Jabil di Marcianise, uno spaccato di vite operaie nella morsa del licenziamento
Fondata nel 1966 a Detroit, la Jabil Circuit Inc., conosciuta semplicemente come Jabil, è una multinazionale leader del settore della produzione di componenti e circuiti elettronici. Presente in tutto il pianeta con i suoi stabilimenti, la società americana fino a pochi anni fa vantava numerose sedi anche nel nord Italia, tra Lombardia e Liguria, chiuse tra il 2007 e il 2011.
Tra i clienti della Jabil troviamo veri e propri colossi del settore, da IBM a Whirpool, Siemens, Nokia e molti altri. Negli ultimi giorni, con l’attenzione mondiale rivolta ancora verso l’uscita dalla crisi sanitaria, ha suscitato enorme clamore la notizia del licenziamento di oltre 190 dipendenti dello stabilimento di Marcianise, in provincia di Caserta.
Nonostante un fatturato di 6.13 miliardi di dollari stimato a febbraio 2020, in rialzo di un punto percentuale rispetto ad agosto 2019, la multinazionale americana non ha avuto ripensamenti nel dare il benservito ai 190 operai, presentando questa dismissione come un “programma di reimpiego”.
“Le altre aziende che hanno partecipato al programma di reimpiego – si legge in una nota del gruppo statunitense – hanno richiesto un numero di lavoratori maggiore rispetto agli esuberi della Jabil. Sebbene le significative risorse economiche sia per i dipendenti, come incentivi all’esodo, sia per le imprese a supporto del loro business plan, ad oggi si registra un risultato deludente sulle adesioni al reimpiego”
La responsabilità, dunque, secondo la Jabil, non è dell’azienda che, invece, avrebbe agito nel pieno rispetto delle regole, bensì dei dipendenti che non hanno mostrato disponibilità al reimpiego.
La Jabil ha affermato in una nota che “non si è addivenuti ad un accordo sulla gestione condivisa dei 350 esuberi. Jabil, secondo i tempi della procedura, avrebbe dovuto procedere ai licenziamenti già il 23 marzo 2020. Con l’avvento della pandemia Covid si è stabilito con un accordo siglato con i sindacati di posticipare i licenziamenti al 25 maggio, cosa che poi è effettivamente avvenuta. Pertanto Jabil ribadisce che i licenziamenti sono stati adottati all’esito di un percorso legittimo.
L’azienda ritiene che “la definitiva risoluzione degli esuberi sia un passaggio fondamentale per garantire la continuità delle attività produttive per i dipendenti che rimangono impiegati”.
Abbiamo raccolto alcune testimonianze dirette dei lavoratori dalle quali si evidenziano tutte le difficoltà della situazione attuale del mondo del lavoro.
Lo spaccato che esce dalle interviste mette in risalto la contrapposizione con l’azienda e le paure dei lavoratori licenziati legate alla difficoltà nel ricollocamento lavorativo, emerge la chiara percezione nei lavoratori dell’inconciliabilità dei propri interessi con quelli della classe padronale ma anche una sfiducia generale nei sindacati e una mancanza di coesione tra i lavoratori stessi.
Nella confusione del presidio e della protesta siamo riusciti a raccogliere l’opinione di una lavoratrice che non rientra tra i 190 licenziamenti previsti dall’azienda.
Lei è qui per supportare un familiare?
“No, i familiari non li fanno entrare, sono qui per le mie colleghe. Io personalmente non sono stata licenziata ma sono qui perché il trattamento che oggi è toccato a loro, un domani, potrebbe toccare a me.”
Qual è stato secondo lei il motivo del licenziamento?
“La multinazionale ha deciso di delocalizzare la produzione in paesi dove la manodopera ha un costo inferiore. L’azienda aveva mostrato da mesi l’intenzione di snellire il personale dello stabilimento ma con la promessa di un ricollocamento del personale in esubero. Le società nelle quali avremmo dovuto essere ricollocati però non esistono, l’azienda ci ha detto che si trattava di start up che sarebbero nate in seguito. Quindi in molti si sono giustamente opposti ad una proposta di ricollocamento del genere basata su quella che a noi è sembrata una falsa promessa senza alcuna garanzia. Ora con l’emergenza covid19 l’azienda ha intenzione di fare ulteriori licenziamenti.”
Lei ha lavorato durante la quarantena? Era necessario secondo voi continuare questo tipo di produzione?
“Si, io lavoro nel reparto riparazioni dove produciamo le schede di rete ed altri dispositivi per la connessione ad internet. Quindi, secondo me sì, era una produzione necessaria.”
