La lotta per la riduzione dell’orario di lavoro è la lotta dei lavoratori per il loro tempo
La Federazione Sindacale Mondiale (FSM/WFTU), per onorare in maniera militante i 75 anni dalla sua fondazione, ha lanciato per il prossimo Primo Maggio una campagna che si propone di sviluppare le lotte dei lavoratori in ogni angolo del pianeta mediante la parola d’ordine delle “35 ore settimanali di lavoro” in ogni paese[1].
Ma qual è il ruolo della riduzione dell’orario di lavoro nella lotta generale per la costruzione di una nuova società libera dallo sfruttamento?
Da un punto di vista storico, il primo testo che documenta la lotta operaia per le 8 ore giornaliere risale all’Inghilterra dei primi decenni del XIX secolo, ma è dopo la guerra civile americana che il tema assunse dimensioni dirompenti. È a questo punto che si inserisce la lotta della Prima Internazionale, che ambisce a unire le parti più avanzate del movimento operaio in lotta nel mondo capitalistico più sviluppato, intorno a questioni come l’abolizione del lavoro minorile e del lavoro notturno, oltre che, appunto, alla limitazione dell’orario giornaliero.
“Una condizione preliminare, senza la quale tutti gli ulteriori tentativi di miglioramento ed emancipazione devono rivelarsi abortivi, è la limitazione della giornata lavorativa. È necessaria per ripristinare la salute e le energie fisiche della classe operaia, cioè il grande corpo di ogni nazione, nonché per garantire loro la possibilità di sviluppo intellettuale, rapporti sociali, azione sociale e politica.”[2]
Con queste parole scritte nel 1866, Karl Marx ci fornisce una prima risposta al tema, per comprenderne pienamente la centralità, in un documento redatto in occasione del congresso di Ginevra dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, la cosiddetta Prima Internazionale.
La questione dell’orario di lavoro, oltre ai risvolti sociali sull’emancipazione e sulla possibilità concreta di svolgere attività politiche da parte delle masse, ha una posizione fondamentale all’interno di tutta l’analisi del capitale svolta da Marx ed Engels nel corso dello sviluppo del socialismo scientifico.
Non è questa la sede per un’analisi più approfondita sul rapporto tra orario di lavoro, estrazione di plusvalore, salario, ma ci limitiamo a proposito a citare l’introduzione di Engels agli scritti di Marx pubblicati sotto il nome “Lavoro salariato e capitale” a metà del XIX secolo, invitandone ad una lettura completa:
“Nello stato attuale della produzione, la forza lavoro dell’uomo non solo produce in un giorno un valore superiore a quello che essa possiede e a quello che costa; ad ogni nuova scoperta scientifica, ad ogni nuovo perfezionamento tecnico, questa eccedenza del suo prodotto giornaliero sul suo costo giornaliero aumenta, cioè si riduce quella parte della giornata di lavoro in cui l’operaio produce l’equivalente del suo salario, e si allunga perciò d’altro lato quella parte della giornata in cui egli deve regalare al capitalista il suo lavoro senza essere pagato. Tale è la costituzione economica di tutta la nostra società attuale: solo la classe operaia è quella che produce tutti i valori.” [3]
Ma è solo dopo la Rivoluzione d’Ottobre che i paesi capitalistici, sotto la spinta coordinata dell’URSS dall’esterno e dei movimenti operai e dei partiti comunisti internamente, sono costretti a introdurre la limitazione delle otto ore, a seguito di lotte e di sacrifici di tutti i lavoratori. Fu con i Decreti di Novembre che il governo dei Commissari del Popolo introdusse tutta una serie di misure rivolte direttamente a migliorare le condizioni degli operai e dei contadini, tra le quali la riduzione dell’orario della giornata lavorativa a otto ore.
