Imponente manifestazione del KKE ad Atene contro il disegno di legge che vieta le manifestazioni di protesta
Il 29 giugno scorso, il Ministro della Pubblica Sicurezza del governo guidato da Nea Demokratia ha presentato al Parlamento un disegno di legge liberticida che impone inaccettabili restrizioni alla protesta, alle rivendicazioni e, in generale, all’attività politica e sindacale del movimento operaio e popolare, con forti limitazioni al diritto di manifestare e pesanti previsioni di pena in caso di “violazione”. Ciò avviene in un momento in cui la crisi e la pesante offensiva del capitale contro i lavoratori costringono il popolo a scendere in piazza per difendere non solo i propri diritti, ma addirittura la propria sopravvivenza.
Si tratta di misure di tese ad aumentare la repressione, il terrorismo di stato e l’autoritarismo dello stato borghese in previsione di una prossima, necessaria e inevitabile, intensificazione della lotta di classe e della resistenza sociale.
Il disegno di legge prevede la creazione di una “Direzione per la Prevenzione della Violenza” presso il Ministero della Protezione Civile, con l’obiettivo dichiarato di combattere “l’ideologia della violenza” e attuare “la prevenzione di varie forme e manifestazioni di violenza, in particolare la radicalizzazione e l’estremismo violento, domestico e di genere, ecc.“. Considerando l’opposizione radicale alla dittatura del capitale alla stregua delle forme di violenza privata generate dalla decadenza della società capitalistica, è evidente l’intento del governo borghese di colpire e reprimere il movimento operaio e popolare, in primo luogo i Comunisti, che ne sono l’avanguardia.
Il DdL impone il divieto di manifestazione nei servizi pubblici e nell’amministrazione statale; negli altri casi, vieta manifestazioni non preventivamente autorizzate dalle Autorità di Pubblica Sicurezza. Nei fatti, introduce divieti e restrizioni non solo per le dimostrazioni, ma anche per i raduni in generale in relazione al loro “scopo” e al numero di partecipanti; viene introdotta la responsabilità penale per la partecipazione a manifestazioni non autorizzate o vietate, mentre non sono definiti termini temporali certi per l’inoltro della richiesta da parte degli organizzatori e per la concessione dell’autorizzazione da parte delle Autorità di Polizia, legittimate a negarla o revocarla con grande arbitrio anche all’ultimo momento e sulla base della semplice presunzione che la commissione di reati sia “altamente probabile”. Parallelamente, vengono esageratamente estesi i poteri della Polizia e legittimato l’impiego della Guardia Costiera Ellenica (fanteria di marina) in funzione repressiva delle manifestazioni operaie e popolari. Le misure restrittive e repressive del disegno di legge limitano il diritto di espressione e manifestazione, creando nuove specie di reati penali e, in definitiva, favoriscono l’utilizzo di elementi provocatori, collegati agli apparati repressivi stessi, che provocano incidenti con lo scopo di danneggiare, anche finanziariamente, o liquidare definitivamente le organizzazioni politiche e sindacali dei lavoratori che, secondo il DdL, in qualità di organizzatori sono responsabili, civilmente e penalmente, di quanto avviene nell’ambito delle loro manifestazioni.
Come giustamente si rileva nel Comunicato dell’Ufficio Politico del CC del KKE del 30/06/2020 “SYRIZA, che accusa il governo di ND di pratiche antidemocratiche, ha una grande parte di responsabilità, poiché, quando era al governo, seguiva pratiche simili. La spregevole disposizione per vietare le mobilitazioni contro le vendite all’asta, configurata dal governo SYRIZA come reato in sé, rimane ancora in vigore. Soprattutto, tuttavia, SYRIZA è responsabile per avere portato farina al mulino di teorie su «minoranze che prevaricano la maggioranza», sulle quali ha basato la propria legge sulla limitazione del diritto di sciopero, attualmente utilizzata dal governo di ND, mentre nega qualsiasi abolizione, come più volte sollecitato dal KKE, delle leggi terroristiche che costituiscono la radice legislativa dei regolamenti sulla violenza «radicale»“.
