Cuba – non parliamo di embargo: il bloqueo è un atto di guerra
Sono praticamente passati sessant’anni da quando è cominciato il blocco statunitense contro Cuba, dichiarato ufficialmente attivo dal governo di John Fitzgerald Kennedy il 7 febbraio del 1962, mentre politiche e azioni di blocco erano già state intraprese dal 1959, poco dopo la vittoria della Rivoluzione sul regime filo-americano di Batista. Sul bloqueo sono tornati i riflettori in questi ultimi giorni dopo che il governo cubano aveva denunciato la sospensione della vendita a Cuba di ventilatori polmonari da parte dell’azienda fornitrice. In Italia è partita subito la campagna di solidarietà #Cubarespira lanciata dal Fronte della Gioventù Comunista, che ha evidenziato come la criminalità e l’illegalità di questo atto contro la stessa esistenza dello Stato cubano non si sia fermata neppure di fronte a questioni sanitarie legate all’attuale emergenza. Cuba, ci ricorda il comunicato del FGC[1], per quanto abbia un sistema sanitario all’avanguardia e con a disposizione le necessarie strutture e posti letto, oltre a un’adeguata presenza di personale sanitario, rimane un’isola di 11 milioni di abitanti che non può vivere esclusivamente chiusa in se stessa e necessità di un commercio con l’estero per garantirsi alcuni beni essenziali.
Fra questi, vi sono i ventilatori polmonari che l’agenzia governativa Medicuba ha cercato di acquistare invano dalle aziende con cui si riforniva in precedenza: IMT Medical AG e Acutronic. Queste, essendo state recentemente comprate da una compagnia statunitense, hanno ricevuto nuove direttive, fra cui quella di divieto di commercio estero con Cuba, anche per le attrezzature considerate vitali per assistere pazienti affetti da Covid-19.
Questa situazione, per quanto si mostri esplicitamente in tutta la sua efferatezza, è solo la punta di un iceberg che è presente da decenni ed è causa di danni enormi all’economia e al popolo cubani. L’iceberg di cui parliamo è appunto il blocco totale imposto dagli USA su Cuba, da non confondere semplicemente con il concetto di embargo. Si tratta di un attacco all’economia cubana prolungato, consistente nell’impedire rapporti e comunicazioni con l’estero con l’obiettivo di portare alla resa, a causa dei danni causati, la realtà assediata. Il blocco, per come è stato definito nel 1909 dalla Conferenza Navale di Londra, è un’azione di guerra, dunque utilizzabile esclusivamente fra belligeranti. La mancanza del blocco fra gli strumenti “pacifici” di sanzione internazionale ancor più evidenzia l’ingiustificabilità della repressione statunitense verso Cuba, senza contare l’ultima votazione compiuta alle Nazioni Unite contro il bloqueo, dove tutti gli Stati votanti hanno dato parere favorevole, eccetto gli Stati Uniti, Israele e il Brasile (3 contro 187, oltre a due astenuti, Colombia e Ucraina).
I danni causati dal bloqueo sono enormi, come evidenzia il rapporto che il Ministero degli Affari Esteri stila annualmente. L’ultimo report[2], oltre a evidenziare la rinnovata ostilità sostenuta dall’amministrazione Trump e il continuo ricorrere a false accuse di violazione di diritti umani per giustificare il blocco, afferma che da aprile 2018 a marzo 2019 i danni economici causati da esso sono stati equivalenti alla perdita di più di 4,3 miliardi di dollari. I danni totali nei sei decenni di applicazione del bloqueo invece, calcolando anche il deprezzamento del dollaro, equivalgono a quasi 139 miliardi di dollari. Tutto ciò rappresenta un freno enorme allo sviluppo dell’economia socialista cubana e al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile che il paese si è dato per il 2030, oltre al superamento delle difficoltà riguardanti il presente. A settembre dell’anno scorso, il ministro degli Esteri de l’Avana Bruno Rodriguez ha dichiarato, alla presentazione dell’ultimo report sul blocco statunitense, come fra le principali difficoltà attuali vi siano lo sviluppo del turismo – importante fonte di ricavi per il paese – e l’approvvigionamento di carburante e di medicine. Come si è potuto vedere con gli ultimi avvenimenti, questa situazione problematica non si è attenuata di fronte all’emergenza sanitaria, ma ha proseguito nonostante le denunce pervenute da più parti del mondo contro la violenza perpetrata dagli Stati Uniti.
Alcuni penseranno: in fondo si tratta di un blocco che riguarda le aziende statunitensi, nulla vieta ad altri paesi di commerciare con Cuba. Al di là delle ovvie difficoltà a commerciare con paesi più distanti geograficamente e tralasciando come moltissime aziende siano legate agli Stati Uniti, in realtà la natura del blocco assume sempre più carattere internazionale, al punto che molte compagnie, specie occidentali, hanno paura a cominciare o proseguire relazioni economiche con Cuba per possibili ritorsioni del governo americano.
