Hegel e Marx: dall’Idealismo al Materialismo storico. Una risposta a Fusaro e Gentile 3/3
Il materialismo storico non è una filosofia della storia
Un’altra tesi che Fusaro riprende da Gentile è quella che considera il materialismo storico (e il comunismo) come filosofia della storia. “Il processo storico – scrive Fusaro [è] orientato a un fine ultimo”.[1]. “La prospettiva di Marx – continua Fusaro – si configura […] come una ‘metafisica del Progresso’”[2] e il comunismo è assunto “come telos dell’intero processo”.[3]
La valutazione del materialismo storico come filosofia della storia, avanzata dalla coppia Gentile-Fusaro, non ha alcun riscontro nella filosofia marxiana.
Marx, infatti, non prescrive alla storia un corso ideale in funzione di una chiusa visione del mondo. Il materialismo storico non è una definizione dell’essenza dell’uomo in cui sia giustificata la sua storicità né una determinazione del senso e del fine ultimo della storia. Anzi, proprio il materialismo storico difende la ricerca storica dall’intrusione dei riflessi di una tale filosofia.
Nella prospettiva idealista l’idea si incarna nella totalità della storia, la razionalità trasporta su un piano di necessità logico-metafisica il post factum empirico, la dialetticità risolve la negatività nella processualità del logo.
Nel materialismo storico, invece, la dialetticità permane aperta e la sua sintesi è data dall’astrazione determinata, in continuità pratica con l’azione che, come tale, ha in sé il rischio dell’errore e quindi sollecita la più ampia problematica intorno alla responsabilità.
Quindi, nessun disegno storico prefigurato, nessuna filosofia della storia ma costruzione filosofica che, nel condizionamento storico e nella sua piena accettazione, si trasforma in costruzione di vita.
Ciò non è capito dal Gentile che scrive: “Lo Stato comunista, termine ultimo e conseguenza del movimento sociale, deve provenire da una serie di trasformazioni, preordinate, a quanto sembra a quel fine.”[4]
Anche qui la lettura di Marx in chiave hegeliana, costruita da Gentile, si rivela errata. Marx non cade nella contraddizione che è propria del pensiero di Hegel. Quest’ultimo concepisce il pensiero come processo di sviluppo dialettico, ma lo sviluppo dell’Idea culmina nello Spirito assoluto, dopo il quale non vi può essere ulteriore sviluppo. La concezione di Hegel è teleologica: pone un fine (telos), un fine ultimo, al divenire dell’Idea. Hegel cade continuamente in contraddizione con se stesso: presenta una filosofia dello sviluppo, e pone termine allo sviluppo.
Gentile non coglie che il comunismo per Marx è l’idea-limite di un pensiero critico (come risulta chiaramente nei Manoscritti) – cioè di un pensiero che nella coscienza della natura critica del sapere trova la garanzia metodica della sua infinita libertà teoretica – è una soluzione non esaustiva della problematica storica e proprio per questo suo carattere esso chiude la preistoria dell’umanità e apre la storia.[5]
Conseguentemente Marx non cade nella stessa contraddizione di Hegel e la società comunista non è teleologica. Il comunismo, infatti, deve essere inteso come un processo che porta a dare a “ognuno secondo i suoi bisogni”[6]. Ma la soddisfazione di un bisogno ne crea altri. La soddisfazione dei bisogni va, dunque, intesa come un processo, poiché la libertà conosce un continuo arricchimento. Non si ferma, quindi, la storia. Cadono le contraddizioni relative alla lotta di classe ma si presentano, in modo nuovo, le contraddizioni proprie dello sviluppo sociale e del rapporto dell’uomo con la natura.
Il fatto che Marx trasferisca lo sviluppo dialettico dall’Idea alla società – attraverso una dialettica radicalmente innovata – gli consente di superare la concezione teleologica della dialettica presente in Hegel e nella sua concezione dell’Assoluto.
