Le contraddizioni della UE confermate di fronte alla crisi
Il governo italiano ha annunciato un pacchetto di liquidità per le imprese in difficoltà per la crisi del Covid-19. Il problema è che i 400 miliardi previsti non sono un vero e proprio stanziamento di risorse, bensì la stima limite di prestiti che, fino alla fine del 2020, potranno essere attivati dalle banche sfruttando le garanzie statali. Il grosso delle coperture statali sarà inserito solo nel prossimo Dl di metà aprile.
Il problema maggiore, però, è che le capacità effettive di spesa dello Stato italiano nel contrastare gli effetti della crisi dipendono in gran parte dalle decisioni che vengono prese in sede europea.
A questo proposito bisogna registrare l’insufficienza e, in larga parte, l’inconcludenza delle ultime due riunioni dell’eurogruppo, il consesso dei ministri delle finanze. Ricordiamo che nella prima riunione i Paesi europei si erano spaccati in due fronti, da una parte Italia, Spagna e Francia, e dall’altra l’Olanda e la Germania. La spaccatura verteva sulla modalità di finanziare gli Stati in difficoltà. Italia, Spagna e Francia erano fautori dell’emissione di titoli di debito europei – definiti per l’occasione Coronabonds – Olanda e Germania erano nettamente contrari e invece fautori dell’utilizzo del Mes, seccamente rifiutato dai primi.
Dopo lunghe discussioni sono rimaste abbastanza nette le spaccature tra i vari Paesi. Ma vediamo in dettaglio a che punto è arrivato il processo decisionale europeo che, fra l’altro, è ben lungi dall’essersi concluso e quali sono gli strumenti che, al momento, risultano approntati o in via di definizione.
Il Mes, o meccanismo di stabilità europeo, è stato creato per finanziare gli Stati in difficoltà finanziarie. Il Mes è rifiutato dall’Italia e dalla Spagna perché pone delle condizionalità pesanti sui prestiti concessi, implicando il controllo delle istituzioni europee sulle politiche sociali e di bilancio del paese debitore, sul modello di quanto è accaduto con esiti disastrosi alla Grecia. L’accordo di mediazione, intercorso nell’ultimo eurogruppo, sarebbe quello di un Mes a “condizionalità ridotte”, che, però, non cambia veramente la situazione. In primo luogo, bisogna ricordare che indebitarsi con il Mes è come indebitarsi con una banca privata a cui restituire ogni singolo centesimo. Fra l’altro, il Mes non è un organismo comunitario ma intergovernativo e ogni Stato conserva un diritto di veto. In secondo luogo, i prestiti andrebbero soltanto a sostenere i finanziamenti all’assistenza sanitaria del Covid-19.
Superata l’emergenza, come ha ricordato Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione Europea, i Paesi debitori si impegneranno a rafforzare i loro fondamentali economici, il che significa rimettere a posto i conti e rientrare da deficit e debiti ingranditisi con la crisi, sempre sotto la sorveglianza del Mes.
Fra l’altro, c’è poco da star sicuri sulle “condizionalità ridotte”. Anche le condizioni di prestito del Mes come tutte le condizioni dei debiti contratti dai Paesi europei, possono essere modificate in itinere dalle istituzioni Ue, come specificato dal Regolamento Ue n.472/2013 all’articolo 7, comma 5: “La Commissione, d’intesa con la BCE e, se del caso, con l’FMI, esamina insieme allo Stato membro interessato le eventuali modifiche e gli aggiornamenti da apportare al programma di aggiustamento macroeconomico (…) Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, decide in merito alle modifiche da apportare a tale programma.”
L’altro strumento, discusso nell’eurogruppo e messo in campo dalla Commissione europea è il Sure, un fondo per finanziare la cassa integrazione con 100 miliardi. In realtà, il fondo è ad adesione volontaria e partirà dopo che tutti gli stati Ue avranno aderito. La dotazione effettiva è “fino” a 100 miliardi, perché l’ammontare reale si baserà su quanto gli stati metteranno realmente a garanzia. Inoltre, i contributi del Sure saranno un prestito che andrà a rigonfiare il debito pubblico degli stati che lo useranno.
La Bei, la banca europea degli investimenti, è, al contrario del Mes, un organismo comunitario e ha la possibilità di concedere prestiti. Ha predisposto un fondo di 25 miliardi, in grado di garantire prestiti fino a 200 miliardi alle imprese (e non agli Stati). Si tratta di un ammontare insufficiente. Pensiamo che solo in Italia i prestiti da garantire relativi al “decreto imprese”, come dicevamo sopra, ammontano a 400 miliardi di euro.
