Verso la riapertura in Lombardia. I problemi della fase 2
Secondo gli ultimi dati, anche in Lombardia, una tra le regioni maggiormente flagellata dal virus, l’emergenza Covid-19 comincia a scivolare lentamente verso un rallentamento dei contagi ed una diminuzione dei morti – anche grazie al sacrificio dei lavoratori della sanità e al rispetto, da parte della popolazione delle regole di contenimento.
Nella giornata di ieri a fronte di 6.828 tamponi effettuati sono stati rilevati 827 casi positivi (martedì i positivi trovati erano stati 1.012 su 3.778 tamponi) portando i malati a 62.153. I morti ufficiali hanno raggiunto il numero 11.377 persone con un incremento nelle ultime 24 ore 235 persone. Restano tuttavia preoccupanti i dati riguardanti soprattutto la città di Milano che risulta, in questo momento, l’area che sta subendo maggiormente l’effetto Covid e che insieme a tutta l’area metropolitana indica una continua e costante crescita dei malati.
Difficile insomma tutto sommato sostenere che l’emergenza sia superata: anzi. Proprio su questo si è espresso alcuni giorni fa, in una intervista a SkyTg24, il Professor Massimo Galli, direttore del dipartimento malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano il quale afferma che molto probabilmente i milanesi affetti da Covid-19 potrebbero essere cinque o sei volte più numerosi di quelli che si riescono a misurare tramite l’effettuazione del tampone; tuttavia, il sanitario aggiunge che «le cose stanno andando meglio, perché il grosso della prima ondata dell’epidemia sta esaurendosi e il distanziamento sociale, l’aver chiuso la gente in casa ha spostato l’epidemia nelle famiglie, limitandone il contesto». L’epidemiologo Pier Luigi Lopalco, però, rilancia l’allarme:
“Se le aziende riaperte provocassero l’insorgere di nuovi focolai sarebbe un disastro incommensurabile, i dati che ancora leggiamo rispetto alla situazione della Lombardia sono tutt’altro che confortanti. La circolazione del nuovo coronavirus è ancora importante e riaprire di più in quella zona industriale vorrebbe dire sovraccaricare Milano che ne è il fulcro.”
Nel frattempo, in questa situazione non certo rosea, si comincia a pensare alla cosiddetta fase 2 ovvero alla riapertura progressiva dei luoghi di lavoro e delle attività produttive. Il governatore lombardo Attilio Fontana si è sbilanciato in queste ore con una serie di proposte per la ripartenza del comparto produttivo – ottenendo il plauso di Matteo Salvini, leader della Lega: «Regione Lombardia ha avuto coraggio e orgoglio a dire che dal 4 maggio si torna a lavorare, gradualmente. Dà la luce in fondo al tunnel, non si può morire di virus ora e di fame dopo». Dopo una giornata di conflitti col governo Fontana è ritornato presto sui suoi passi a sera, affermando: «Noi non parliamo delle attività produttive, che sono di esclusiva competenza del governo centrale. Noi parliamo di una graduale ripresa delle attività ordinarie». Ma la questione rimane ancora aperta.
Ad oggi, la possibilità di riaprire tutto il 4 maggio si scontra con la reale capacità di mettere in sicurezza i luoghi di lavoro ed espone il paese al serio rischio di contribuire ad invertire la tendenza alla diminuzione del contagio.
Le aziende rappresentano, infatti, i principali luoghi di “assembramento” che sono rimasti attivi e sono stati gli esperti a certificare una “correlazione positiva” fra chiusura dei luoghi di lavoro e inversione dei livelli di contagio. Gli ultimi dati ci confermano che a Milano il 67,1% dei lavoratori continua a recarsi normalmente a lavoro e numerose sono le autocertificazioni delle aziende che affermano di rientrare nei criteri di riapertura dell’ultimo decreto ovvero la filiera alimentare, il comparto sanitario o di tutti i servizi esclusi dalle misure anticontagio. Secondo i dati dell’8 aprile, le prefetture hanno ricevuto 105.727 autocertificazioni da parte di aziende che hanno riaperto di cui solo 38.524 sono attualmente in corso di verifica mentre 2.296 sono i provvedimenti di sospensione che sono stati attuati. Un rapido calcolo ci permetterà di capire che ben 64.897 aziende sono attualmente aperte senza nessun controllo. Il Viminale ha mobilitato la Guardia di Finanza e sollecita i prefetti ad avvalersi del supporto delle Camere di commercio anche «ricorrendo, ove ritenuto opportuno, alla stipula di appositi protocolli operativi» ma resta un fatto: i margini per eludere i divieti sono molto ampi.
Il governo intanto attende la relazione dalla commissione guidata da Vittorio Colao, ex ad del colosso delle comunicazioni Vodafone, che proprio oggi si riunirà, e dei risultati del comitato tecnico-scentifico, al fine di cominciare a stilare in maniera ufficiale la lista delle modalità di riapertura dal 4 maggio in poi. Quello che appare, però, è che la squadra di Colao non sia concorde con la modalità di riapertura delle aziende basata sui codici Ateco (la classificazione sulla quale si è fatta la distinzione delle attività essenziali e non). Questo criterio dovrebbe cedere il passo ad uno più funzionale che prenda in considerazione quali filiere possano mettere in sicurezza gli operai e ripartire da quelle.
Un criterio del genere servirebbe in realtà a consentire la riapertura di un numero maggiore di aziende dal momento che potrebbe funzionare solo in senso estensivo immaginando che le aziende “essenziali” non si possano chiudere per definizione.
Rimangono forti dubbi sulla possibilità del governo di stabilire cosa sia effettivamente sicuro e cosa no, oltre alla difficoltà di effettuare un reale controllo sulle aziende, essendoci già difficoltà con le richieste tutt’ora pervenute per la riapertura. L’unica cosa certa è che il lockdown produttivo in Lombardia non è mai stato realmente esteso e che riaprire ulteriormente in maniera prematura con l’idea di favorire l’economia potrebbe causare un nuovo aumento dei contagi e delle vittime.