Il padronato europeo batte cassa: più soldi alle imprese e più mobilità del lavoro
Mentre si accentuano le contrapposizioni tra i diversi paesi d’Europa e tra le rispettive borghesie nazionali, opposte spinte centripete conducono le associazioni padronali alla firma di un documento congiunto sul loro piano di intervento economico-politico per un’uscita dalla crisi, ovviamente, a loro favore[1]. Il documento è stato pubblicato il 12 maggio, scritto e firmato da Confindustria, BDI e MEDEF (gli equivalenti di Confindustria rispettivamente in Germania e Francia): uno scritto comune insomma, relativo alle misure richieste a governi ed Unione Europea rispetto alla crisi economica che sta seguendo l’emergenza Coronavirus. Si legge: “Le politiche pubbliche hanno fornito delle prime risposte rispetto alla liquidità e alla solvibilità delle imprese, a programmi di lavoro a tempo parziale e alla mobilità dei nostri lavoratori. La Banca centrale europea ha rafforzato notevolmente il suo programma per fornire liquidità al sistema finanziario. Tutte queste misure sono state necessarie; tuttavia, non sono ancora sufficienti. […] Abbiamo bisogno di un ampio Piano europeo.”
Insomma, dicono le associazioni dei primi tre padronati europei per volume di affari, servono più soldi alle imprese; nonostante si siano più e più volte ignorati i rischi sanitari in favore del profitto pare ancora non bastare: è dunque il momento di proporre a livello europeo direttamente un programma d’azione. Il documento si articola in sei passaggi, che vale la pena analizzare direttamente.
Nel primo si sottolinea ancora la richiesta: “[Serve] un sostegno pubblico sconosciuto in tempi normali. In questo trimestre, i nostri governi devono passare da misure di liquidità e sociali di primo intervento a piani di uscita dall’emergenza e al sostegno fiscale. Mettere in atto piani di uscita in varie fasi per i prossimi tre o cinque trimestri […] – è della massima importanza per consentire alle imprese e ai lavoratori di pianificare il ritorno a modelli più normali di attività”. Insomma, non sono stati sufficienti finanziamenti a fondo perduto, sgravi e concessioni di ogni tipo, bisogna che i vari stati si impegnino in modo ancor più diretto nel garantire il sistema industriale.
Nel secondo e terzo passaggio si esorta l’Ue a coordinarsi meglio, e si richiede una risposta “senza precedenti”, ovvero estendere la durata delle garanzie sui prestiti, ridurre i costi delle misure, e “la creazione di un Recovery Fund di dimensioni adeguate, che possa fornire un buon equilibrio di prestiti e sovvenzioni agli Stati membri, e la definizione di misure supplementari a livello europeo”. Si passa con agilità, insomma, dall’essere alfieri dell’Europa quale garante del libero mercato ad un Europa garante della stabilità delle imprese. Un Europa fatta di governi che per ottenere questo risultato possano “far leva su tutti gli strumenti attualmente a nostra disposizione e su altri nuovi e più ambiziosi”, rimettendo quindi in sesto: “l’industria manifatturiera, il mercato unico, i trasporti transfrontalieri, la mobilità del lavoro e il turismo”. Ragionare di trasporti transfrontalieri e turismo già adesso, accanto alla voglia di tanti che vogliono la riapertura di questi comparti economici, lascia notevoli dubbi sui rischi che può comportare a livello sanitario. Preoccupazione, quella delle frontiere aperte, che riemerge anche un altro passaggio: “L’evitare di adottare derive protezionistiche sarà responsabilità dei grandi attori internazionali nei loro dialoghi bilaterali con la regione Transatlantica e quella dell’Asia Pacifico”.
Ma soprattutto, spicca tra questi punti la richiesta di assicurare la “mobilità del lavoro”: proprio nel momento in cui si chiede di garantire integralmente l’impresa, si chiede al contrario il diritto di disporre a piacimento dei lavoratori, del poterli licenziare liberamente, o comunque di non porre in essere misure in difesa dei posti di lavoro.
