Seattle, il caso della zona autonoma di Capitol Hill
Le proteste negli Stati Uniti continuano, nonostante il sempre minor spazio nei media italiani potrebbe lasciar pensare che stiano scemando. Statue dei confederati, di schiavisti e di Cristoforo Colombo vengono abbattute in tutto il mondo. Ad Atlanta, il filmato di un nuovo brutale omicidio di un afroamericano, ucciso da tre colpi di pistola alla schiena da parte della polizia, ha scatenato nuovi scontri. A Palmdale, California, la seconda impiccagione sospetta nel giro di un mese di afroamericani solleva dubbi su possibili linciaggi[1].
La proposta di tagliare i fondi alla polizia prende rapidamente piede ed inizia a dominare gli striscioni delle proteste con settori più radicali che rilanciano con il “controllo comunitario o popolare” sulla polizia. Nel mentre si susseguono i tentativi di depotenziare e deviare la protesta di massa per ingabbiarla nel classico bipartitismo tra democratici e repubblicani in vista delle imminenti elezioni.
Tuttavia, per quanto abbia trovato minor spazio nei media nostrani, al centro di un nuovo braccio di ferro sono gli avvenimenti che dall’8 giugno infiammano Seattle, con la formazione della “zona autonoma di Capitol Hill”, meglio nota col suo acronimo “CHAZ”, “Capitol Hill Autonomous Zone”[2].
Questo avvenimento è stato preceduto da due settimane di accesissimi scontri nella città di Seattle, concentrati nel quartiere di Capitol Hill, nei pressi della stazione di polizia locale. Il governatore Jay Inslee ha addirittura inviato la Guardia Nazionale (una forza militare di riservisti che in alcuni casi svolge anche funzioni simili alla protezione civile in Italia), mentre la sindaca Jenny Durkan ha imposto il coprifuoco. Gas lacrimogeni, spray al peperoncino, razzi e granate stordenti sono stati la norma, nonostante la promessa di uno stop di 30 giorni ai gas da parte della sindaca. Gli scontri son terminati solo quando la polizia ha deciso infine di abbandonare la centrale con le porte aperte. Il mattino seguente, l’8 giugno, i manifestanti ne hanno preso possesso, dichiarando la “Zona Autonoma di Capitol Hill”, un’area di oltre sei isolati del distretto est del quartiere, chiudendo rapidamente l’accesso ai veicoli con barricate e segnando con graffiti i confini della zona, entro i quali è fatto divieto di accesso alla polizia[3].
Al centro di tutto, l’ex dipartimento, sulla cui targa la parola “police” è ora sostituita da “people”. Un altro striscione affisso all’edificio ribadisce il messaggio: “this space is now property of the Seattle People”, onnipresenti le scritte “Black Lives Matter” e “Defund the Police” sui muri della zona, rapidamente invasa da orde di curiosi e giornalisti. Gli occupanti si sono rapidamente organizzati: una tenda allestita da volontari distribuisce gratuitamente cibo, si sta piantando un orto di quartiere, la sera vengono trasmessi film e documentari mentre nel corso della giornata si svolgono comizi. Tra le richieste degli occupanti, la completa abolizione del dipartimento di polizia della città, e il divieto dell’uso della forza armata nel periodo di transizione. L’abolizione dell’ICE (agenzia responsabile di immigrazione e confini), la chiusura delle carceri e riparazioni alle vittime della brutalità della polizia.
Le reazioni della politica americana non si son fatte attendere. L’11 giugno attraverso Twitter il Presidente in carica Donald Trump ha accusato gli occupanti di essere “terroristi controllati dall’estrema sinistra”, “brutti anarchici da piegare immediatamente”.
Trump ha tacciato Durkan di incapacità, chiedendole poi di riprendere il controllo della città. In caso contrario “Lo farò io”, minacciando velatamente un intervento armato. La sindaca ha al contrario difeso l’occupazione, bollando come incostituzionali le minacce di Trump, ha dichiarato la zona pacifica e parlato addirittura di una nuova “summer of love” nell’area, aprendo a ipotesi di istituzionalizzazione[4]. Ciononostante, i manifestanti chiedono le sue dimissioni in seguito alla gestione della protesta e al mancato rispetto della promessa sul gas lacrimogeno, che si teme peraltro possa facilitare la diffusione del covid-19 irritando le vie respiratorie.
Al momento la polizia dichiara di non avere piani per un rientro nella zona.
Non è un caso che tutto questo stia avvenendo proprio a Seattle. Gli anni duemila hanno visto la città attraversata da una rapida crescita economica ed occupazionale, con il trasferimento in città di molte grandi aziende d’informatica (ma non solo, vi è, ad esempio, anche Amazon). A questa crescita profondamente diseguale ha seguito un enorme aumento del costo della vita e degli affitti, con la gentrificazione di interi quartieri.
La città è storicamente caratterizzata da un forte movimento dei lavoratori, specie in paragone al resto degli Stati Uniti. Nel 1919, lo sciopero generale organizzato dalla IWW, durato dal 21 gennaio al 10 febbraio, diffuse l’appellativo di “soviet di Seattle” nel resto del paese. Del resto nei pamphlet e nei giornali di quelle giornate si trova chiara ispirazione alla Rivoluzione russa, indicata senza mezzi termini quale modello da imitare. Negli anni della guerra in Vietnam fu una delle città in prima linea nella protesta e balzò all’onore della cronaca anche per il processo ai principali membri del “Seattle Liberation Front”, organizzazione radicale e pacifista alla testa delle manifestazioni. Nel 1999, in occasione della conferenza dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (la WTO), ancora una volta Seattle si distinse nel paese per i numeri della protesta, dati dalla stima più bassa a 40 mila persone, e ancor più per l’intensità della protesta, sfociata in violentissimi scontri. Non stupisce quindi che dal 1995 a Seattle, a soli 5 km a piedi dalla zona autonoma si trovi l’unica statua di Lenin degli Stati Uniti.
Statua che, diversamente da tante altre in questi giorni, è stata lasciata al suo posto.
[1] https://eu.usatoday.com/story/news/nation/2020/06/13/george-floyd-protest-updates-trump-west-point-new-york-police/3175638001/
[2] https://www.agi.it/estero/news/2020-06-12/chaz-comune-seattle-trump-8881389/
[3] https://eu.usatoday.com/story/news/nation/2020/06/12/seattle-protest-chaz-capitol-hill-autonomous-zone-police-free/3173968001/
[4] https://www.repubblica.it/esteri/2020/06/12/news/seattle_proteste_citta_occupata_george_floyd_sindaca-258998567/