E le norme di sicurezza sono state rispettate?
“Nello stabilimento sono state rispettate tutte le norme di sicurezza e l’azienda ci ha fornito anche le mascherine chirurgiche.”
Quanto è importante l’operaio nel sistema produttivo?
“L’operaio è la parte essenziale ed indispensabile del sistema produttivo, senza di lui la produzione non vi sarebbe e le macchine non funzionerebbero.”
Breve intervista ad un altro lavoratore che si è trovato dalla sera alla mattina a saltare dall’elenco dei “salvati” a quello dei “sommersi”.
Rientra tra i 190 lavoratori licenziati?
“All’inizio non ero nell’elenco, poi improvvisamente hanno inserito anche me, nonostante fossi categoria protetta, potrei fare una causa contro l’azienda ma devo aspettare i tempi della giustizia, ci metterei anni per vincerla e rientrare in azienda ed economicamente non ce la farei. Quando fai la vertenza contro l’azienda ti congelano tutto.”
In che modo le è stato comunicato il licenziamento?
“Tramite una lettera raccomandata.”
Come si sono comportati i sindacati in questa situazione?
“I sindacati sono intervenuti un po’ a favore dei lavoratori ed un po’ facendo gli interessi dell’impresa. Se in questa situazione chiedono la cassa integrazione facendo il gioco dell’azienda non aiutano i lavoratori perché c’è sempre il rischio che l’azienda chiuda del tutto e si rimanga senza lavoro.”
Alcuni reparti sono rimasti attivi durante la quarantena, lei ha lavorato?
“No, io no.”
Pensa che i reparti che hanno lavorato fossero necessari?
“L’azienda non poteva permettersi di perdere clienti.”
Quale è la vostra richiesta immediata?
“Una ricollocazione lavorativa. Sui giornali è una farsa, ciò che viene proposto è la ricollocazione in start up senza sapere se hanno un piano industriale, senza garanzie, non in aziende ben collocate sul mercato. Come so che dopo due o tre anni non ci ritroviamo nella stessa situazione che stiamo subendo oggi? Sui giornali sembriamo persone che non vogliono lavorare, a cui è stata data la possibilità di un altro lavoro e non accettano, ma non si tratta di aziende esistenti.”
Quali proposte vi sono state fatte?
“Io ho fatto un colloquio tramite videochiamata con l’Aston, ma non mi hanno assunto. È una società che esiste da anni sul mercato, con 3000 dipendenti, ma non assume. Poi c’è l’Hitachi, ma ha assunto un solo dipendente e se n’è andata, non ha fatto nemmeno finta di fare colloqui. All’incontro la Jabil propose 30.000 società che assumevano. Senza articolo 18, senza garanzie. Ho 42 anni, ho spese non indifferenti. Magari accettano un ragazzo giovane, meno vincolato, senza famiglia.”
Come vanno le cose tra voi licenziati e gli altri?
“Vedi, gli animi sono accesi perché alcuni sono fuori dalla fabbrica a protestare con noi, ma sono una minoranza. In azienda alcuni lavoratori con il doppio reddito sono stati ricollocati in altri reparti mentre le persone con il monoreddito non sono state tutelate. Così fanno macelleria sociale. Io sono in presidio permanente da giorni. Ho dormito in auto e ho bloccato i cancelli, ma ci stavamo scontrando con quelli che non hanno avuto la lettera di licenziamento. Passo le notti in bianco, convivo, mi sposerò l’11 Giugno ma mi sta passando la voglia. Ho già un bambino di 6 anni e non so se riuscirò a portare il piatto a tavola il mese prossimo. Non vedo un futuro, che sia nella Jabil o da altre parti nel territorio casertano.”
Secondo lei quanto è importante l’operaio nel sistema produttivo?
“Tantissimo, anche se lavori vicino ad una macchina, la macchina la devi accendere tu, l’azienda punta alla logistica ma non vede la manodopera, sei una semplice matricola.”
Questa è invece l’opinione di una lavoratrice che rientra tra i 190 lavoratori licenziati.
Qual è la causa del licenziamento?