Il quarto e quinto passaggio riguardano invece la politica fiscale da tenere a livello nazionale ed europeo, attraverso “forti misure fiscali anti-cicliche”, termine di base abbastanza neutro per intendere misure volte ad invertire la direzione corrente dell’economia. Per capire in cosa queste effettivamente si traducano, vale la pena riportare quasi per intero la loro proposta: “Siamo favorevoli a prevedere un insieme di politiche fiscali generali e settoriali specifiche, volte a sostenere la domanda interna nel momento in cui verranno rimosse le interruzioni sul lato dell’offerta. In molti paesi, tali misure dovranno essere consistenti e dovranno funzionare sia attraverso il canale di riduzione della tassazione che attraverso una spesa pubblica maggiore ma mirata. […] Una forte risposta fiscale che dovrà essere solidale. Almeno fino al 2023, sarà necessario prevedere un forte stimolo fiscale a livello nazionale ed europeo, pari fino al cinque per cento del PIL all’anno nella maggior parte dei paesi”. Si aggiunge in un passaggio successivo la necessità di sostenere gli investimenti privati e di aumentare quelli pubblici, ricorrere a programmi di prestito rafforzati attraverso la Banca europea per gli investimenti.
Facciamo quindi chiarezza, cosa significano queste proposte? Con sostenere la domanda interna ci si riferisce semplicemente ad aiuti alle imprese attraverso sgravi fiscali ma anche finanziamenti diretti. La novità sta piuttosto nell’intensità a livello economico della manovra richiesta, si arriva a proporre il 5% del PIL annuo da destinare al progetto, un’immensa quantità di soldi pubblici. Ecco quindi cosa vuol dire “spesa pubblica maggiore ma mirata”, mirata ad aiutare non i lavoratori ma il padronato. Nella proposta non ci si limita agli aiuti economici, si chiede direttamente a stati e UE di “…evitare ogni danno ai fondamentali economici e produttivi, limitando il più possibile ogni fallimento societario e risolvendo ogni conseguenza negativa come bilanci deteriorati o perdite in capitale umano.
Nessuna impresa europea dovrà fallire o soffrire a causa di perdite permanenti per colpa di un supporto mancato da parte di un singolo paese”. Gli stati e l’UE dovranno quindi prendersi in carico il sistema industriale, assicurandosi non solo di mantenerlo ma anche di assicurarne i profitti, almeno fino alla fine della crisi sanitaria.
Cosa dire di questo documento? Possiamo innanzitutto prendere atto della rapidità con cui l’industria europea è stata in grado di riorganizzarsi e darsi un programma comune basato sui suoi interessi di classe. La seconda è come questi siano mutati, rispetto al precedente modello. Infatti come già avevamo in precedenza osservato, pur non essendo una novità che l’Unione Europea si sia schierata dalla parte degli industriali nei momenti di difficoltà, secondo la famosa logica del privatizzare i profitti e socializzare le perdite[2], la vastità degli aiuti necessari richiedono oggi una vera e propria svolta nella gestione, dallo stato minimo allo stato massimamente schierato a difesa dell’imprenditore.
Assenti come prima da questa gestione i lavoratori, ancora una volta si pone al centro l’imprenditore e la sua figura quale unico creatore della ricchezza, cui tutti i soldi destinati sono soldi destinati alla società tutta, mentre al contrario tutti i soldi destinati ai lavoratori sono “assistenzialismo”.
Scriveva Marx già nel 1857, sul New York Daily Tribune, che “Il patrimonio dell’intera società, dovrebbe ripianare le perdite dei capitalisti privati. Questo genere di “comunismo” in cui la reciprocità è assolutamente unilaterale, esercita una certa attrattiva sui padroni europei”[3], e del resto gli interventi a fondo perduto (e le misure in corso di preparazione) mostrano esattamente la mancanza di reciprocità di cui parlava il filosofo di Treviri. Non è quindi una novità a livello storico questa svolta, rappresenta al contrario la prassi capitalistica nei momenti di crisi (anche nel 2008 si erogarono enormi iniezioni di capitale – in favore, allora, delle banche: e anche la redistribuzione di questo piano di conflitto appare interessante da indagare). Mentre quindi i lavoratori o vivono sotto una crescente minaccia di licenziamento, o sono costretti a tornare nelle fabbriche spesso senza DPI, o si riversano negli uffici e nelle strade a rischiare il contagio, il padronato incassa, per ora senza bisogno di dover render conto a nessuno.
[1] https://www.confindustria.it/notizie/dettaglio-notizie/DICHIARAZIONE-CONGIUNTA-DI-CONFINDUSTRIA-BDI-E-MEDEF-A-UE
[2] https://www.lordinenuovo.it/2020/05/08/lo-stato-al-fianco-delle-imprese-socializzare-le-perdite-privatizzare-i-profitti/
[3] New York Daily Tribune, 1857.The financial crisis in Europe, Karl Marx