCA ha deciso il blocco totale della produzione il 16 marzo. La sospensione doveva essere originariamente fino al 27 marzo, ma è stata prorogata. In realtà come tutte le aziende la FCA ha tentato nei primi giorni di mantenere aperta la filiera produttiva. Poi sono arrivati i provvedimenti del Governo di chiusura. Ma il ricorso alla cassa integrazione non è stato un grave dispiacere per il Lingotto.
Nel mese di marzo il mercato automobilistico ha segnato -85,4%, con un risultato ancora peggiore della FCA -90,3%. La scelta della cassa integrazione si è rivelata dunque necessaria per i provvedimenti di chiusura emanati dal Governo, ma utile per fronteggiare il crollo verticale del numero di ordinativi registrato a marzo/aprile dal settore automobilistico. Il più imponente crollo nella storia dell’automobile.
I trionfi storici del 2019, cedono il passo alle perdite, che vengono come sempre scaricate sulla collettività. A sentire gli analisti economici infatti neanche la crisi del ’29 e neppure la guerra mondiale, nella quale i produttori automobilistici si erano prontamente convertiti alle produzioni belliche, aveva comportato un crollo tanto imponente. Il dato italiano è in linea con quello registrato negli altri Paesi europei e non a caso anche le altre principali multinazionali dell’auto hanno seguito la FCA nella chiusura degli impianti produttivi.
Il gruppo ha anche annunciato la volontà di riconvertire aziende. Inizialmente è stato dato l’annuncio, da parte dello stesso Manley, della riconversione di uno stabilimento per la produzione di mascherine. Successivamente la società ha annunciato la messa a disposizione degli stabilimenti FCA e Ferrari per la produzione di ventilatori polmonari, in particolare attraverso l’invio dei tecnici di Maranello negli impianti di Crespellano-Valsamoggia di proprietà della SIARE, unica azienda italiana a produrre ventilatori polmonari.
Tra il contributo reale, quello pubblicitario e la ricerca di partnership commerciali in settori dove orientare possibili riconversioni parziali la FCA, ha poi annunciato l’imminente riapertura proprio di Mirafiori. Lo stabilimento torinese sarà tra i primi a riaprire con la produzione della 500 elettrica, probabilmente non appena scatterà la Fase 2 del Governo, che riaprirà prioritariamente gli impianti produttivi. Appena ieri la multinazionale italo-statunitense ha comunicato questa volontà in un incontro con i sindacati (Fim, Fiom, Uilm, Fismic, Uglm e Aqcfr). Nella riunione l’azienda si è impegnata al rispetto di adeguate misure di sicurezza, ma a sentire le nostre testimonianze interne per come è stata condotta in passato l’emergenza c’è ben poco da fidarsi a scatola chiusa.
Quel che è certo è che nel settore automobilistico, come d’altronde in ogni altro settore produttivo, i capitalisti tenteranno di utilizzare la crisi e la pandemia per portare ulteriormente a compimento i processi di ristrutturazioni aziendali, riducendo ancora di più i salari e i diritti dei lavoratori. Ciò che interessa alla FCA non è certo la salute dei propri dipendenti, ma il modo migliore per affrontare una crisi senza precedenti nel numero di richieste di automobili sul mercato.
Non siamo noi a doverlo dire ai lavoratori, che lo sanno bene, avendo vissuto per anni sulla loro pelle questo processo che ha portato a una riduzione del numero di occupati FCA. È proprio a partire da momenti come questi, che diviene impellente la necessità di apprestare una difesa adeguata degli interessi dei lavoratori, accelerando i processi storici necessari al superamento di rapporti sociali ormai superati dalla realtà.
L’Ordine Nuovo darà voce ai lavoratori e alle loro denunce, fornirà loro indirizzi ed analisi utili a rafforzare le rivendicazioni e le lotte, costituirà una sponda organizzativa per i settori sindacali conflittuali che decideranno di porsi alla testa delle rivendicazioni dei lavoratori, abbandonando la linea di collaborazione unitaria con le aziende voluta dalle dirigenze confederali e lavorando per trasformare questa fase di crisi, in uno slancio di trasformazione generale della società.