I LAVORATORI DELLO SPETTACOLO AI TEMPI DELLA CRISI SANITARIA
A un mese dal lockdown imposto dal governo, a causa dell’epidemia di Covid-19, si tirano le somme di quella che può essere considerata la più grave crisi del settore dello spettacolo nel nostro paese.
L’intero comparto ha subito un duro contraccolpo: teatri chiusi, spettacoli e concerti annullati, intere stagioni nei teatri lirici e di prosa cancellate e i festival estivi (il Festival dell’Arena di Verona, il Festival Pucciniano, il Rossini Opera Festival, le opere allestite al Teatro Greco di Taormina e alle Terme di Caracalla a Roma) in una sorta di limbo con la quasi certezza che verranno annullati; tuttavia coloro che, in questo momento, ne stanno subendo le estreme conseguenze sono i lavoratori.
Le figure messe in difficoltà da questa crisi sono molteplici: cantanti, attrezzisti, attori, registi, ballerini, orchestrali, scenografi, parrucchieri, sarti, truccatori, tecnici audio e video; stiamo parlando di numeri importanti di un settore che troppo spesso viene considerato, da chi amministra lo Stato, superfluo se non addirittura inutile. Da uno studio effettuato dalla “Fondazione Centro Studi Doc” si evince che attualmente il 90% dei lavoratori dello spettacolo, quindi un numero che si aggira intorno a 300.000/380.000 persone, sono fermi e quasi abbandonati a loro stessi, soprattutto tutte quelle figure professionali che hanno contratti precari a tempo determinato o “a chiamata”.
Molto critica è la situazione all’interno delle fondazioni lirico-sinfoniche dove le tipologie di lavoratori sono numerose: si va dai coristi e dagli orchestrali con contratto a tempo indeterminato a queste stesse figure ma con contratti a termine, dai mimi ai figuranti (comparse) che vengono pagati a chiamata, dai tecnici luci, ai macchinisti, ai tecnici del suono e poi i maestri di palco, le sarte e i cantanti solisti di cui solamente un piccolo numero può vantare la “fortuna” di avere un contratto fisso ma che nella maggior parte vengono contrattualizzati in base agli spettacoli, ai fondi disponibili, alla maestosità delle regie e che in questa situazione restano a bocca asciutta o con solamente il piccolissimo aiuto dei 600 euro di bonus Covid19.
Doveroso puntualizzare che solo dopo le forti pressioni di tutti i lavoratori il governo si è deciso a garantire l’accesso al bonus anche ai lavoratori dello spettacolo.
Ma alcuni sono rimasti comunque fuori dal sussidio dei 600 euro garantito nel decreto “Cura Italia”: si tratta dei lavoratori intermittenti dello spettacolo, oltre 200.000 in tutta Italia, che non hanno accesso né alla cassa integrazione in deroga né alla disoccupazione. Una situazione inaccettabile che, nonostante le molte denunce, non ha ancora visto il Governo risoluto a trovare una soluzione.
Allo stato attuale gli stipendi per i lavoratori delle fondazioni liriche sono stati regolarmente pagati per il mese di marzo ma già per aprile si prospettano numerosi problemi, le amministrazioni stanno utilizzando tutti quegli escamotage volti a garantire il maggior risparmio possibile per le casse gravando sulla pelle dei lavoratori, ad esempio al Teatro Carlo felice di Genova si parla di utilizzare il F.I.S. integrandolo utilizzando le ferie cumulate e mettendo a recupero futuro le ore non lavorate, a Roma al Teatro dell’Opera per il mese di aprile si adotterà il sistema di utilizzare le ferie arretrate ma c’è incertezza sul futuro, al Teatro San Carlo di Napoli e al Massimo di Palermo è già in corso l’utilizzo del FIS e l’elenco è lungo…
IL FIS è il Fondo d’Integrazione Salariale ovvero un fondo di supporto per quei lavoratori che non possono accedere alla cassa integrazione ordinaria o straordinaria ma che tuttavia può coprire con un assegno ordinario solo il 60% dello stipendio e per un tempo limitato in questo caso di sole 9 settimane.
La fase due sembra vicina ma fino ad ora i decreti governativi non hanno riservato buone notizie per questo comparto, il quale, per l’attuale sistema economico, probabilmente non “produce” sufficiente ricchezza e i tempi di riapertura appaiono una chimera; dalle incessanti riunioni delle associazioni di categoria non sembrano emergere soluzioni, che potranno essere date, in parte, solo dal comitato scientifico preposto poiché le problematiche derivanti dal distanziamento in teatro sembrano quasi insormontabili.
Alcune fantasiose proposte come quella di mettere l’orchestra in platea e parte del pubblico nelle balconate non sembrerebbero aver riscosso particolare successo, tuttavia il problema non è solo degli artisti infatti dietro le quinte c’è un mondo brulicante di tecnici e maestri che risulta difficile immaginare che possano lavorare sufficientemente distanziati durante prove e spettacoli.
Le voci si susseguono rapide ma la data per la riapertura che ormai rimbalza tra gli addetti è dicembre 2020, questo significherebbe un intero anno di stop, un intero anno senza stipendio, senza sussidi per quasi 300.000 lavoratori che presto o tardi finiranno i pochi risparmi e si ritroveranno in una crisi che mai avrebbero immaginato e senza che lo Stato si sia mosso in modo realmente concreto, nonostante abbia confermato i finanziamenti FUS (in deroga alle restrizioni di bilancio della Legge Bray) ed abbia messo sul piatto un ulteriore finanziamento di 130 milioni di euro che a conti fatti difficilmente potranno bastare.