Le compagnie aeree licenziano e congedano, ma chiedono il sostegno statale
Uno dei settori maggiormente interessati dalle conseguenze della pandemia del Covid-19 è sicuramente quello aereo, con drammatici effetti sulla vita di molte centinaia di migliaia, se non milioni, di lavoratori e un nuovo forte rimescolamento nel mercato internazionale delle compagnie aree.
Nei primi quattro mesi del 2020, la maggior parte delle flotte di centinaia di compagnie aree è stata chiusa, mentre decine di migliaia di dipendenti del settore sono stati licenziati o posti in congedo obbligatorio non retribuito o hanno subito significative riduzioni dei salari. Allo stesso tempo, i monopoli del settore chiedono sostegno statale e sussidi a condizioni privilegiate, scaricando sui lavoratori il costo della salvaguardia dei loro profitti.
Le previsioni dell’International Air Transport Association (IATA) per la riduzione delle entrate delle compagnie dell’aviazione civile sono indicative, poiché ogni mese che passa peggiorano sempre più. A febbraio, la IATA ha previsto che i danni per le circa 290 compagnie aree sarebbe ammontato a 130 miliardi di $. A marzo, le previsioni per le perdite sono salite a 252 miliardi di $ e ad aprile del 55% stimando che le perdite entro la fine del 2020 supereranno i 314 miliardi di $. È certo che questa cifra cambierà nuovamente nelle prossime settimane o mesi, dato che tutte le indicazioni lasciano prevedere che la drastica riduzione del trasporto aereo continuerà, con una piccola possibile “tregua” in estate, almeno fino al 2021.
Diverse società rischiano la chiusura, mentre prevarranno quei monopoli che riceveranno la maggior parte delle sovvenzioni statali, prestiti a basso interesse e misure di sostegno sotto varie forme a condizioni privilegiate. La società di consulenza aerea “Center for Aviation” prevede che in pochi mesi la maggior parte delle compagnie aree sarà fallita.
Ondata di licenziamenti, congedi “volontari” e altre misure contro i lavoratori
Qualsiasi aiuto statale proveniente dal denaro (prevalentemente) delle classi popolari difficilmente fermerà il disastroso futuro che si prospetta per i lavoratori del settore dell’aviazione civile, dei servizi operativi aeroportuali ecc. Molte decine di migliaia di piloti, assistenti di volo e di terra, personale amministrativo e operatori aeroportuali saranno gettati permanentemente o temporaneamente in mezzo alla strada. L’ondata di licenziamenti, riduzione dei salari, congedi forzati non retribuiti, pre-pensionamenti o uscita “volontaria”, cassa integrazione stanno caratterizzando già questi mesi di pandemia. Nelle ultime settimane si registra una ondata di decine di migliaia di esuberi nei principali monopoli del settore:
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13.000 dipendenti nel gruppo Lufthansa. Un orario di lavoro ridotto è stato imposto ad altri 80.000 in quanto il 92% della flotta è stata fermata e i voli sono a livello degli anni ’50
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12.000 dipendenti di varie categorie della “British Airways”
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3.150 dipendenti della Virgin Atlantic e 8-10.000 dipendenti Virgin Australia
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3.000 dipendenti Ryanair
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5.100 dipendenti di Air Canada
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6.900 dipendenti WestJet
Inoltre, 4.000 dipendenti di Easy Jet sono stati messi in congedo non retribuito obbligatorio di due mesi. Il consorzio Air France-KLM prevede piani di disoccupazione o di congedo non retribuito anche per il 70% del personale.
Nel nostro paese Alitalia ha annunciato a marzo la cassa integrazione per 4.000 lavoratori fino ad ottobre, senza dimenticare il licenziamento di 1.500 lavoratori di Air Italy, che aveva già dichiarato fallimento.
Negli USA, l’ondata di licenziamenti è temporaneamente nascosta dietro un congedo “volontario” non retribuito. In sostanza, congelato fino al 30 settembre, quando sarà revocata la moratoria sui licenziamenti concordata col governo in cambio di 58 miliardi di $ di aiuti di Stato alle quattro maggiori compagnie aree del paese: «American Airlines», «Delta Airlines», «United Airlines» e «Southwest Airlines».
Tuttavia è stato già chiesto ai dipendenti di pagare il conto. Il 17 marzo, Delta Airlines ha inviato una e-mail a tutti i suoi dipendenti chiedendogli di “aiutare l’azienda”. La riduzione dei salari del 25% ai dipendenti di terra della sede di Atlanta e il taglio della settimana lavorativa di 3-4 giorni sono solo esempi, mentre il mese scorso 10.000 dipendenti sono stati costretti ad accordarsi “volontariamente” per un congedo non retribuito di almeno tre mesi.
Nella produzione aeronautica migliaia di lavoratori del gruppo Airbus in Francia e Germania sono in cassa integrazione, mentre l’americana Boeing ha licenziato il 10% del personale.
In tutti i paesi capitalisti i vari governi sono intervenuti stanziando miliardi con l’obiettivo di salvaguardare i grandi capitali accumulati dalle compagnie del settore. Al contempo misure repressive hanno impedito scioperi e proteste dei lavoratori.
