Gino Donè Paro: “l’Italiano” tra Fidel Castro e Che Guevara
26 luglio 1953, Santiago, Cuba.
Un gruppo di oppositori al regime militare di Fulgencio Batista assalta la caserma militare “Moncada”, nel tentativo di colpire duramente l’esercito e assicurarsi armi e munizioni. A guidarli è Fidel Castro, un giovanissimo avvocato di 25 anni. L’assalto sarà un fallimento, i pochi superstiti saranno torturati brutalmente, lo stesso Castro sarà esiliato. Ma l’attacco sarà solo il primo passo di una delle Rivoluzioni più importanti del ‘900, che porterà una piccola isola caraibica a tenere sotto scacco la potenza statunitense. In questa impresa un ruolo decisivo fu giocato, inaspettatamente, da un italiano: il suo nome è Gino Donè Paro e questa è la sua storia.
Gino Donè nasce il 18 maggio 1924 a Rovarè, una frazione del Comune di San Biagio di Callalta, in provincia di Treviso. Nato da una famiglia poverissima, riesce comunque a completare gli studi e nel 1942, appena compiuti i 18 anni, riceve la chiamata alle armi, ma dopo l’8 settembre 1943, con l’Italia “spaccata in due”, senza esitazioni decide di schierarsi con la Resistenza. Da partigiano combatterà nella Missione Nelson, operando fino all’aprile 1945 nell’area della laguna veneta. Nell’immediato dopoguerra riceve un encomio solenne per le sue gesta da partigiano (riuscì a salvare due soldati inglesi braccati dai tedeschi), per volontà del Generale in capo britannico Harold Alexander e nel 1947 diviene uno dei fondatori della sezione ANPI della provincia di Venezia.
Nonostante le sue eroiche gesta nel contesto bellico, la vita di Gino è fortemente condizionata dalla disoccupazione: decide perciò di emigrare e, dopo aver lavorato in Francia, in Belgio e in Germania, nel 1951, parte per Cuba.
A Cuba, sui documenti, diverrà Gino Donè Paro (è usanza dei paesi ispanici mettere il cognome materno dopo quello paterno). All’Avana, lavora come carpentiere quando Batista inizia la sua ascesa al potere; passa le sue giornate lavorando o parlando sulle gradinate dell’Università, per migliorare la sua conoscenza dello spagnolo. Nella capitale ha la fortuna di incontrare e passare molto tempo con Ernest Hemingway, che parlava italiano con la stessa cadenza veneta di Gino, avendo vissuto e combattuto in Veneto negli anni della Prima Guerra Mondiale, tanto che il suo capolavoro “Addio alle armi”, in parte ispirato alla sua esperienza bellica, è ambientato in Italia.
Nel 1952, seguendo la ditta per cui lavorava, Gino si trasferisce a Trinidad: qui conosce e sposa Norma Turino Guerra, una delle più care amiche di Aleida March de la Torre, legata al gruppo di Fidel Castro e futura seconda moglie di Ernesto Che Guevara. Aleida racconta in una lettera a Fidel del matrimonio di Norma con un ex “Guerrillero italiano” che ha combattuto i fascisti durante la Seconda Guerra Mondiale.
È necessario fare un passo indietro: Fidel Castro, dopo il fallito assalto alla Caserma Moncada, era stato arrestato e, successivamente, esiliato in Messico. Qui aveva fondato il Movimento 26 luglio, in ricordo dei compagni caduti nell’assalto, radunando esuli cubani e oppositori alla dittatura di Fulgencio Batista con l’intento di preparare un nuovo attacco al regime militare nella sua terra natia. Cosa mancava a Fidel? L’esperienza! I suoi futuri Guerrilleri non avevano mai avuto esperienza di combattimento, erano spinti da ragioni politiche ma Fidel era cosciente del fatto che non fossero pronti ad uno scontro con truppe regolari. Serviva un uomo con esperienze di combattimento, capace di istruire i suoi soldati alla guerra vera, a mantenere la calma sotto una pioggia di proiettili, tra le montagne e le foreste della Sierra cubana. Grazie alla lettera di Aleida, Castro capì che Gino, detto “El Italiano”, era il suo uomo.
