Mascherine Coronavirus e prezzo calmierato: il capitalismo non si cambia per decreto
È passato quasi un mese da quando il commissario per l’emergenza Domenico Arcuri insieme al presidente del consiglio Giuseppe Conte hanno annunciato il calmiere dei prezzi per le mascherine chirurgiche, dispositivi di protezione individuale (DPI) necessari alla fase 2 dell’emergenza Coronavirus. Il prezzo stabilito di 50 centesimi aveva immediatamente allertato la categoria dei farmacisti i quali avevano dichiarato «lavoreremo in perdita quasi del 50 per cento».
Ad oggi ormai, a detta del commissario Arcuri la problematica doveva essere risolta e le farmacie, le parafarmacie, la grande distribuzione avrebbero dovuto essere ben fornite di tutti i dispositivi necessari alla protezione dei cittadini. A quanto pare, a detta di Federfarma, la situazione sarebbe ben diversa: “Nella quasi totalità delle farmacie dove sono state consegnate a prezzo calmierato, per esempio a Roma, le mascherine chirurgiche sono già finite. Le uniche che stiamo distribuendo sono quei tre milioni provenienti dalla Protezione Civile ed entro domani saranno già finite a fronte di un fabbisogno di 10 milioni al giorno. Siamo subissati di richieste e purtroppo ci sono diversi milioni di mascherine bloccate e sequestrate durante i controlli, spesso per intoppi burocratici: bisognerebbe eliminare questo corto circuito”
Il commissario Arcuri, tuttavia, in conferenza stampa ha duramente ribattuto alle accuse indirizzategli: “Abbiamo distribuito 208 milioni di mascherine da inizio emergenza, è una quantità sufficiente. Le Regioni hanno 55 milioni nei loro magazzini”. Aggiunge poi: “Le farmacie non hanno le mascherine perché due società di distribuzione hanno dichiarato il falso non avendo nei magazzini i 12 milioni di mascherine che sostenevano di avere […] L’unica mia colpa è di non aver voluto sanare mascherine prive di autorizzazioni che i responsabili della distribuzione avrebbero voluto mettere in commercio”
Proviamo a mettere ordine in questo pasticcio.
Da un lato abbiamo un commissario (che vorrebbe essere “del popolo”) che si autoassolve per le mancanze nell’erogazione del servizio; dall’altra Federfarma, distributori e esercenti che si coalizzano mentre al tempo stesso si combattono tra loro al fine di garantirsi il miglior prezzo di vendita e così incrementare il più possibile i profitti, a discapito evidentemente della popolazione a cui ad oggi manca un bene fondamentale, in un momento di riapertura e di allentamento delle disposizioni di isolamento individuale.
Dall’altro lato, nelle dichiarazioni con cui istituzioni ed esercenti si rimpallano le responsabilità, possiamo evidenziare che i malumori suscitati fra i rivenditori dall’imposizione di un calmiere sul prezzo dei DPI e la mancanza degli stessi dispositivi siano una diretta conseguenza del sistema economico nel quale viviamo.
Un sistema economico fondato sul libero mercato e sul profitto a tutti i costi non è disposto in alcun modo a piegarsi all’imposizione di un calmiere – il quale, in ogni caso, è una scelta non idonea a provvedere alla fornitura secondo necessità di un bene essenziale come un dispositivo di protezione individuale durante una pandemia.
In senso più ampio, le difficoltà incontrate anche solo da un correttivo minimo, quale è l’intervento per decreto sul prezzo di vendita finale di un prodotto, mostrano come il sistema capitalista non possa essere riformato (o aggiustato) con toppe o soluzioni di comodo.
Il prezzo calmierato infatti agisce solamente sul prezzo finale di vendita e non riesce ad avere un effetto estensivo sull’intero processo di produzione delle mascherine tanto che in alcuni casi si è giunti alla condizione per cui il prezzo di acquisto da parte dei fornitori finali era superiore a quello di vendita. Ciò rende la distribuzione impossibile dal momento che implicherebbe che il distributore privato debba commerciare un bene in perdita. Questo era accaduto al gruppo CRAI che diffondeva una nota il mese scorso dicendo: «Siamo nell’impossibilità di vendere le mascherine a un prezzo inferiore al loro costo di acquisto. Confidiamo che il governo voglia risolvere al più presto tale situazione in modo da consentirci di riprendere la vendita delle mascherine in questione»
Non ci si stringe il cuore pensando ai titolari dei gruppi della grande distribuzione alimentare che in questo periodo hanno registrato sensibili aumenti nei profitti a fronte di orari di lavoro e turni sempre più duri per i lavoratori, questa situazione, però, ci è utile per introdurre un altro punto interessante. In questo caso i termini del conflitto non sono esclusivamente morali, non si tratta semplicemente dell’avidità del padrone nella ricerca del profitto ma degli stessi meccanismi del sistema economico che risultano essere incompatibili con le necessità oggettive delle popolazioni. Le regole della concorrenza e del mercato sono alla base della produzione delle merci in questo sistema e ne determinano in larga parte le sorti distributive.
In una fase di grande emergenza sanitaria escono fuori le contraddizioni prodotte da questo modello e si evidenzia come il mercato sia incapace di regolare autonomamente sé stesso nel soddisfacimento dei bisogni essenziali. Anche i piccoli correttivi della politica si sono scontrati contro le regole generali del sistema dimostrando quanti sia urgente un cambio completo di paradigma che ponga le necessità oggettive delle popolazioni come indirizzo dei processi produttivi al posto delle necessità del mercato.