Crisi COVID-19: un crollo senza precedenti. La beffa delle prescrizioni dell’FMI
Il nuovo rapporto del FMI (il Fondo Monetario Internazionale) prevede un crollo del PIL mondiale del 4,9% (6% per l’Ocse) per l’anno 2020, un enorme aumento rispetto al 3% stimato ad aprile[1], con stime di ripresa anch’esse più lente, ridotte del 6,5% rispetto alle previsioni di gennaio. Nei primi mesi dell’anno l’intero commercio mondiale è diminuito del 12%, cifre mai toccate nemmeno nel pieno della crisi del 2008.
Negli Stati Uniti, la contrazione sarà dell’8%, con una ripresa del 4,5% nell’anno successivo. Tuttavia, una nuova ondata di casi (ben 37.000 in 24 ore) giunta subito dopo l’uscita di questo report, rischia di aggravare ulteriormente questa statistica, aggiungendo benzina al fuoco di un paese che appare sempre più al collasso.
Non se la cavano meglio i paesi dei BRICS. In India vi sarà la prima contrazione in quarant’anni, un calo di ben il 4,5% del Pil, in Brasile invece, complice la gestione scriteriata e classista dell’emergenza da parte del governo Bolsonaro, la contrazione raggiungerà addirittura il 9,1%. La Russia invece perderà il 6,6%. Attualmente solo la Cina pare essere l’unico paese al mondo in grado di mantenere il proprio tasso di crescita positivo, attestandosi comunque all’1% (comunque il valore più basso dagli anni ’70 ad oggi) e nel futuro l’Ocse prevede anche per loro una contrazione.
Ma sono forse i dati per l’Eurozona quelli più pesanti, si parla addirittura di una diminuzione del 10,2%, che spazia dal 7,8% tedesco, fino al dato più catastrofico in assoluto, quello italiano, con il 12,8%. Anche la Gran Bretagna incassa il colpo, con una stima che supera il 10%.
L’FMI nel rapporto esprime preoccupazione per la crescita del debito pubblico che andrà inevitabilmente a seguire l’enorme spesa di denaro pubblico in contromisure. Contromisure che vale la pena ricordare si sono in grandissima parte sostanziate nel finanziamento alle imprese, spesso senza alcuna forma di garanzia in cambio. Nei paesi del G20 queste misure si attestano ormai in media nel 6% del pil, con impennate come quella italiana del 12,7%[2], portando così il debito pubblico del paese al 166% del pil, debito pubblico che verrà fatto pagare con eventuali tagli lacrime e sangue alla spesa pubblica (scuola, salute etc).
Secondo l’Organizzazione mondiale del lavoro ci si attende a livello di ore di lavoro la perdita complessiva dell’equivalente di oltre 300 milioni di posti di lavoro, inegualmente ripartiti. Il lockdown infatti ha avuto conseguenze ben diverse tra coloro che potevano lavorare da casa, e i lavoratori privi di questa possibilità. In Italia è stato particolarmente evidente con i cosiddetti “lavoratori essenziali”, costretti a lavorare nonostante i rischi e i bassi stipendi, e spesso in una prima fase privi delle adeguate protezioni. Ma hanno sofferto anche i lavoratori precari, quelli in nero, ed anche molti di quelli teoricamente garantiti che adesso si ritrovano ad affrontare il licenziamento (nonostante siano questi stati teoricamente bloccati per decreto), le donne con figli, che private della scuola si sono ritrovate in difficoltà persino nel lavorare da casa, ed in generale tutte le categorie a rischio.
La pandemia insomma ha aumentato ed aumenterà le disuguaglianze, non solo in Italia ma a livello mondiale, tra le diverse classi sociali, tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo, spesso privi della possibilità di accesso al credito. Nelle parole dello stesso Fmi: «Oltre il 90% dei mercati emergenti e delle economie in via di sviluppo registrerà un calo del reddito pro-capite nel 2020».
Anche la chiusura delle scuole porterà conseguenze di lunga durata nel livello di istruzione globale, con la chiusura delle scuole in 150 paesi. Si parla di una grave “perdita di apprendimento” per il 70% dei ragazzi in età scolare, circa 1,2 miliardi di ragazzi, numeri devastanti per i paesi in via di sviluppo, ma più in generale per le famiglie a basso reddito di tutto il mondo, a cui spesso non è stato possibile rivolgersi alla didattica a distanza, con conseguenze catastrofiche per la loro formazione.
Il report del FMI aggiunge a queste considerazioni strettamente tecniche anche alcune prescrizioni. In particolare, si augura una maggiore attenzione per la sanità pubblica, una riconversione all’energia verde, ed una maggiore cooperazione tra paesi, con una “de-escalation” tra Usa e Cina. Richieste che cozzano evidentemente con i propositi e le politiche effettive fin qui portate avanti dall’organizzazione. L’FMI (Fondo Monetario Internazionale, in inglese IMF), organizzazione de facto controllata dagli Stati Uniti, ha sempre prescritto cure a base di tagli e privatizzazioni, quasi sempre fallimentari.
Vale la pena questi ricordare l’intervento nella Russia di Eltsin, o quello della Grecia post 2008, entrambi risultati vere e proprie catastrofi umanitarie, con effetti paragonabili a quelli di una guerra.
Sono quasi una beffa queste prescrizioni, specie se si considera che l’FMI ha avuto un ruolo fondamentale nei tagli alla sanità e alla sua privatizzazione in molti paesi del mondo, andando a costruire le basi per l’emergenza sanitaria.
[1] https://www.imf.org/en/Publications/WEO/Issues/2020/06/24/WEOUpdateJune2020
[2] https://www.ilsole24ore.com/art/fmi-pil-globale-calo-49percento-impatto-catastrofico-sull-occupazione-e-poverta-aumento-ADzSs4Z