Forte crescita della spesa militare mondiale: nel 2019 al massimo storico degli ultimi 30 anni
La spesa militare nel mondo sta aumentando in modo costante e rapido, raggiungendo il livello più alto dal 1989. Secondo quanto certificato dalla relazione annuale sulle spese militari del Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), l’investimento globale nella difesa nel 2019 è stato di 1.917 miliardi di dollari, in aumento del 3,6% rispetto all’anno precedente, segnando un nuovo record per il terzo anno consecutivo e il più alto incremento dal 2010, confermando un trend di crescita costante degli ultimi 5 anni dopo il breve periodo di calo dovuto alla crisi finanziaria del 2008-2009.
Una cifra che rappresenta il 2,2% del PIL mondiale, pari a circa 249 dollari a persona, un aumento del 7,2% su base decennale.
In testa troviamo gli USA, seguiti da Cina e India, che insieme a Russia e Arabia Saudita rappresentano il 62% della spesa.
L’investimento militare negli USA continua a crescere registrando un +5,3% – maggiore che nell’esercizio precedente (+4,6%) – per un totale di 732 miliardi di dollari, che rappresenta il 38% della spesa militare globale e il 3,4% del suo PIL. Aumento simile lo registra la Cina – in seconda posizione per l’undicesimo anno consecutivo – che ha raggiunto i 261 miliardi di dollari, con un +5,1% rispetto all’anno precedente e l’1,9% del suo PIL. Indicativo della tendenza il fatto che rappresenta un +85% rispetto al 2010, con un aumento costante dal 1994 in una percentuale simile alla crescita del suo PIL. USA e Cina rappresentano il 52% della spesa mondiale nel settore militare.
Alle loro spalle compie un salto notevole l’India che è cresciuta del 6.8% per un totale di 71.1 miliardi di dollari, con un + 37% rispetto al 2010. Segue la Russia che ha aumentato le sue spese militari del 4,5% a 65,1 miliardi di dollari che rappresenta il 3,9% del suo PIL, tra i più alti in Europa, segnando inoltre un +30% rispetto al 2010 e un +175% dal 2000. L’Arabia Saudita si posiziona al 5° posto con 61.9 miliardi di dollari, che rappresenta l’8% del suo PIL, perdendo due posizioni rispetto all’anno precedente ma segnando comunque un +14% rispetto al 2010.
Nei paesi UE, è la Germania lo Stato con il maggiore aumento degli stanziamenti per la difesa nello scorso anno: 49,3 miliardi di euro, pari a un +10 per cento rispetto al 2018, portandosi dal nono al settimo posto nell’elenco mondiale dei paesi con la maggiore spesa di armamenti. Superando per la prima volta dal 2000 la Gran Bretagna, la Germania ha investito nella difesa l’1,3 per cento del Pil con una previsione di aumentare la quota all’1,5 per cento per il 2024. La Francia si conferma prima nell’UE e al sesto posto mondiale con una spesa di 50,1 miliardi di dollari, pari al 1,9% del PIL, con un +1,6% rispetto all’anno precedente e un +3,5% rispetto al 2010.
In dodicesima posizione (dopo Gran Bretagna, Giappone, Corea del sud con +7,5% e Brasile) si trova l’Italia, con 26,8 miliardi di dollari, pari all’1,4% del PIL, in aumento dello 0,8% rispetto al 2018. Considerando che lo scorso anno era pari all’1,3% del Pil, indica una tendenza di crescita per avvicinarsi all’obiettivo della Nato, stabilito nel 2014, secondo cui gli Stati parte dell’Alleanza atlantica dovranno spendere per la difesa il 2% del Pil entro il 2024.
Lo conferma anche il budget per la Difesa 2020 targato Lorenzo Guerini, con una dotazione prevista di 22,9 miliardi, uno e mezzo in più rispetto allo scorso anno, che secondo quanto quantificato dal rapporto del Mil€x si attesta complessivamente a 26,3 miliardi di euro con crescita di oltre il 6% rispetto al 2019, per promuovere gli interessi dell’imperialismo italiano, in particolare dell’ENI e dell’industria degli armamenti (principalmente gruppo Finmeccanica-Leonardo: Alenia, Agusta Westland, Selex ES, Oto Melara, MBDA Italia), nella competizione internazionale. Di questi, 5.9 miliardi di euro sono destinati all’acquisto di nuovi sistemi d’arma, a cui il governo non rinuncia nemmeno in questi giorni di crisi sanitaria, come dimostra l’acquisto di 15 elicotteri da guerra AW-169M di Leonardo per una commessa dal valore di 337 milioni di €, che segue l’acquisto di sommergibili, il mantenimento degli F-35, così come del proprio esercito occupante in Iraq e Afghanistan e l’annuncio di una nuova partecipazione a missioni di guerra come quella in Mali confermando l’attivismo in questo campo, essendo il secondo paese per missioni Nato e il primo per partecipanti nelle missioni Ue.