Nel movimento operaio internazionale la parola d’ordine delle “otto ore di lavoro, otto di riposo e otto di tempo libero” divenne centrale in questo tipo di rivendicazione. In Italia nel 1919 la FIOM conquistò le otto ore, prima categoria nel nostro paese. Nel secondo dopoguerra si riaccende la proposta della riduzione dell’orario, puntando alle 36 ore settimanali, quando da un punto di vista giuridico i limiti erano di 8 ore giornaliere e 48 alla settimana. Le 40 ore verranno raggiunte al culmine delle poderose mobilitazioni di massa degli anni 1969 e 1970: quello sarà il punto più alto delle rivendicazioni operaie in Italia, che coinciderà simbolicamente e sostanzialmente con l’approvazione dello Statuto dei Lavoratori.
Da allora molto è cambiato. Dagli anni ’80 assistiamo ad un attacco continuo alle condizioni di lavoro che ha minato nella sostanza e in molti casi anche nella forma giuridica la validità di certi diritti che sembravano acquisiti. Lo Statuto è stato progressivamente svuotato, l’articolo 18 cancellato, il diritto di sciopero gravemente menomato. Anche l’orario di lavoro è stato pesantemente deregolamentato: in particolar modo le nuove generazioni hanno perso ogni diritto acquisito negli anni dal movimento operaio. Non solo in settori tendenzialmente più avvezzi ad una elasticità di orari, penso ai giovani nei bar, nei ristoranti, in cui ormai è normale la richiesta di lavorare 60-72-80 ore a settimana, ma anche in settori della grande industria, con il ricorso a straordinari obbligatori, “flessibilità” concordate o meno, sabati, domeniche, lavoro notturno.
La linea tendenziale del capitale è stata quella di scaricare i profitti persi con la crisi sulle spalle dei lavoratori, attraverso la rottura del limite delle 40 ore e delle 8 ore giornaliere, che vede oggi svariati settori – pensiamo ai medici e ai loro turni di 12 ore o agli stessi operai sotto il ricatto della chiusura degli stabilimenti – essere accomunati dall’interesse generale di ridurre l’orario lavorativo, in profondo e insanabile contrasto con l’interesse padronale.
“Oggi, mentre il progresso scientifico e tecnologico e l’utilizzo di progressi scientifici sempre nuovi nel processo produttivo aumentano la produttività del lavoro, è socialmente ingiusto indirizzare i profitti a beneficio dei capitalisti. La WFTU ritiene che gli utili dovrebbero essere dati per il miglioramento delle condizioni di lavoro di tutti i lavoratori del pianeta. Dovremmo lavorare meno ore con salari e condizioni migliori che promuovano il progresso culturale, umanitario e ambientale.” [1]
In una delle fasi di crisi più acute della storia del capitalismo (pensiamo alla misura della perdita di PIL dei principali paesi) e allo stesso tempo tra le più prolungate (dal 2006-2008 quasi senza soluzione di continuità nonostante misure macroeconomiche imponenti a salvaguardia di banche e grandi monopoli), un’uscita dalla crisi per il proletariato è realizzabile solo attraverso la costruzione di una nuova, avanzata stagione di lotte, che sappia rilanciare temi moderni, inediti, legati alle caratteristiche del mondo contemporaneo ma anche temi storici della lotta per l’emancipazione della classe operaia.
Tra questi sicuramente la lotta per la limitazione e la riduzione dell’orario di lavoro costituisce uno dei fulcri fondamentali: attraverso la parola d’ordine delle 35 ore settimanali ovunque e per tutti, si attacca da un lato lo sfruttamento illimitato da parte dei padroni ai lavoratori e dall’altro si dà la possibilità di liberare nuovi posti di lavoro, unendo le lotte del proletariato momentaneamente senza lavoro con quello già occupato.
Per un Primo Maggio di lotta, rilanciamo la battaglia per le 35 ore.
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[1] http://www.wftucentral.org/honoring-the-75-years-of-the-wftu-historic-course-we-give-the-slogan-of-the-fight-in-order-to-demand-at-world-level-35-hours-of-work-per-week
[2] Karl Marx, Istruzioni ai delegati per il Congresso dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, Ginevra, settembre 1866 https://www.marxists.org/history/international/iwma/documents/1866/instructions.htm#03
[3] Engels, Introduzione del 1891 a Karl Marx, Lavoro salariato e capitale