“L’unica cosa che posso pensare è che non sono simpatica. La mia condizione famigliare è difficile: ho divorziato con due figli a carico, sono monoreddito con un affitto sulle spalle. Mi è stato comunicato il licenziamento per “motivo tecnico produttivo”, ma è inconcepibile. Sono diplomata in telecomunicazioni e le mie competenze le ho prese in un’azienda più competente di questa: la Siemens. Facevo il tecnico riparatore in un centro di riparazione, l’ho fatto per circa 10 anni fino a quando non è stata acquisita questa società. Le competenze tecniche le ho, ma a Jabil non servo, mi hanno detto di non aver più bisogno di me. È un’ingiustizia perché dentro sono rimaste persone con doppio reddito e persone con mariti che lavorano come dipendenti statali, sono state fatte tante, tante ingiustizie. Non vedo un futuro neanche grigio all’orizzonte ma nero. Vivere da sola con due bambini e doverli crescere non è facile. i miei figli hanno uno 10 e l’altro 11 anni perciò non sono neanche in età lavorativa. Non puoi contare sull’appoggio di un figlio perché di lavoro non ce n’è più per nessuno figuriamoci per una donna a 44 anni.”
Come le è stato comunicato il licenziamento?
“A me è arrivata una prelettera, perché io avevo rifiutato una società che mi avevano proposto, ho fatto anche un colloquio per sapere se magari potevo andarmene prima, però non la ritenevo giusta per la mia condizione familiare perché non si trattava di un’azienda dove domani uscivo da qui e mi mettevo a lavorare, era una startup e quindi ci ho pensato e ripensato e anziché andare proprio nell’incerto ho deciso di restare ancora un po’ a prendere lo stipendio, certamente se mi avessero offerto delle società dove domani già avrei avuto la possibilità di andare a lavorare avrei accettato il nuovo lavoro.”
Quali sono le sue richieste immediate?
“Delle garanzie, e non che alla fine comandino i padroni, siccome noi siamo cittadini onesti che hanno sempre pagato le tasse, dalla nostra busta paga la prima cosa che ci tolgono sono le tasse. Dobbiamo essere tutelati e non si deve permettere alle multinazionali di fare questo, prendendosi, magari, anche i soldi dallo stato.
Ma avete lavorato durante la quarantena?
“Durante la quarantena noi non eravamo inclusi nei settori di apertura, ma l’azienda ha ottenuto una riapertura parziale dello stabilimento e hanno fatto lavorare un gruppo di persone.”
Era necessario secondo lei?
“No. Sai perché ci hanno fatto incominciare a lavorare? Perché dovevano fare i colloqui e infatti noi siamo venuti a fare i colloqui.”
Hanno lavorato in sicurezza, mascherine?
“Hanno lavorato in sicurezza con mascherine e guanti: l’azienda non si sarebbe mai messa a rischiare. Anche perché è stata una riapertura parziale accordata dal prefetto e quindi avrebbero messo in difficoltà anche il prefetto in quest’occasione. Adesso stanno incominciano a scaldarsi gli animi perché ci sono quelli che si sentono salvi e che vogliono andare a lavorare. Però non hanno capito che il problema non è solamente quello dei 190 licenziati. La direzione aziendale ha dichiarato di avere lavoro per 100 persone quindi se oggi è toccato a noi domani potrebbe toccare a loro. Ma si ha paura di mettersi contro l’azienda. Ci stiamo facendo la guerra tra poveri perché di solidarietà dai colleghi che si sono salvati ne abbiamo vista pochissima. Già come sono state fatte queste liste è indicativo: sono stati colpiti la maggior parte dei lavoratori ex Siemens e qualche povero cristo che non era iscritto al sindacato. Se facessimo causa la vinceremmo certamente, abbiamo fatto già visionare la situazione agli avvocati, purtroppo però le cause non ti fanno mangiare al momento quindi abbiamo bisogno del lavoro. Questi licenziamenti dovevano essere fatti su tre requisiti fondamentali: il reddito, l’anzianità e i carichi familiari, solo dopo ci doveva essere l’aspetto tecnico produttivo. Noi ci conosciamo tutti qua dentro quindi conosciamo la situazione familiare di tutti, conosciamo le capacità tecnico produttive di tutti e sappiamo l’anzianità di tutti quindi posso dirti che su 190 licenziati al massimo una ventina potrebbe ricadere nel licenziamento giusto, inquadrato in questi criteri. Tutti gli altri sono stati licenziati per altri motivi, ad esempio se ti sei messo contro il padrone. Che vi devo dire più, è una giungla.”
Un’ultima domanda, secondo lei quanto è importante il lavoro dell’operaio nel sistema produttivo?
“Diciamo che è alla base, ma ho capito oggi che il padrone se ti vuole schiacciare, ti schiaccia ancora adesso dopo tutti i diritti che abbiamo acquisito sul lavoro.”
Maricla Ruscetti