I soprusi sionisti contro il popolo palestinese non si fermano nemmeno davanti alla pandemia
L’aggressione e le misure repressive dell’occupante sionista contro il popolo e i lavoratori palestinesi non si fermano nemmeno di fronte al diffondersi dell’epidemia del Covid-19 e della crisi sanitaria, mettendo a rischio la vita di oltre 5 milioni di palestinesi che vivono nei territori occupati. È notizia di questi giorni l’irruzione delle forze di polizia israeliana in una clinica che effettuava i test del coronavirus nel quartiere palestinese di Silwan, a Gerusalemme est e l’arresto diversi attivisti.
Secondo il Wadi Hilweh Information Center di Silwan vi sono già almeno 45 casi di coronavirus in questo popoloso quartiere in cui vivono circa 30.000 palestinesi e l’incidenza è in rapido aumento a causa del sovraffollamento. La situazione si aggrava a causa della mancanza di test del coronavirus e la popolazione vulnerabile del quartiere si trova del tutto sprovvista di assistenza medica a seguito della chiusura della clinica con l’accusa di collaborare con l’Autorità Nazionale Palestinese.
Gerusalemme est
In tutta Gerusalemme est la pandemia è in rapida diffusione nonostante l’isolamento in casa che però potrebbe non durare molto a causa della mancanza di forniture di cibo in un’area in cui abitano 350.000 palestinesi.
Secondo fonti mediche, sarebbero almeno già un centinaio i casi ma non c’è alcuna certezza sui numeri reali in quanto le autorità sioniste stanno deliberatamente nascondendo le informazioni sulla diffusione della malattia nella città occupata dove non ci sono luoghi di quarantena per coloro che sono stati in contatto con i pazienti COVID-19.
Oltre alla criminale chiusura della clinica di Silwan e a nascondere la situazione a Gerusalemme est, le autorità sioniste di occupazione stanno impedendo l’attività dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (UNRWA) per prevenire la diffusione nei campi profughi di Gerusalemme occupata. Secondo quanto dichiarato dal portavoce dell’UNRWA, Sami Mshasha, all’agenzia di stampa palestinese Wafa, le restrizioni che Israele sta attualmente imponendo alle attività dell’UNRWA nella città occupata sono una estensione di quelle introdotte da due anni in seguito al riconoscimento statunitense di Gerusalemme come capitale di Israele e al trasferimento della sua ambasciata da Tel Aviv. Queste includono impedimenti all’attività dell’UNRWA e del Ministero della Salute palestinese per la fornitura di servizi sanitari ai palestinesi nella Città Vecchia, gli altri quartieri dell’area urbana (come Silwan) e i campi profughi, in particolare quello di Shuafat a nord-est di Gerusalemme. La quarantena ha inoltre inevitabilmente un impatto rilevante sulla situazione economica di tutti i residenti di Gerusalemme Est, ma soprattutto per coloro che adesso non beneficiano più dei servizi dell’UNRWA a causa delle misure introdotte da Israele due anni fa, per non parlare delle detenzioni, incursioni e restrizioni quotidiane in corso sui movimenti dovute all’occupazione.
Cisgiordania
In Cisgiordania, Israele continua ad aggredire la popolazione palestinese, sequestra attrezzature per la costruzione di ospedali da campo, confisca pacchi di alimenti per famiglie in quarantena, esegue incursioni in casa nel cuore della notte e continua con gli arresti arbitrari di minorenni.
Per citare alcuni casi tipici della condotta sionista, le forze di occupazione stanno ripetutamente impedendo la presenza di volontari palestinesi in presidi istituiti in due villaggi occupati nel nord-est della Valle del Giordano. A fine marzo le autorità sioniste sono arrivate nella comunità palestinese di Khirbet Ibziq, con una scorta di jeep militari, un bulldozer e due camion con gru, sequestrando pali e teli che dovevano essere usati per erigere otto tende: due per una clinica da campo, quattro per alloggi di emergenza per i residenti evacuati dalle loro case e due come moschee improvvisate.
Nemmeno in questi giorni si fermano inoltre le demolizioni di case nei territori occupati della Cisgiordania, una pratica utilizzata per cacciare i palestinesi dalle loro terre, favorendo l’annessione di fatto a Israele e l’insediamento degli 800.000 coloni che proseguono nelle loro aggressioni contro pastori e agricoltori godendo di una totale impunità.
