Cinema ritrovato. Il terrorista, di Gianfranco De Bosio, 1963
Venezia, 1944: nella città sotto controllo repubblichino agisce un Gap ai comandi dell’ingegnere Renato Braschi (interpretato da Gian Maria Volonté). Il Gap è emanazione del Cln locale, che vede riuniti tutti i partiti antifascisti: liberali, democristiani, azionisti, socialisti e comunisti. Lo stesso Braschi è un uomo del Partito d’azione. Le iniziative del gruppo mettono però in difficoltà il Comitato di liberazione, per il suo uso “terroristico” dell’azione diretta, tramite esplosivi; e per le dure rappresaglie naziste, che colpiscono indiscriminatamente la popolazione veneziana. Il Cln si dilania al proprio interno sul da farsi, ma sostanzialmente sconfessa il gruppo e intima a Braschi di tornare in terraferma. L’ingegnere dapprima rifiuta, continuando le azioni contro i nazi-fascisti (presentati sempre e solo come tedeschi, purtroppo); poi cede, visto il vuoto politico e organizzativo nel frattempo creatogli intorno, e lascia la città (non senza colpo di scena finale).
Il film di Gianfranco De Bosio – conosciuto più per la regia teatrale che per quella cinematografica, e importante comandante partigiano nella zona di Verona – racconta dal di dentro e con accurata consapevolezza una certa dialettica della Resistenza. Mostra la natura del confronto tra i partiti antifascisti, e l’insofferenza politica verso gruppi di disturbo e fughe in avanti.
Nei ragionamenti politici e negli scontri dialettici con gli alleati, le posizioni del Pci appaiono sempre le più avanzate: un sapiente equilibrio tra estremo realismo della lotta, con le sue tattiche contingenti e le mediazioni necessarie, e pedigree rivoluzionario forgiato nella clandestinità. Contro gli eccessi retorici ed estremistici di azionisti e socialisti, le posizioni del Pci sono improntate all’unità e al raggiungimento dell’obiettivo (in eccessiva sintonia con le ragioni democristiane, altro serio limite del film); contro le arrendevolezze e gli immobilismi liberali e democristiani, viene costantemente ricordato il carattere “nuovo” della lotta antifascista, democratico e sociale insieme, tale da non consentire soluzioni arretrate pensate per il “mondo di ieri”. Le azioni del Gap veneziano mettono però tutti in difficoltà.
Eppure, dentro una narrazione apparentemente blindata (il Gap sbaglia e il Cln – proprio in quanto organo di mediazioni politica “avanzata” – è la voce della ragionevolezza), il regista insinua costantemente il dubbio. Il protagonista, Braschi-Volonté, non è costruito per essere criticato: l’algida freddezza del “rivoluzionario di professione” (seppure azionista) non è insensibile distacco nei riguardi delle sofferenze della popolazione, quanto la presa in carico di una situazione tragica, che va affrontata con “consequenzialità”. Si solidarizza con il protagonista pure in presenza di una razionalità che parteggia esplicitamente per le valutazioni del Cln. È allora una critica politica della Resistenza e delle sue concessioni ai partiti borghesi? Neanche.
In realtà De Bosio mette in scena un conflitto tipico di ogni momento rivoluzionario, senza prendere davvero parte, sostenendo una (forse) inevitabile ambiguità che in questo caso è un punto di forza del racconto. Le manovre politiche del Cln sarebbero nulla senza l’azione partigiana diretta di gruppi come i Gap; e questi, proprio in quanto forgiati nell’azione e dalle durezze dello scontro, tendono a sopravanzare le ragioni della mediazione.
Ma queste “ragioni” sono costantemente sospese: la posizione comunista ha sempre, fondamentalmente, ragione. La sua raffinata alchimia di realismo e durezza è orchestrata, nel film, per convincere. Fino ad un certo punto. Poi c’è “l’ingegnere”, con il quale pure ci si confronta veramente. Le ragioni del realismo, in prima battuta così solide, vengono intaccate dalle necessità dell’azione e dalla sacrosanta risposta a fascisti e nazisti.
Ovviamente, non ci sono eroismi di sorta con cui identificarsi. Volonté – come sarà poi nel Sospetto – non mette in scena alcuna prodezza, non è quello il suo ruolo. Ha invece un compito: quello di verificare la ragionevolezza del Cln che – proprio in quanto “ragionevole” – rischia costantemente di scivolare nell’accomodamento politico: va bene la lotta antifascista, ma dopo? In uno dei dialoghi, Braschi-Volonté si chiede proprio “cosa sarà l’Italia tra vent’anni”, se tutto questo avrà avuto un significato o se non saremo tornati a farci comandare e sottomettere da qualcuno o qualcosa di altro. Facile previsione, col senno del poi.
Ma in questo caso smaschera l’intento del regista, che nel sostenere, in buona sostanza, le ragioni del Cln, si domanda anche dei suoi limiti futuri. I fascisti, certo, verranno sconfitti, dice il protagonista nel film. Ma domani?