Sono stati messi in campo i vari strumenti, da sempre utilizzati per finanziare le aziende in “difficoltà”, togliendo loro l’onere del pagamento dei contributi sociali e degli stipendi dei lavoratori, facendo pagare il “conto” ai contribuenti, mettendo i lavoratori coinvolti in una situazione di difficoltà occupazionale (licenziamenti) e salariale (percentuale minore di salario). A pagare come sempre il prezzo più alto sono senza dubbio i lavoratori precari, che già da anni creano ricchezza senza nessuna garanzia sul loro futuro occupazionale e oggi, in piena emergenza, sono abbandonati a loro stessi. Un’altra pratica consolidata è quella del “furto” delle ferie dei lavoratori da parte delle aziende, obbligandoli ad utilizzarle in questa fase di inoperatività.
Il costo scaricato sui lavoratori e sui popoli
Le migliaia di licenziamenti esercitano un’enorme pressione sulle economie dei paesi capitalisti dell’UE. Esempio è il caso del nostro paese con il ministro dello sviluppo economico Patuanelli che ha annunciato un piano per una “nazionalizzazione” di Alitalia dal prossimo giugno, di carattere temporaneo, con relativi esuberi e smembramenti. I governi di Francia e Paesi Bassi stanno preparando un “piano di salvataggio” per Air France-KLM che consiste rispettivamente in 7 miliardi (3 miliardi di aiuti diretti più 4 in garanzia statale per prestiti) e 2-4 miliardi. Il gruppo Lufthansa sta discutendo programmi di aiuti da parte dei governi di Belgio, Austria e Svizzera, mentre lo stato tedesco ha accettato di concedergli un “pacchetto di salvataggio” da quasi 10 miliardi di euro, in cambio dell’acquisizione di una quota di minoranza, del diritto di veto e della nomina di due membri del Consiglio di amministrazione della società. Tuttavia, i dirigenti del gruppo tedesco stimano che la situazione non si normalizzerà prima dell’estate 2022 o nel 2023. Per le compagnie spagnole Iberia e Vueling sono stati stanziate dal governo spagnolo finanziamenti per oltre 1 miliardo di € (rispettivamente 750 e 260 milioni).
Aiuti pubblici anche per Sas (in parte pubblica, con capitali di Svezia e Danimarca) e per Finnair (al 55.8% pubblica) in Finlandia per 600 milioni. In Gran Bretagna, Easyjet ha ottenuto 690 milioni di prestito di emergenza, mentre la portoghese Tap, già al 50% pubblica, è sulla strada della nazionalizzazione. L’Austrian Airlines (legata a Lufthansa) riceverà un pacchetto tra i 500-800 milioni dal governo austriaco.
I generosi pacchetti di sostegno statale a questi monopoli provocano le reazioni dei loro concorrenti, come la compagnia aerea low cost Ryanair.
Il CEO, Michael O’Leary, della compagnia irlandese ha chiesto all’UE di imporre modifiche ai programmi di supporto delle compagnie aree nazionali al fine di trarne beneficio. In una lettera alla Commissione, ha chiesto che le garanzie sui prestiti fossero redistribuite a “tutte le compagnie aeree dell’UE in base al traffico passeggeri in ciascun paese”. Altrimenti, minaccia di rallentare le iniezioni di liquidità statale facendo appello ai tribunali. Parlando al Financial Times ha chiarito che gli aerei della compagnia non torneranno a volare, se la stessa sarà obbligata a mantenere un posto vuoto tra i sedili, avvertendo il governo irlandese che se intende introdurre questa regola, “o pagherà lui per il posto di mezzo oppure semplicemente non si volerà più, perché non è possibile avere un profitto con un tasso di riempimento del 66%”.
Queste misure diventano un caso tipico del maggior interventismo statale in economia da cui, come abbiamo già descritto in precedenti articoli (leggi qui e qui), non bisogna lasciarsi ingannare pensando che rappresenti una “svolta progressiva” a favore del popolo, che sarà chiamato invece nuovamente a “stringere la cinghia” e caricarsi sulle sue spalle il recupero dei profitti del capitale.
Maggiore o minore che sia, l’intervento dello stato borghese serve gli interessi del capitale nazionale e dei propri monopoli nella competizione internazionale, socializzando le perdite dei gruppi imprenditoriali e delle banche, mentre i profitti continueranno a gonfiare i conti dei capitalisti.
E per quanto grossi siano gli “aiuti statali” questi non impediranno di certo lo scoppio di una nuova crisi dell’economia capitalista né le perdite occupazionali.
La nuova forte escalation della competizione tra i monopoli delle compagnie aree peggiorerà significativamente la vita dei lavoratori di questo settore che già in questi anni hanno subito salari al di sotto dell’inflazione, contratti di lavoro sempre più instabili, flessibilità oraria estrema, abbattimento delle tutele della salute e della sicurezza. Come già si sta vedendo in questa crisi, la classe lavoratrice sarà chiamata a pagare i maggiori costi da affrontare, sia per la ristrutturazione di questo settore sia in tutti gli altri ambiti.
Fonti:
rizospastis.gr
Cub trasporti
Il Manifesto