Secondo i dati forniti dal gruppo di monitoraggio dell’ONU OCHA, nel corso della pandemia le aggressioni dei coloni contro palestinesi nei territori occupati della Cisgiordania sono aumentati del 78%. Domenica scorsa, i coloni hanno sradicato circa 350 alberelli di ulivo nella città di al-Khader, vicino alla città occupata di Betlemme mentre lunedì coloni israeliani dell’insediamento illegale di Gush Etzion hanno aperto gli scarichi delle acque reflue per allagare i terreni agricoli palestinesi nel vicino villaggio di Beit Ummar, nella Cisgiordania meridionale, distruggendo i raccolti.
Un altro vile attacco è avvenuto all’alba del 14 aprile ad opera del gruppo nazionalista Hilltop Youth, che ha stabilito degli avamposti illegali nei territori della Cisgiordania occupati da Israele. Posti in quarantena essendo risultati positivi al Covid-19, una ventina di suoi membri sono fuggiti dal luogo in cui si trovavano per attaccare un gruppo di palestinesi nei pressi di Metzoke Dragot, nella Cisgiordania meridionale, contro cui hanno lanciato pietre e gas lacrimogeni, oltre a dare fuoco a diversi veicoli, con la complicità dell’esercito occupante.
Gaza
La situazione è ancora più problematica nella Striscia di Gaza, dove a fine marzo Israele non ha rinunciato ad effettuare nuovi bombardamenti notturni con missili aria-terra e a intensificare il blocco approfittando della pandemia, ponendo come condizione per il loro aiuto nell’assistenza medica il ritorno dei suoi soldati catturati nella guerra del 2014.
La Striscia di Gaza è uno dei territori più densamente popolati al mondo, con una media di 4570 abitanti per chilometro quadrato con punte sino a 13mila a Gaza City, e il contenimento della pandemia è reso impossibile dal blocco israeliano che da anni impedisce il passaggio a medici e operatori sanitari in numero sufficiente, riducendo sistematicamente la fornitura di cibo, carburante, medicinali e materiale da costruzione.
Il laboratorio centrale ha esaurito lo scorso 9 aprile le scarse forniture per analizzare i test del Covid-19 e mancano materiali per esigenze mediche e di laboratorio, con una carenza di farmaci del 39%, di respiratori e letti di terapia intensiva. Gaza dispone infatti di soli 70 posti letto in terapia intensiva con un numero già enorme di pazienti ospedalizzati per via dei circa 8mila palestinesi feriti dai cecchini Israeliani nelle proteste della marcia del ritorno. Si stima che il fragile sistema sanitario di Gaza sia in grado di gestire solo 100-150 casi di coronavirus.
Prigionieri nelle carceri israeliane
Anche la situazione dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane è oltremodo drammatica e aggravata dalla pandemia che mette ancor di più a rischio la loro salute e vita. I prigionieri continuano a essere soggetti a ampie violazioni dei loro diritti e dignità, inaccettabili condizioni di vita senza misure igieniche di base, senza cure mediche persino in condizioni di pandemia. Circa 5.000 palestinesi sono attualmente detenuti nelle carceri e nei centri di detenzione israeliani, tra cui 183 bambini e oltre 400 detenuti in detenzione amministrativa, una forma di detenzione senza accusa o processo che Israele usa per trattenere i palestinesi in modo indefinito per strappare informazioni. Dall’inizio dell’anno sono 1.300 i palestinesi arrestati, tra cui 210 minorenni e 31 donne, e sono stati emessi 295 ordini di detenzione amministrativa. Solo nel mese di marzo, in piena pandemia, i palestinesi arrestati sono stati 357, tra cui 48 bambini e quattro donne. Circa 700 detenuti sono feriti o malati, di cui 200 affetti da malattie croniche e maggiormente esposti agli effetti mortali del Covid-19.
Le uniche medicine disponibili sono degli antidolorifici e non vengono forniti dispostivi di sicurezza: «usate le calze al posto delle mascherine» è ciò che l’autorità carceraria ha risposto alle richieste dei prigionieri.