Infine, arriviamo al cosiddetto Recovery Fund. Il fondo è il risultato della mediazione esercitata dalla Francia con la Germania sulla questione dei coronabonds. Una mediazione che non risolve nulla, però. In primo luogo, bisogna dire che la Germania e l’Olanda continuano a rifiutare l’idea di mettere in comune il debito degli stati emettendo titoli di debito con una garanzia a livello europeo. Merkel prima dell’ultimo eurogruppo ha ribadito: “…non credo al debito comune a causa della nostra situazione politica ed è per questo che respingo questa idea.” Se la Germania la pensa così che cosa è allora il Recovery Fund? L’accordo dell’ultimo eurogruppo parla in termini generici di un fondo legato al bilancio europeo, finanziato con “strumenti finanziari innovativi”, in linea con i Trattati europei.
Se è vero che il fondo è legato al bilancio europeo vale la pena ricordare che il bilancio europeo vale appena l’1% del Pil della Ue e che in tal modo quanto elargito dal fondo sarebbe una partita di giro, considerando anche che l’Italia è un contributore netto al bilancio europeo. Ad ogni modo, lo strumento dovrebbe essere temporaneo, mirato e proporzionale ai costi straordinari provocati dal Covid-19.
Tutt’altro, insomma, che i coronabonds, per come erano stati prospettati dall’Italia. Inoltre, nel rapporto finale dell’eurogruppo viene indicata soltanto la disponibilità a lavorare su questo fondo. La decisione è rimandata alla prossima riunione del Consiglio europeo, la riunione dei capi di governo europei.
Di fatto l’unico soggetto europeo veramente in campo è la Banca centrale europea con il programma di acquisti di titoli di Stato da 750 miliardi di euro, il cosiddetto Peep. La Bce ad inizio aprile deteneva 380 miliardi di euro di titoli di Stato italiani, mentre tra marzo e dicembre gli acquisti di titoli europei complessivi supereranno i mille miliardi. Inoltre, la Bce, a differenza che nel passato, quando acquistava titoli nazionali in proporzione a Pil e popolazione, si sta concentrando dove prezzi, rendimenti e spread sono sotto maggiore pressione, comprando così più titoli di Stato italiani che tedeschi.
Tuttavia, la capacità di azione della Bce è molto limitata dal suo statuto e dai trattati europei rispetto a quello che possono fare altre banche centrali, come la Banca d’Inghilterra (BoE). In primo luogo, questa può intervenire sul mercato primario, cioè può acquistare direttamente dall’emittente, cioè il ministero delle finanze britannico. Al contrario la Bce è tenuta ad acquistare solo sul mercato secondario, cioè le aste mediante le quali il Tesoro vende agli intermediari finanziari.
In pratica, l’aiuto che la BoE fornisce allo Stato britannico è molto superiore a quello che può offrire la Bce agli stati europei, finanziando direttamente la spesa pubblica mediante l’emissione di denaro. Pensiamo, quindi, alle maggiori difficoltà che l’Italia avrà, rispetto al Regno Unito, a collocare le maxi aste extra che da qui alla fine dell’anno verranno fatte per finanziare l’enorme deficit aggiuntivo per il Covid-19. Inoltre, nell’Eurosistema è vietato usare a debito da parte delle Stato i conti di tesoreria, cioè quei conti tenuti presso le banche centrali, su cui vengono fatti transitare entrate e pagamenti pubblici. Il conto di disponibilità del Tesoro presso la Banca d’Italia, ad esempio, non può avere un saldo negativo, conformemente alla norma comunitaria che vieta qualsiasi forma di finanziamento della Banca centrale al Tesoro, pena la sospensione immediata di qualsiasi forma di pagamento. Al contrario, la BoE ha annunciato un accordo con il Tesoro inglese che prevede un allargamento della Ways and Means Facility, cioè un aumento dello scoperto del conto di tesoreria, cosa che è ammessa dalla legge inglese, allo scopo di minimizzare le conseguenze negative dell’aumento delle aste.
Nel complesso possiamo affermare che l’architettura dell’euro e della Ue e in particolare i principi di austerity e disciplina di bilancio su cui si fonda sono ancora ben lungi dall’essere intaccati, e che permane una decisa spaccatura politica all’interno dell’area euro.
Il funzionamento della Ue e dell’area euro nel corso della crisi del Covid-19, ne conferma il carattere di unità competitiva tra capitali e Stati.