Il materialismo storico non è determinismo
Un altro gravissimo errore di Gentile-Fusaro, non indipendente ma conseguente a quanto abbiamo appena esaminato, è la riduzione – del tutto arbitraria – del materialismo storico a determinismo economico. Del resto cosa potevamo aspettarci da un Fusaro secondo cui “Marx abbraccia una concezione dello sviluppo storico che ricalca in modo pressoché identico la filosofia della storia triadica di Hegel”[7] e il proletariato “demiurgicamente”[8] crea la storia?
Ma partiamo dal filosofo di Castelvetrano: “le circostanze storiche – scrive Gentile – non operano sul sostrato economico, e non possono deviare il movimento dialettico, se sono costruzioni superiori dell’uomo economico; e se sono attinenti ai fatti stessi economici rientrano esse stesse nell’ingranaggio di quella dialettica storica, che Marx ha mutuata da Hegel. Se ciò non fosse, non sarebbe più vero che l’economia è l’essenza della storia, e che questa si spiega tutta per le condizioni variabili di quella.”[9]
È da osservare che ridurre i fatti storici a fatti economici significa interpretare il piano economico in senso antimarxista, come la sfera dell’uomo economico contrapposta alle sfere degli altri valori.
Nel pensiero di Marx non esiste alcuna differenza di valore ontologico tra il piano radicale della realtà storica (la struttura economica) e gli altri piani (la sovrastruttura), essendo l’uomo il creatore di entrambi. Inoltre, sul piano fondamentale – economico – per Marx s’innestano le reazioni specifiche della sovrastruttura di cui si compone la complessa realtà umana.
Ed ancora: dove ha letto, Gentile, che la struttura “genera” la sovrastruttura[10]? La sfera economica per Marx non è la sfera dell’utile contrapposta agli altri valori, ma esprime il fatto che i rapporti di produzione e di organizzazione economica sono i primi ed essenziali rapporti di socialità per cui nel mondo della natura si crea il mondo degli uomini e questo si amplia.
La coscienza dialettica del marxismo, nel riportare i fatti di vita sociale, in quanto storicamente concreti, nel sistema dei rapporti di produzione che sono alla base della struttura sociale e definiscono la linea del suo dinamismo storico, riconosce altri piani di significazione e di valutazione dei fenomeni, la considerazione dei loro riflessi sulla struttura, le loro relazioni reciproche, il loro orizzonte di autonomia. Questa posizione sfugge all’attenzione di Gentile che scrive: “il fatto economico dal quale tutti i fenomeni sociali dipendono e derivano”[11].
Un fatto di religione, di morale, se considerato nel suo riferimento ad un valore ideale, perde di realtà, sfugge alla storicità e alla sua concretezza, cui invece ritorna considerato come fatto di vita sociale.
La presa di posizione antidealistica di Marx che emerge chiaramente laddove il filosofo tedesco scrive che “non è la coscienza che determina il loro essere ma è, al contrario, il loro essere che determina la loro coscienza”[12]. Marx però non si ferma a questo punto ed infatti precisa che per “essere” intende l’essere sociale, cioè i rapporti di produzione e di scambio.
Dal concetto metafisico di “essere” si passa ad un concetto che non è più ipostasi, ma ipotesi, al concetto di realtà sociale nella sua specifica determinazione. Marx supera il campo della metafisica (e della filosofia intesa come costruzione puramente concettuale, riferita ad un oggetto cui non si può giungere tramite l’esperienza) per passare ad una sfera nuova, quella dei rapporti economici e sociali. Si passa, così, dalla sfera della metafisica alla sfera della scienza della società.
È di tutta evidenza, quindi, che le classi non sono “attori metafisici”[13] e che Marx non “metabolizza e rideclina” lo “Spirito come storia”[14], come, erroneamente, ritiene Fusaro. “La storia non fa niente, essa – scrive Marx – ‘non possiede alcuna enorme ricchezza’, ‘non combatte alcuna lotta’! È piuttosto l’uomo, l’uomo reale, vivente, che fa tutto, possiede e combatte tutto; non è la ‘storia’ che si serve dell’uomo come mezzo per attuare i propri fini, come se essa fosse una persona particolare; essa non è altro che l’attività dell’uomo che persegue i suoi fini”[15]. Qui Marx si riferisce proprio alla storia trasformata in entità astratta, che dimentica gli uomini reali che fanno, in condizioni determinate, la storia stessa. La storia non è il soggetto. Trasformarla in soggetto – come fa Fusaro, sulla scorta del suo maestro – significa dare al concetto di storia una realtà autosufficiente, trasformandola in ipostasi. Ed invece i soggetti sono gli uomini, quelli in carne ed ossa, non quelli che rappresentano figure allegoriche delle sue illusioni metafisiche, spacciate per vera realtà.
