La fragilità dell’intervento delle banche centrali nella crisi COVID-19
Il mondo sta attraversando la crisi peggiore dal ’29. Recentemente il Fondo monetario internazionale (Fmi) per il 2020 ha disegnato un quadro peggiore di quello che fino ad ora si era ipotizzato. Il Fmi prevede un calo del Pil a livello mondiale del -4,9%, negli Usa del -8% e nell’area euro del -10%, con un picco in Francia, Italia e Spagna di oltre il -12%. Ciononostante, le Borse, dopo aver raggiunto i livelli minimi a marzo, quando la pandemia si è presentata in Europa e Usa, hanno registrato rialzi record nell’ultimo trimestre. L’indice S&P 500 della borsa di Wall Street non realizzava un trimestre con un rialzo così marcato dal 1975 e il Nasdaq dal 1999, in piena euforia da new economy. Il rimbalzo dai minimi di marzo c’è stato in tutte le borse più importanti, da quella di Francoforte (+43,2%), a quella di Tokio (+36%), fino a quella di Milano (+28,4%).
Perché questi rialzi? La ragione sta nella massa di liquidità senza precedenti immessa dalle banche centrali nei mercati finanziari come misure per tamponare la crisi del Covid-19. Negli ultimi tre mesi le prime cinque banche centrali del mondo – la Fed (Usa), la Bce, la banca d’Inghilterra, quella del Giappone e quella del Canada – hanno sparato nel sistema economico l’equivalente del 10% del Pil e si accingono ad arrivare fino al 15-23% entro il 2023.
Nel suo insieme l’aggregato delle banche centrali del gruppo dei dieci (G-10) ha immesso 6 trilioni di dollari dalla metà di gennaio, più del doppio dell’importo registrato durante i due anni di crisi finanziaria tra 2007 e 2008.
In particolare, l’inversione di rotta negli Usa si è avuta dopo il 23 marzo quando la Fed ha annunciato l’apertura di una linea di credito contro la crisi di 2,3 trilioni di dollari. Più di recente la Fed, attraverso il suo presidente Jerome Powell, ha rassicurato che manterrà i tassi d’interesse sul denaro congelati a zero fino al 2022.
Gli investitori istituzionali – dalle banche ai fondi di investimento – si sono gettati su questa liquidità a buon mercato, generando una corsa all’acquisto di titoli di stato, obbligazioni e soprattutto di azioni che ha fatto salire le borse. I mercati finanziari, quindi, scommettono su una ripresa a V dell’economia, che invece è tutt’altro che sicura, visto che la crisi appare ancora più profonda di quanto previsto solo poco tempo fa e il rimbalzo del Pil sperato nel 2021 potrebbe non avvenire, almeno non nella misura prevista. Inoltre, c’è sempre la possibilità di una recrudescenza del virus in autunno.
Il Fmi, nel recente Global Financial Stability Report Update di giugno, non lo dice apertamente, ma l’enorme immissione di liquidità e la crescita delle Borse sta portando alla formazione di una ennesima bolla finanziaria, che non potrà che scoppiare se l’economia, come è probabile, non si riprenderà nei tempi e ai ritmi previsti dagli investitori.
Così si esprime il Fondo monetario internazionale: “È emersa una disconnessione tra l’ottimismo dei mercati finanziari e l’andamento dell’economia globale. L’atteggiamento rialzista fra gli investitori è basato sulle forti politiche di sostegno, in mezzo a grandi incertezze riguardo alla velocità e all’estensione della ripresa economica.” Questa disconnessione è dimostrata, ad esempio negli Usa, dal contrasto tra la crescita del mercato azionario a fronte del rapido declino dell’indice della fiducia dei consumatori. In sostanza, sempre secondo il Fmi, “La pandemia potrebbe cristallizzare le altre vulnerabilità finanziarie che si sono formate nel passato decennio. (…) In primo luogo, nelle economie sia avanzate sia emergenti, i debiti delle imprese e delle famiglie potrebbero diventare ingestibili per alcuni debitori in serie difficoltà economiche. (…) In secondo luogo, le insolvenze testeranno la resilienza del settore bancario. (…) In terzo luogo, le imprese finanziarie non bancarie e i mercati potrebbero fronteggiare un ulteriore stress.(…) C’è il rischio che le imprese finanziarie non bancarie debbano fronteggiare degli shock nel caso di una grande ondata di insolvenze. (…) In quarto luogo, alcuni mercati emergenti devono far fronte a grandi necessità di rifinanziamento”[1].
In sostanza il pericolo è quello dell’insolvenza a fronte di una esposizione delle banche e degli istituti finanziari facilitata dalla enorme disponibilità di liquidità seguita all’abbassamento del costo del denaro. Il pericolo è tanto maggiore in quanto il sistema bancario è ancora pieno di Npl, crediti non esigibili, derivati dall’ultima crisi del 2007. Il problema è il debito eccessivo delle imprese e delle famiglie, specialmente negli Usa, che, a fronte delle chiusura delle attività e del permanere di un rallentamento della domanda, può diventare insostenibile.
In definitiva, come sostiene Tad Rivelle, capo degli investimenti obbligazionari di Tcw, società di gestione patrimoniale statunitense, “Il coronavirus è stato in fondo il catalizzatore, non la causa delle recenti distorsioni di mercato, la cui vera origine è quasi sempre la stessa: un debito eccessivo in alcuni settori. [Le banche centrali] si trovano ancora una volta a combattere l’incendio che esse hanno fatto divampare.”[2]
Per queste ragioni, il Fmi conclude con la raccomandazione a supportare l’economia reale ma allo stesso tempo richiama le banche centrali a monitorare le vulnerabilità finanziarie e a salvaguardare la stabilità finanziaria.
Il punto, però, è un altro: le banche centrali devono mettere le pezze a un modello di accumulazione capitalistico che non funziona più e che si deve basare sul sostegno artificiale delle banche centrali per andare avanti. La crisi dei mutui è scoppiata nel 2007-2008 quando il sistema dell’economia a credito è crollato. Quello che appare oggi è che, da allora, il sistema si trascina dietro le stesse fragilità, basandosi su un credito che deve essere rifinanziato continuamente, se non si vuole che il sistema crolli.
In sostanza il covid-19 è stato solo l’innesco di una crisi che già aleggiava sull’economia mondiale e che ha le sue radici nella sovraccumulazione cronica di capitale che affligge le maggiori economie mondiali.
La finanziarizzazione dell’economia è solo un’altra faccia di questa situazione. Gli strumenti monetari da soli non possono fare molto se non spostare più in là le conseguenze della crisi. Quello di cui ci sarebbe bisogno, invece, è superare il modo di produzione capitalistico.
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[1] IMF, The Global Financial Stability Report, June 2020.
[2] Maximilian Cellino, Il bazooka delle banche centrali. In tre mesi sparato il 10% del Pil, Il Sole 24 ore, 11 giungo 2020.