Alle porte della top-15 che totalizza l’81% (pari a 1.553 miliardi di dollari) del globale, si posiziona la Turchia, il secondo esercito della NATO, che ha aumentato considerevolmente il suo investimento di un 40% negli ultimi 5 anni.
La spesa militare totale in Europa (secondo la classificazione ISPRI che include la Russia) nel 2019 è stata di 356 miliardi di dollari, il 5% in più rispetto al 2018 e l’8,8% in più rispetto al 2010. L’Europa ha rappresentato circa il 19% della spesa militare globale, rendendola la terza regione di spesa dopo le Americhe e l’Asia-Oceania. Cinque dei 15 maggiori paesi militari al mondo sono in Europa: Russia (4), Francia (6), Germania (7), Regno Unito (8) e Italia (12). Considerando l’Unione Europea a 27 Paesi, ha registrato una spesa militare complessiva di 220 miliardi di dollari (pari all’11,5% del totale).
Ad eccezione del Regno Unito, con una spesa stabile, e di Canada e Grecia, che diminuiscono rispettivamente del 2% e del 0,4%, la NATO registra un incremento generalizzato rappresentando il 54% del totale, con +17% rispetto al 2015.
Forti aumenti delle spese militari si registrano in particolare tra gli stati membri della NATO in Europa centrale (+14%) e orientale (+4.9%): ad esempio, la Bulgaria è aumentata del 127% (unico paese al mondo ad aver raddoppiato rispetto all’anno precedente), la Slovacchia del 48%, la Macedonia del Nord (di recente entrata nella NATO) del 30% e la Romania del 17% (con +150% rispetto al 2010). La spesa militare della Polonia nell’ultimo decennio è aumentata del 51%, sulla stessa linea anche i paesi baltici (Estonia, Lettonia e Lituania) che congiuntamente triplicano quella del 2010. Anche l’Ucraina, in procinto di aderire alla NATO, registra un aumento del 9,3% rispetto al 2018. La spesa militare totale di tutti i 29 stati membri della NATO è stata di 1035 miliardi di dollari nel 2019.
La corsa agli armamenti, la militarizzazione dell’economia e della società, assicura al complesso militare-industriale di guerra enormi profitti, assumendo sempre maggiore peso nell’economia capitalista e attraendo facilmente capitali nel florido mercato del commercio delle armi; è indicativa dell’acuirsi della competizione inter-imperialista (che si manifesta nelle dispute commerciali, doganali, nei conflitti regionali) e della tendenza verso la guerra generale a cui tutte le più forti potenze imperialiste si preparano, così come dei processi di rimescolamento degli assetti di potenza internazionali, con l’emergere di nuove grandi e medie potenze mentre si intensificano tensioni e rivalità per la ripartizione di zone d’influenza e quote di mercato, controllo di risorse e vie di trasporto ecc. a beneficio dei monopoli capitalistici; ma è anche indicativa dell’intensificazione della repressione interna agli stati capitalisti.
«Il militarismo moderno è un prodotto del capitalismo. In entrambe le sue forme esso è una «manifestazione vitale» del capitalismo: come forza militare impiegata dagli Stati capitalistici nei loro conflitti esterni («Militarismus nach aussen», come dicono i tedeschi) e come arma di cui le classi dominanti si servono per reprimere ogni specie di movimento (economico e politico) del proletariato («Militarismus nach innen»)», ci ricorda Lenin.
Tutto questo avviene mentre, su scala mondiale, la pandemia del Covid-19 miete centinaia di migliaia di vittime, con i popoli e i lavoratori privati della necessaria – quando possibile – prevenzione, sprovvisti di dispositivi di protezione e dell’adeguata assistenza sanitaria a causa dei continui tagli alla spesa sociale realizzati dai governi capitalisti. Parte considerevole della ricchezza sociale prodotta dai lavoratori viene di contro destinata alle spese militari, agli investimenti in un settore ritenuto più redditizio per il capitale, come dimostrano le deroghe concesse dal governo per mantenere in produzione le industrie militari e altre non essenziali. Si tratta di una competizione che non solo non cessa in questi drammatici giorni ma si intensifica anche nella corsa per la scoperta del vaccino e le misure per fronteggiare una pandemia, che funge da catalizzatore delle contraddizioni del modo di produzione capitalistico, avviato ad una nuova e più profonda crisi economica che può accelerare anche la pericolosa tendenza alla guerra militare.