In Marx non esiste nessun uomo dato per sempre, non esiste nessun Weltgeist (l’hegeliano “Spirito del mondo”) che guida l’azione degli uomini. Svanite le nebbie metafisiche, che appassionano Fusaro, restano gli uomini determinati, che operano in situazioni storiche determinate ed entro determinati rapporti di produzione.
Conseguentemente sbaglia clamorosamente Fusaro quando, riferendosi alla dialettica servo-padrone, tratteggiata da Hegel nella Fenomenologia dello Spirito, scrive che “la stessa analisi marxiana in Das Kapital può essere considerata come una proiezione nel mondo capitalistico di tale figura hegeliana, rideclinata sotto forma di ‘lotta di classe’”.[16]
Infatti per Hegel il lavoro è rapporto con la natura. Ma la natura non è altro che l’obiettivazione dell’Idea. Il che significa che uno dei due termini nel rapporto è vanificato: la natura è vanificata nel Pensiero, nell’Idea. La mediazione operata dal lavoro diventa apparente. Il lavoro in realtà non media, ma finisce per essere la riflessione del soggetto (pensiero) su se stesso. Il lavoro si identifica con il pensiero. Ancora una volta il rapporto reale è mistificato.
Lo sforzo di Marx consiste nel liberare il concetto di lavoro, il rapporto fra “padrone e servo”, il rapporto tra uomo e natura, tra coscienza ed essere sociale, dalla mistificazione con cui Hegel trasferisce questi concetti dalla realtà all’astratto metafisico.
La moralità nel materialismo storico
A conclusione di questo lavoro – che non ha comunque pretese di esaustività, date le innumerevoli sciocchezze filosofiche di Fusaro – non possiamo non soffermarci sulla morale comunista. Vediamo cosa scrive Fusaro: “La critica organica del modo di produzione capitalistico non può in alcun caso essere una critica morale. Ciò che stupisce, tuttavia, è che, dopo aver dichiarato del tutto impossibile una denuncia morale del modo di produzione capitalistico, Marx, di fatto, non fa altro che svilupparne una, la più potente che si sia mai levata contro il capitalismo stesso. […] In ciò risiede, probabilmente una delle maggiori ambiguità del pensiero di Marx e della sua feconda incoerenza”.[17]
Fusaro ritiene ambiguo e incoerente Marx perché gli sfugge la fondamentale distinzione che passa tra moralismo e moralità.
Proviamo a fare chiarezza. In Marx manca del tutto, e non poteva essere altrimenti date le sue premesse ontologiche e gnoseologiche, il moralismo. Moralista è chi, di fronte ai conflitti e alle patologie sociali, rifiuta di calarsi nella dialettica storica, di impegnarsi in concreto a rimuovere le cause, di scegliere una forza storicamente positiva che possa far uscire la società dalla sua condizione disumana. L’atteggiamento pedagogico del moralista è meta-dialettico, sterile ai fini del superamento, della liberazione da una dialettica storica creatrice di barbarie (male storico – male morale).
L’impegno politico, invece, è la dimensione etica dell’uomo perché lo scioglimento dei nodi concreti e drammatici (sfruttamento, disoccupazione, miseri, ecc) non può non essere un atto politico che dà luogo ad una dialettica tra forze politiche, economiche, ideologiche.
All’impegno delle forze rivoluzionarie si contrappone la filosofia dell’evasione, rappresentata, tra gli altri, proprio dall’idealismo di Hegel e Gentile, dove l’evasione dalla problematica storica si configura come giustificazione totalitaria della realtà così come essa è, quale atto dell’Assoluto-Spirito – “ciò che è reale è razionale e ciò che è razionale è reale” – e segna l’annullamento della persona nella sostanza etica, nello Stato, sia esso quello prussiano o quello fascista.