Faustino Perez, dirigente del M-26-7 (sigla del Movimento 26 luglio), incontrò Gino e gli spiegò che Castro in persona aveva richiesto il suo aiuto, consegnandogli una cospicua somma di denaro da portare in Messico per il sostegno della Rivoluzione. Tra il 1955 e l’anno successivo, Gino sfrutterà il suo Passaporto “diplomatico” (essendo italiano non generava sospetti) compiendo diversi viaggi tra Cuba e il Messico: sarà durante questi viaggi che diverrà l’istruttore militare del Movimento, preparando moltissimi combattenti alla Rivoluzione e diventerà amico del medico argentino Ernesto “Che” Guevara, che definirà così:
« … Tutti lo chiamavano “Che”, per me era solo Ernesto […] era mi hermano, mio fratello. Sono stato io a insegnargli a sparare bene, e soprattutto le tecniche della guerriglia … »
Con il denaro portato da Gino, Fidel e suo fratello Raul comprarono uno yacht, ribattezzato Granma, che intendevano utilizzare per sbarcare segretamente a Cuba e appiccare il fuoco rivoluzionario. Il 25 novembre 1956, la nave salpò dal porto messicano di Tuxpan e Gino era tra i guerriglieri che presero parte alla spedizione. Ricorda così quel viaggio incredibile e ricco di imprevisti:
«… Dopo due o tre giorni i viveri erano finiti. Avevamo fame e sete, ed eravamo stretti come sardine in quello yacht che aveva 8 posti in tutto. Ci si poteva stare anche in 20, ma noi eravamo 82. Ed io ero uno dei quattro stranieri, l’unico italiano, anzi l’unico europeo. Alla fine abbiamo finito anche il carburante […] un viaggio che doveva durare 3 giorni … ne durò 7 … »
Dopo infinite peripezie, il Granma raggiunse le coste cubane nella zona delle Playas de las Colorades (oggi chiamate Granma in ricordo dell’impresa), in piena Sierra Maestra. Gino ricorda le difficoltà durante lo sbarco a causa delle mangrovie e di un contemporaneo attacco aereo da parte dei lealisti di Batista: «Quattro ore per superare arbusti e mangrovie, e poi siamo stati attaccati dagli aerei di Batista. Ci dividemmo in gruppi, come mi aveva insegnato l’esperienza di partigiano. I chiodi degli scarponi ci bucavano i piedi. Ernesto mi aiutò, curando le ferite». Ma Gino, qualche ora prima, si era reso protagonista di un atto che permise alla storia di seguire il corso che conosciamo oggi: il Che fu colto da un violento attacco d’asma appena sbarcato, non aveva medicinali e nessuno dei compagni sopravvissuti sapeva cosa fare.
Uno dei più grandi rivoluzionari che la storia ricordi era ad un passo dalla morte ma Gino, che aveva avuto esperienze simili con sua moglie (asmatica anche lei), fu in grado di aiutarlo, praticandogli un energetico massaggio al torace che gli salvò la vita.
I giorni successivi furono molto duri: durante la battaglia di Alegria de Pio metà dei Granmisti persero la vita e i superstiti decisero di dividersi per nascondersi meglio. Gino decise di tornare clandestinamente da sua moglie a Trinidad dove, con l’aiuto di Aleida, organizzò un attentato alla sede del Comando fedele a Batista della Città di Santa Clara. I due dovevano lanciare degli esplosivi ad alto potenziale nelle finestre dell’ufficio ma, per le festività natalizie, la sede era piena di bambini e civili e Gino decise annullare tutto:
«… La nostra Rivoluzione si fa contro l’esercito. Non contro il popolo! »
Dopo il fallito attentato, però, la situazione in città era degenerata pericolosamente: Gino era ormai un ricercato e Fidel gli intimò di allontanarsi dall’isola con la prima imbarcazione disponibile per fuggire, pur se contrariato, negli Stati Uniti.