Attraverso un appello internazionale i prigionieri palestinesi denunciano come non sia stata «adottata alcuna misura reale di tutela e non abbiamo visto un minimo segnale di buon senso e di prevenzione nei nostri confronti. La negligenza sanitaria e il ritardo nelle cure perseguitano da sempre le/i detenute/i palestinesi nelle carceri israeliane. Già in passato molti prigionieri sono deceduti proprio per la mancanza di cure mediche. Figuriamoci ora che le autorità sanitarie israeliane hanno già dichiarato di non essere in grado di assorbire il crescente numero dei pazienti colpiti dal virus. Come si sa, l’unico modo – e forse l’unica speranza – per ridurre il contagio e la propagazione del Coronavirus è quello di fare attenzione, prendere le adeguate misure precauzionali e cautelative ed applicare rigidamente una serie di pratiche igienico-sanitarie. Ma l’amministrazione carceraria israeliana non fornisce nulla: nessun mezzo per la sterilizzazione e nessuna mascherina. Siamo di fronte ad azioni formali che si avvicinano di più a minacce vere e proprie piuttosto che a degli accertamenti sanitari o reali pratiche preventive. L’unico nostro contatto col mondo esterno è rappresentato dai nostri carcerieri. Loro non esitano ad entrare in contatto con noi, senza rispettare la distanza di sicurezza, con il rischio appunto di contagiarci. Gli agenti dell’amministrazione carceraria hanno la possibilità eventualmente di isolarsi e sottoporsi alle dovute cure. Noi, ovviamente, no!».
Lavoratori palestinesi
Sono circa 60.000 i lavoratori palestinesi sfruttati in fabbriche, cantieri edili, nell’agricoltura, nella raccolta di frutta e verdura e nell’allevamento di polli/uova in Israele e circa altri 30.000 nelle colonie sioniste in Cisgiordania. I padroni israeliani non hanno fornito loro alloggi o misure di protezione contro la pandemia di coronavirus, costringendo molti lavoratori a dormire nei cantieri e nelle serre. Non forniscono naturalmente alcuna assistenza medica né test, ma in caso di sospetto di malattia con semplici sintomi para-influenzali, i lavoratori palestinesi vengono scaricati come spazzatura dalle autorità israeliane nei checkpoint nella Cisgiordania occupata senza preoccuparsi della loro vita, salute e sicurezza. È il caso del lavoratore Malek Jayousi, il cui video ha fatto il giro dei social network, ripreso mentre giaceva sul ciglio di una strada vicino al checkpoint di Beit Sira / Macabbim dove era stato abbandonato dalla polizia israeliana che lo aveva prelevato dal cantiere edile nei pressi di Tel Aviv dove lavorava. Un video che è diventato il simbolo della continua pratica disumana, classista e razzista delle autorità borghesi israeliane. Sono molteplici infatti le denunce seguite di altri casi simili.
Di fronte a questo quadro, la propaganda sionista ha l’ardire, con la compiacenza dell’ONU, di esaltare in questi giorni la “bontà” di Israele e la cooperazione del suo esercito con l’Autorità Nazionale Palestinese, per garantire la “sicurezza” e per aver inviato a Gaza kit di analisi ed altre apparecchiature. La realtà è che invece Israele ne sta approfittando per implementare nuove pratiche repressive, acquisire nuovi vantaggi militari sul campo, realizzare le proprie mire espansionistiche soprattutto a Gerusalemme e nella Valle del Giordano mentre fornisce meno del minimo indispensabile che è di sua responsabilità in quanto forza occupante.
Solidarietà internazionalista con il popolo e i lavoratori palestinesi
La lunga ed eroica lotta del popolo e dei lavoratori palestinesi per la giustizia attraverso il continuo rifiuto di sottomettersi agli imperialisti, ai sionisti e ai disegni borghesi nella regione, è fonte di ispirazione per lotte popolari in tutto il mondo e proprio in questi giorni il nostro sostegno necessita di rafforzare la solidarietà e l’azione internazionalista.
Una solidarietà reale che non si limita a chiedere il “rispetto del Diritto internazionale” ma sostiene la Resistenza del popolo palestinese e delle sue componenti comuniste e progressiste, che solo con la loro lotta potranno metter fine all’occupazione e all’aggressione d’Israele, ai piani dei suoi alleati come l’UE e gli USA per rafforzare la loro influenza geopolitica nella regione contro altre potenze concorrenti, agli interessi delle borghesie arabe, al collaborazionismo e a ogni tipo di forze reazionarie.
Al loro fianco dobbiamo unire le nostre forze condannando la complicità dell’imperialismo italiano nei piani imperialisti nella regione e nell’oppressione del popolo palestinese, chiedendo la liberazione immediata di tutti i palestinesi e degli altri prigionieri politici detenuti nelle carceri israeliane e il diritto al ritorno di tutti i rifugiati palestinesi, per l’instaurazione di uno Stato palestinese con capitale Gerusalemme est, indipendente, laico e democratico, per una società socialista in grado di liberare il popolo e i lavoratori da ogni tipo di sfruttamento e oppressione.
La sconfitta o l’indebolimento del nostro nemico comune in ogni angolo del mondo, rafforza le lotte dei lavoratori e dei popoli in ogni altro paese.