Passiamo adesso a Marx. La sua teoresi è pratico-ontologica, di lotta, per la trasformazione del mondo; la pratica è funzione della teoria e quest’ultima è una funzione della pratica cioè la coscienza (la teoresi) nasce dall’esercizio dell’azione ed è libera, aperta, coscienza dell’azione; quanto più l’azione si estende e si approfondisce nella dialettica del reale, tanto più la coscienza si estende e si approfondisce.
La morale del materialismo storico è costruttiva, rivoluzionaria. Quindi l’atto rivoluzionario non è un atto necessitato che nasce dalla esigenza di una dialettica triadica (tesi – negazione – negazione della negazione) ma è un atto che nasce proprio dalla consapevolezza e dall’azione eticamente costruttiva della ragione storica nel mondo umano, per liberarlo dagli aspetti disumani che si trovano in esso (libertà liberatrice).
Questi concetti sono chiaramente formulati da Marx nella II e nell’XI Tesi su Feuerbach[18] e si collegano strettamente con la concezione della teoresi come impegno pratico ontologico di trasformare il mondo, esposta nelle pagine del Manifesto, che indica modalità e obiettivi della trasformazione dell’ordine sociale.
Il dilettantismo culturale di Fusaro non è un lapsus storico-teoretico, perché esso ha una portata pratica anticomunista. Sta a noi comunisti denunciare senza riserve le sue posizioni facendo affidamento sull’immenso patrimonio costituito dal pensiero di Marx che rappresenta, con straordinaria attualità, la “cassetta degli attrezzi” indispensabile per combattere le tante battaglie che ci attendono.
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[1] D. Fusaro, Marx idealista, cit., p. 134.
[2] Ibidem, p. 135.
[3] Ibidem, p. 58.
[4] G. Gentile, La filosofia di Marx, p. 29.
[5] Fusaro, proprio perché legge il materialismo storico alla luce delle lenti deformanti realizzate da Gentile, non comprende Marx ed arriva a scrivere che “risulta difficile capire in che misura il comunismo non si configuri, in ultima istanza, come fine (cronologica) della storia” (in D. Fusaro, Bentornato Marx!, Bompiani, Milano, 2017, p. 279).
[6] K. Marx, Critica al programma di Gotha, Roma Editori Riuniti, 1976, p. 32.
[7] D. Fusaro, Marx idealista, cit., p. 134.
[8] Ibidem, p. 138.
[9] G. Gentile, La filosofia di Marx, pp. 43-44.
[10] “Le condizioni in mezzo alle quali e per le quali, in una data società, la vita umana si deve esplicare; condizioni non politiche né religiose, né morali, né scientifiche, né artistiche, ma semplicemente e unicamente economiche, dacché queste sono generatrici delle particolari forme di tutte le altre” (G. Gentile, La filosofia di Marx, cit., p. 26).
[11] Ibidem, p. 36.
[12] Prefazione del ’59 a Per la critica dell’economia politica, Roma, Editori Riuniti, pp. 4 e sgg.
[13] D. Fusaro, Marx idealista, cit., pp. 26 e 92.
[14] Ibidem, p. 11.
[15] K. Marx, La sacra famiglia, in K. Marx- F. Engels, Opere complete, IV, Editori Riuniti, Roma, 1972, p. 103.
[16] D. Fusaro, Marx idealista, cit., 69.
[17] D. Fusaro, Bentornato Marx, cit., p. 125.
[18] Nella II Tesi Marx puntualizza: “La questione se al pensiero umano spetti una verità oggettiva, non è questione teoretica, bensì questione pratica. Nella prassi l’uomo deve provare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non realtà del pensiero – isolato dalla prassi – è una questione meramente scolastica.” Nell’XI Tesi Marx scrive: “I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo, si tratta di trasformarlo” in K. Marx – F. Engels, Opere, V, cit., pp. 2-4.