11 uomini contro il Terzo Reich: “La partita della morte”
In Unione Sovietica, il calcio era uno degli sport più amati e ogni organizzazione politica e militare, in ogni città, aveva la sua squadra: la Locomotiv era legata ai ferrovieri, il CSKA all’Armata Rossa e la Dynamo ai servizi segreti dell’NKVD.
La Dynamo Kiev, squadra che conosciamo soprattutto per averci regalato il fenomeno di Andrij Shevchenko, alla fine degli anni ’30, era la squadra più forte del campionato, ricca di campioni, capaci di vincere le partite con risultati tennistici, che spesso trionfavano nelle sfide con gli acerrimi rivali del Leningrado, l’odierno Zenit San Pietroburgo.
Ma sul campionato, come sul resto della vita quotidiana, stava per abbattersi il cataclisma della guerra.
Nel settembre del 1941, l’avanzata tedesca in Unione Sovietica giunse alle porte di Kiev: la neonata tattica militare della Guerra Lampo colse di sorpresa l’Armata Rossa e, in pochissimo tempo, oltre 600 mila soldati sovietici furono fatti prigionieri. Le porte dell’Ucraina erano state spalancate e Il 19 dello stesso mese la svastica sventolava sui palazzi della capitale. Iniziò così il periodo dell’occupazione durante il quale la popolazione fu costretta a vivere in condizioni drammatiche: la fame era diffusa a tal punto che per le strade di Kiev non c’erano più animali domestici, alcuni arrivarono addirittura alla necrofagia e, oltre agli ebrei, tutti coloro che opponevano resistenza, venivano immediatamente fucilati nella vicina località di Babij Jar.
In questo difficile contesto, viveva Iosif Kordik, un ex ufficiale ungherese della prima guerra mondiale che, parlando tedesco e collaborando con gli occupanti, era riuscito a farsi affidare la direzione del panificio 3, la principale fonte di approvvigionamento della città.
Kordik era un grande appassionato di calcio e quando, casualmente, incontrò Nikolai Trusevich, l’ex portiere della Dynamo e titolare della nazionale Sovietica, gli propose immediatamente di lavorare nel suo panificio dove, oltre ad un lavoro, avrebbe trovato cibo caldo e possibilità per la sua famiglia. Kordik pensò di proporre a tutti gli ex compagni di squadra di Trusevich la stessa possibilità e, in pochissimo tempo, il panificio divenne il ritrovo (e la salvezza) di moltissimi calciatori professionisti.
Nel frattempo i nazisti, nel tentativo di “normalizzare” la vita quotidiana degli abitanti di Kiev, decisero di organizzare un vero e proprio campionato di calcio, con squadre composte da membri dei vari eserciti occupanti cui fu aggiunta, su richiesta dello stesso Kordik, la squadra dei “ragazzi del panificio”, poi ribattezzata Start F.C..
Il campionato della Start cominciò il 7 giugno 1942, nell’importante impianto dello Stadio della Repubblica, contro i collaborazionisti ucraini della Ruch. Entrambe le squadre erano composte da ucraini e ne venne fuori un vero e proprio derby tra due fazioni politiche diverse che, ovviamente, ebbero un diverso trattamento: i collaborazionisti poterono allenarsi e preparare la partita, ebbero dei kit completi da giocatori e gli spogliatoi, mentre i giocatori della Start giocarono alla fine del loro faticoso turno di lavoro, con maglie rosse rimediate e rattoppate da Trusevich, senza scarpini e costretti a cambiarsi in una baracca. Ma erano dei professionisti e, nonostante potesse sembrare impossibile, misero in campo una prestazione straordinaria: i rivali della Ruch non riuscivano letteralmente a toccare il pallone, erano “costretti” a picchiare e a inseguire quella diabolica sfera che girava sul ritmo e sulla fantasia della Start. Il risultato fu un clamoroso 7-2 per i ragazzi del panificio che, in virtù delle loro divise rosse, fecero diffondere il motto “il rosso vincerà” che, ovviamente, non aveva solo un mero riferimento calcistico.
I nazisti presero allora una decisione: la Start avrebbe giocato il resto del torneo nello Zenit Stadium, piccolo impianto di periferia, dove non avrebbero potuto screditare la forza degli occupanti. Ma ormai era diventata un simbolo e, quando era possibile, tutti in città andavano a vedere le partite dei loro ex beniamini che continuavano a vincere con risultati senza storia.
Il campionato andava avanti e le eroiche gesta sportive dei ragazzi del panificio iniziarono a diventare il motore di una società dilaniata dal conflitto e, sull’onda dell’entusiasmo, si riaccesero anche i focolai della resistenza armata, precedentemente sedati dalla Gestapo. La Start, guidata dallo spirito del portiere Trusevich, era la dimostrazione che gli invasori potevano essere sconfitti e il sentore comune, diffuso tra la popolazione, era che ogni vittoria della formazione in rosso fosse un piccolo pezzo di dignità restituita ad un popolo sull’orlo della disperazione.