Nel frattempo, la Rivoluzione proseguiva con sempre maggior successo: i rivoluzionari di Castro, definiti Barbudos (perché decisero tutti di non radersi fino alla vittoria della Rivoluzione) allestivano degli accampamenti in cui istruire i figli dei contadini, davano loro cibo e vestiti, incrementando così, giorno dopo giorno, le loro fila. La tattica del “focolare” (che prevedeva la nascita di piccoli e disparati “fuochi” rivoluzionari per alimentare un sentimento popolare di unanime avversione alla dittatura e attaccare su tutti i fronti il regime) e le tecniche di guerrilla stavano logorando la resistenza dei batistiani. La superiorità dei castristi divenne palese dopo la feroce battaglia di Santa Clara, combattuta a cavallo tra il dicembre del 1958 e il gennaio dell’anno successivo, quando i lealisti furono attaccati da un gruppo speciale delle truppe di Guevara: il Plotone Suicida, famoso per le gesta folli ed eroiche durante la Rivoluzione, venne incaricato di attaccare un grande treno blindato, orgoglio dell’esercito regolare cubano, che venne costretto a fermarsi, danneggiato con le bombe a mano. Gli uomini di Batista furono pesantemente sconfitti, le loro armi e munizioni confiscate dai Guerrilleri, il loro morale fiaccato.
Dopo appena una settimana, Fidel Castro, suo fratello Raul e Che Guevara entrarono trionfanti all’Avana: la Rivoluzione aveva vinto.
Gino aveva assistito da spettatore alle gesta finali dei suoi compagni di lotta e, nonostante avesse provato più volte a tornare a Cuba, a causa dei problemi diplomatici sorti da quel momento tra Washington e l’Avana, non riuscì in questo intento fino al 1995 quando, grazie ad una temporanea distensione dei rapporti fra i due paesi, fu invitato ufficialmente per celebrare il 39° anniversario dallo sbarco del Granma.
In seguito, tornerà a Cuba molte volte: nel 2004, in occasione dei festeggiamenti del Primo maggio, fu decorato per il suo impegno e il suo ruolo nella Rivoluzione. Nel 2005, assieme ad una troupe televisiva interessata a girare un documentario a lui dedicato, si recò nei luoghi principali della rivolta e, in questa occasione, è stato immortalato uno degli ultimi incontri tra Gino e Fidel Castro: i due, invecchiati e commossi, si abbracciano e baciano con affetto e stima reciproca. Sarà uno delle ultime apparizioni pubbliche di Castro da Lìder Maximo, prima che la malattia lo costringesse al ritiro, così come sarà uno degli ultimi viaggi di Gino nella terra che lo ha consegnato alla Storia.
Gino si è spento il 22 marzo del 2008 a San Donà di Piave. Al suo funerale erano presenti centinaia di persone nonché una delegazione dell’ambasciata di Cuba da Roma con quattro grandi corone di rose rosse da parte Fidel Castro, di Raul Castro, dell’ ambasciata cubana e dei Granmisti sopravvissuti.
Significative sono le parole rilasciate da Gino in un’intervista a Repubblica, pochi mesi prima di lasciarci:
« Io sono stato educato in mezzo ai preti, Ernesto era invece un marxista e leninista vero. Eppure siamo diventati fratelli. Mi hanno chiesto se sono anarchico, comunista, rivoluzionario… Io sono soltanto un maledetto selvaggio. Però osservo il mondo e vedo che c’ è sempre qualcuno più povero e più ignorante di me. E oggi, chi dà una mano ai proletari? Forse ci vorrebbero ancora uomini che decidono di essere fratelli. Hasta siempre!»
Fonti:
Angelo Trento, Castro e Cuba. Dalla Rivoluzione a oggi, Giunti Editore, Milano 1998 (ristampa 2009)
Loris Zanatta, Storia dell’America Latina contemporanea, Laterza, Roma 2012 (quarta edizione)
Katia Sassoni, Gino Doné. L’italiano del Granma, Massari editore, 2013
http://www.anpi.it/donne-e-uomini/677/gino-done
http://www.metarchivi.it/biografie/p_bio_vis.asp?id=536
https://www.repubblica.it/esteri/2016/11/26/news/_io_l_italiano_della_barca_di_fidel_spiegai_a_guevara_come_si_spara_-152857720/