Fase 2: al di là dell’autoelogio, detta legge Confindustria
Domenica 26 aprile, da Palazzo Chigi, Giuseppe Conte, presidente del Consiglio dei Ministri, ha annunciato in diretta il nuovo DPCM[1] firmato poi nella giornata successiva, con il quale viene predisposto l’inizio della fase 2 nella lotta contro il contagio da Coronavirus, prevista a partire dal 4 maggio. Dopo un periodo in cui – afferma Conte – è stato superato il picco di contagi e il momento più critico per il paese, si tratta ora di cominciare «la fase di convivenza con il virus», con la consapevolezza che «la curva del contagio potrà risalire in alcune aree del paese» e, in tal caso, lo Stato agirà aumentando le misure di controllo nelle zone colpite.
Si tratta di una fase che andrà affrontata con «il comportamento responsabile di ciascuno di noi».
Proprio sulle responsabilità individuali si è concentrata la prima parte della diretta per parecchio tempo: si sono ricordate le precauzioni da mantenere, l’importanza di rispettare le distanze anche nei contesti famigliari – dove avvengono un quarto dei contagi totali –, la necessità di mantenere la calma, di non scadere nel risentimento, di rimanere uniti, ecc. A parte il richiamo alla responsabilità, la situazione sul lato delle restrizioni personali non è però molto cambiata: gli spostamenti ammessi su suolo regionale rimarranno comunque ristretti alle comprovate necessità (salute, lavoro, ecc.), oltre all’aggiunta dello spostamento per trovare i propri parenti – su cui poi si è scatenata una polemica sul web riguardo il dubbio se nella norma rientrassero anche i fidanzati. Polemica che sembra aver raggiunto il suo culmine, con fonti a Palazzo Chigi che avrebbero confermato pure per gli «affetti stabili» la possibilità di potersi ritrovare. Il tutto, in ogni caso, sempre nell’ottica di rispettare le misure di sicurezza e col divieto assoluto di «party privati».
Il discorso del presidente del consiglio è proseguito con l’autoelogio dei “grandi passi avanti” avvenuti in Europa nel segno della solidarietà comune (riferendosi all’ottenimento dello strumento del Recovery Fund) e con la sottolineatura del sovraccarico di lavoro che l’Inps sta affrontando per le aumentate richieste di reddito di cittadinanza, bonus di 600 euro, bonus babysitter, ecc. Infine, è stato raggiunto il vero centro della diretta televisiva: la progressiva riapertura del settore produttivo. Dopo aver sottolineato genericamente l’appoggio del governo al mondo del lavoro e alle fasce più colpite, come quella del turismo, Conte ha annunciato che dal 4 maggio vi sarà il via libera al settore della manifattura, quello della costruzione e del commercio all’ingrosso legato ai primi due settori citati. Sempre a patto «che tutte queste aziende interessate rispetteranno rigorosamente i protocolli di sicurezza sui luoghi di lavoro». Dal 18 maggio poi riaprirà gradualmente il commercio al dettaglio, dal primo di giugno sarà l’ora anche delle attività legate alla cura della persona (centri estetici, parrucchieri, ecc.), nonché bar e ristorazioni e, infine, si è accennato al fatto che il governo sta valutando come programmare la possibile apertura estiva degli stabilimenti balneari.
Da come si può notare dai codici ATECO identificativi dei settori produttivi che potranno riaprire, la lista delle persone che torneranno nella propria postazione di lavoro è ampia: si calcola che 7,1 milioni di individui lavoreranno nelle 2,1 milioni di imprese che il lockdown aveva costretto a chiusura. La paura principale è quella di un nuovo aumento di contagi.
Il governo ha assicurato – si legge nel DPCM – che «la prosecuzione delle attivita’ produttive può infatti avvenire solo in presenza di condizioni che assicurino alle persone che lavorano adeguati livelli di protezione» e ha stilato una serie di norme da rispettare (protocolli di sanificazione, regole di distanziamento, dispositivi di protezione individuali, ecc.). Inoltre, come già detto, si prevede il pronto intervento del governo nel caso in cui in una regione le cose dovessero peggiorare.
I dubbi però permangono. Innanzitutto, sarebbe da chiedersi perché non sia stata programmata una apertura regionalizzata, basata sul livello di emergenza che ogni regione si trova ad affrontare. Di sicuro, il peso di Confindustria si è fatto sentire, specie in relazione al Nord, con alcune regioni ancora in una situazione critica ma dove i comparti manifatturiero e delle costruzioni sono tra i principali settori trainanti. Non è un caso che, tra chi si è scagliato contro la riapertura regionalizzata, vi sia anche il presidente lombardo Fontana.
In secondo luogo, c’è da chiedersi se veramente verranno rispettate le nuove norme di sicurezza. Andrà capito come realmente attuare certe misure nelle attività dove il contatto diretto fra lavoratori o fra lavoratore e cliente è inevitabile (si pensi ai servizi di cura per la persona). C’è il rischio che esigenze economiche portino a trascurare la sicurezza dei lavoratori. Se, da un lato, troviamo le grandi aziende che non vogliono perdere la propria competitività rispetto ai produttori esteri a causa dei nuovi costi, dall’altro lato, troviamo le piccole attività che non sanno più dove sbattere le testa. Per esse, infatti, vi è la paura che i nuovi costi rendano la situazione ancora più insostenibile a livello economico, dati i loro esigui capitali rispetto alle grandi aziende, col rischio di procedere verso la chiusura delle loro attività e un’economia sempre più centralizzata e in mano a pochi padroni. Per ultimo, ma non cosa meno importante, ci si chiede se veramente verranno attuati gli adeguati controlli, specie dato il particolare tessuto produttivo italiano, caratterizzato appunto da migliaia di piccole aziende.
Insomma, la situazione non è chiara su quello che succederà, ma una riflessione la si può fare. Sull’emergenza Coronavirus, nei primi momenti, il governo, dal punto di vista della tenuta politica, ha avuto vita abbastanza facile: è riuscito a trasmettere un senso di responsabilità nell’affrontare la crisi che gli ha permesso di acquisire consenso in un contesto di ammorbidimento della tensione sociale e di richiamo all’unità degli italiani.
Ma la partita più importante si gioca proprio nella fase due in cui tutti verranno a chiedere il conto. Le pressioni di Confindustria si fanno più accese e la probabile forte recessione apre allo spauracchio di forti tensioni sociali.
Il futuro del governo si giocherà nelle prossime settimane, se riuscirà a garantire un buon controllo sociale, la riapertura delle unità produttive accontentando le richieste degli industriali, potrà sopravvivere. Se invece si dovesse andare incontro ad una stagione di forte indebitamento e grandi difficoltà economiche la prospettiva del governo di unità nazionale è sempre sul piatto, con la figura di Mario Draghi in pole position.
[1] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/04/27/20A02352/sg