I nazisti decisero allora che il titolo sarebbe stato assegnato dall’esito di una finalissima tra la Start e una formazione di atleti e ufficiali tedeschi raccolti nella Flakelf, la seconda forza del campionato, che venne sconfitta per 5-1 . I tedeschi allora imposero una rivincita valida per il titolo appena tre giorni dopo, e fecero rinforzare la Flakelf che, in questo modo, vantava tra le sue fila il meglio dello sport “ariano”. Il 9 agosto 1942 doveva essere il giorno in cui tutto sarebbe tornato al suo posto: la città fu tappezzata di volantini, tutti furono invitati allo stadio, tutti dovevano assistere alla sconfitta della Start.
Dagli spalti, il tifo era tutto per la Start, la popolazione credeva in quell’impresa e fece il possibile per far giungere la carica negli spogliatoi. L’arbitro, un tenente delle SS, disse ai giocatori che, una volta entrati in campo, avrebbero dovuto fare il saluto nazista accompagnato dal classico “Heil Hitler” verso la tribuna ma, quando la partita stava per cominciare, gli ucraini, con fiera impudenza, decisero di non alzare il braccio e urlare, proprio come facevano durante il campionato regolare, il motto sovietico “Lunga vita allo sport!”. La partita iniziò alle 17 in punto ad un ritmo altissimo ma, in poco tempo, si trasformò in una vera e propria battaglia! I tedeschi insultavano, provocavano e picchiavano con forza e veemenza, colpi al volto, piedi a martello, interventi senza alcuna intenzione di colpire il pallone … tutto era concesso e l’arbitro non “vedeva” nulla. Al decimo minuto, ciò che ancora non era chiaro lo divenne improvvisamente: Trusevich uscì e recuperò un pallone basso ma l’attaccante nazista, invece di evitarlo, calciò con forza sul volto del campione. Calò il silenzio nello stadio. Il sangue sul volto del portiere spaventò tutti … ma per l’arbitro si poteva continuare! Stordito dalla botta, Trusevich perse colpi e subì gol al primo tiro in porta. 1-0, portiere infortunato e partita in salita. Tutto sembrava perso ma il talento infinito della Start venne fuori prepotentemente: in venti minuti tre marcature con Kuzmenko, con una bordata da 30 metri, e la doppietta del fantasista Goncharenko, con una punizione ed una spettacolare mezza rovesciata, portarono la squadra sul 1-3 alla fine del primo tempo. Negli spogliatoi, durante l’intervallo, fece il suo ingresso un ufficiale delle SS che, in perfetto russo, disse:
« Siamo veramente impressionati dalla vostra abilità calcistica e abbiamo ammirato il vostro gioco nel primo tempo. Ora però dovete capire che non potete sperare di vincere. Prima di tornare in campo, prendetevi un minuto per pensare alle conseguenze ».
Calò il gelo. Quella che già era una partita difficile ora era diventata una questione di vita o di morte. Prevalse la paura: al rientro in campo, in una manciata di minuti, i tedeschi fecero due gol e si portarono sul 3-3. Fu allora che, guardando verso gli spalti, i giocatori della Start videro una città nuovamente spenta, il loro popolo in lacrime, l’immagine di chi cede ancora alle angherie naziste. Si guardarono negli occhi tra di loro, non serviva parlare, tutti sentirono il richiamo della libertà e scelsero di fare ciò che tutti quei cuori asserragliati sulle tribune stavano chiedendo loro: VINCERE!
Gli attaccanti trovarono nuova linfa e, dopo diversi minuti d’assedio, trovarono prima il nuovo vantaggio e, successivamente, il definitivo 3-5! L’arbitro, incredulo e spazientito, determinò la fine del match con notevole anticipo e il grido di gioia dello stadio fu incredibile! I calciatori furono portati in trionfo e la città s’illuminò per una notte.
Ma le conseguenze di cui parlava l’ufficiale delle SS arrivarono tristemente puntuali: uno ad uno, nei giorni seguenti, i calciatori furono arrestati e portati nel campo di concentramento di Syrec, poco fuori Kiev, costretti ai lavori forzati, torturati e, in parte, fucilati.
Il portiere Nikolai Trusevich, quando stava per essere fucilato con un colpo alla nuca, decise di voltarsi di colpo e urlare: “I rossi vinceranno comunque!” (in riferimento alle maglie rosse della Start e, ovviamente, al colore del comunismo). Cadde a terra esanime. Fu per questo che la partita è ricordata come La partita della Morte. Di tutta la squadra, alla fine della guerra, si salvarono solo in tre: tra questi il giovane Balakin che, intervistato, disse:
«Non voglio chiamare quella partita “la partita della Morte” perché quel giorno abbiamo portato gioia agli abitanti di Kiev. Era stato il segno che si poteva sperare!».
Oggi, in ricordo degli 11 eroici giocatori della Start, lo stadio Zenit è stato ribattezzato proprio Start e, fuori dal cancello principale, una statua raffigurante un atleta che trafigge un’aquila nazista è dedicata al portiere Nikolai Trusevich con la scritta “A uno che se lo merita”.
Il calcio non è solo un gioco.
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Le fonti
Video:
Characters, La partita della Morte, Radio Televisione Svizzera, a cura di Federico Buffa
La partita della Morte, di Stelios Kouloglou, prodotto da Lexicon Factory, distribuito da The History Channel
Collegamenti esterni:
http://storiedicalcio.altervista.org/blog/start_flakelf.html
http://www.storico.org/seconda_guerra_mondiale/partita_morte.html