Esempio emblematico dell’attuale situazione è l’attuazione, avvenuta ad aprile dell’anno scorso, del titolo III dell’Helms-Burton Act del 1996, con cui l’amministrazione Trump ha dato la possibilità agli americani di citare in giudizio società statunitensi e internazionali che ottengono profitti da proprietà nazionalizzate dopo la rivoluzione cubana del 1959. Fra le aziende già citate in tribunale, troviamo colossi come American Airlines, Société générale e Amazon Inc. Tra i risultati della stretta repressiva, si può notare anche la decisione di molti istituti bancari – come la banca svizzera PostFinance o la Multibank di Panama – di non processare più transazioni di account legati al territorio cubano, di fronte alla possibilità di ricevere pesanti multe. Per quanto alcune società stiano comunque cercando di continuare le relazioni economiche con Cuba, ingegnandosi in vari modi per aggirare il rischio di sanzioni, la maggioranza sta comunque rivalutando i propri piani a breve e lungo termine, di fronte alla mancanza di sicurezze che l’aumento del blocco sta implicando. Il risultato è che lo Stato cubano ha sempre più difficoltà a finanziare i propri progetti, come la produzione di zucchero e lo sviluppo delle energie alternative fra gli esempi.
Il blocco allo Stato cubano è un atto criminale, ingiustificato e che causa danni enormi al popolo del paese: questo è ovvio. La domanda che sorge, però, è: per quale motivo gli Stati Uniti continuano a perseguire questa politica genocida contro un’isola di 11 milioni di abitanti? Contro una realtà che non rappresenta nessuna minaccia a livello economico e tanto meno militare?
Sono chiarificatrici le parole pronunciate da Fidel Castro il 16 aprile del 1961[3], quando, proclamando per la prima volta il carattere socialista della rivoluzione, ricordò che la guerra fra Stati Uniti e Cuba non è una guerra fra potenze imperialistiche, ma fra due differenti sistemi: il capitalismo e il socialismo. Se gli Stati Uniti hanno deciso di cominciare questa guerra – e continuano tutt’ora a perseguirla – non lo stanno facendo per evitare di perdere fette di mercato o di essere colpiti da Cuba, essendo questa uno Stato rimasto fedele all’internazionalismo e alla pace e collaborazione fra popoli. La guerra portata avanti dal blocco – che è, appunto, un’azione di guerra a tutti gli effetti – rappresenta la volontà capitalista di strozzare l’unico Stato del continente americano che prosegue in una direzione socialista. Ciò che fa veramente paura al governo degli Stati Uniti è che uno Stato, per quanto piccolo o insignificante nello scacchiere geopolitico, sia capace di dimostrare che un’alternativa al capitalismo esiste. Che si può anteporre il benessere della collettività e gli interessi del popolo ai profitti di pochi padroni. Questo perché, di fronte ad un sistema capitalista sempre più immerso in contraddizioni e da cui scaturiscono forti conflitti sociali, l’esempio di un’alternativa seria e di classe potrebbe essere un simbolo di riscatto per tutte quelle persone che sono costrette a vivere in una società che si fonda sulle disuguaglianze e che, per continuare a sussistere, deve mantenere i propri cittadini nell’ignoranza. La coscienza di classe è la peggiore malattia per il capitalismo: questo, i padroni statunitensi e non solo lo sanno molto bene.
Cuba risulta così colpevole di puntare prima di tutto al benessere collettivo del proprio popolo – nonché di quello degli altri popoli, come le due brigate mediche cubane giunte in Italia ci hanno dimostrato. Una colpa che, nonostante il blocco, ha portato Cuba a essere un paese all’avanguardia nel garantire a ciascun cittadino una vita dignitosa, indipendentemente dalla ricchezza o posizione sociale di ciascuno. Così, mentre Cuba viene riconosciuta da diversi organi internazionali come un paese con un sistema sanitario fra i più avanzati, nonché come realtà capace di garantire i diritti e bisogni fondamentali del proprio popolo con un sistema di sviluppo sostenibile anche a livello ambientale[4], gli Stati Uniti perseverano in una guerra senza alcuna giustificazione se non quella della lotta di classe. Per concludere, riprendendo Fidel Castro: non è una guerra fra potenze imperialistiche, è una guerra fra capitalismo e socialismo. Fra lo sfruttamento dei popoli e la liberazione di essi.
[1] http://www.gioventucomunista.it/cubarespira-aiutiamo-chi-ci-aiuta-appello-alla-mobilitazione-contro-il-bloqueo/.
[2] Versione tradotta dall’Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba: https://italiacuba.it/2019/10/10/cuba-contro-il-blocco/.
[3] Per approfondire, si veda l’articolo https://www.lordinenuovo.it/2020/04/16/fidel-castro-annuncia-il-carattere-socialista-della-rivoluzione-16-aprile-1961/.
[4] https://morningstaronline.co.uk/article/w/cuba-found-to-be-the-most-sustainably-developed-country-in-the-world-new-research-finds oppure si veda il seguente articolo che riassume il sistema di sviluppo sostenibile a Cuba: https://www.gazzettafilosofica.net/2019-1/dicembre/l-uomo-e-la-natura-il-caso-cubano/.]