Questa involuzione reazionaria e autoritaria non è un fatto isolato e non riguarda solo la Grecia, bensì corrisponde ad una precisa politica di criminalizzazione e repressione del conflitto di classe, condotta ufficialmente e in modo coordinato dall’UE, che fa il paio con le note limitazioni del diritto di sciopero e di rappresentanza sindacale, con una quantità di direttive e giurisprudenze europee che penalizzano i lavoratori a favore dei padroni pubblici e privati, con l’equiparazione del fascismo al comunismo, ormai divenuta la base dell’ideologia ufficiale della stessa UE e con l’equazione tra radicalità e terrorismo, usato come pretesto per reprimere la prima.
Misure repressive e liberticide di questo stampo sono già state adottate da tempo in diversi paesi aderenti all’UE sotto il pretesto della “decomunistizzazione”, dalla Polonia, all’Ungheria, alla Repubblica Ceca, ai Paesi Baltici, dove i simboli, la propaganda dell’ideologia comunista e l’attività dei partiti che ad essa si rifanno, così come l’azione dei sindacati di classe, sono perseguiti per legge. In questi paesi, si moltiplicano i tentativi di mettere fuori legge i partiti comunisti e operai e i sindacati conflittuali, bollati come organizzazioni estremiste.
Questa non è una politica limitata all’UE, ma una strategia del capitale a livello mondiale, attuata con modalità e intensità diverse da paese a paese, ma ugualmente tesa ad aumentare repressione e autoritarismo per la gestione della crisi e della correlata ristrutturazione capitalistica in funzione e a vantaggio della classe dominante, altrimenti incapace a farvi fronte. Ne sono esempio lampante analoghe legislazioni in materia di diritti politici e sindacali, la repressione poliziesca delle vertenze sindacali, la negazione ai partiti comunisti e operai non opportunisti della possibilità di partecipare alla competizione elettorale nella Russia borghese. Ne sono testimonianza le crescenti, brutali repressioni del movimento di classe in molti paesi dell’America Latina e negli USA.
Anche l’Italia rientra in questo contesto di generale involuzione reazionaria dello stato borghese.
I Decreti Sicurezza 1 e 2, mediaticamente presentati come una risposta al fenomeno immigratorio, contengono in realtà esplicite misure restrittive e repressive del conflitto di classe, affini a quelle previste dal DdL appena presentato in Grecia, con l’istituzione di nuovi divieti e specie di reati penali connessi all’attività politico-sindacale e con l’inasprimento delle sanzioni e delle pene previste per le violazioni.
I DPCM conseguenti alla pandemia di COVID-19 hanno proseguito su questa strada. Mentre i picchetti dei lavoratori in lotta vengono brutalmente dispersi dalle forze dell’ordine, con centinaia di denunce penali e multe salate, in forza delle norme dei Decreti Sicurezza e delle norme anti-contagio, si consentono assembramenti religiosi, di tifoserie calcistiche e di organizzazioni quali la Lega, gli arancioni di Pappalardo e le destre estreme senza alcuna contestazione di reato.
Le analogie con i provvedimenti che si vorrebbero introdurre in Grecia sono forti, ma altrettanto forti sono le differenze di coscienza e di percezione del problema nei due paesi. Mentre il Partito Comunista di Grecia ha prontamente reagito al progetto di legge repressivo e autoritario con una mobilitazione che ha portato a imponenti manifestazioni in tutto il paese, in Italia non è mai stata lanciata una vera ed efficace campagna di lotta contro i Decreti Sicurezza. Chi avrebbe potuto e dovuto farlo non ha speso neppure una parola di critica sul loro contenuto reazionario e repressivo, preferendo rilasciare interviste ai quotidiani di destra in cui esprimeva “simpatia” al segretario della Lega Matteo Salvini, allora Ministro degli Interni, cioè proprio a colui che aveva redatto e voluto i Decreti Sicurezza.
Lasciando perdere queste miserie politiche, resta il quesito su cosa fare per contrastare la repressione e l’autoritarismo crescenti dello stato borghese, un quesito che il Fronte Unico di Classe sul piano sindacale e i sinceri comunisti del nostro paese sul piano politico non possono eludere.
Deve essere chiaro che la ripresa delle lotte rivendicative non potrà prescindere dal porre in primo luogo la questione non della modifica, ma della abrogazione totale dei Decreti Sicurezza. Questa lotta non può che essere condotta a livello coordinato e consonante con le organizzazioni sindacali di classe e i partiti comunisti fratelli che si trovano ad affrontare analoghe situazioni, in uno spirito di effettivo e non solo formale internazionalismo proletario.
Concordiamo pienamente l’analisi e sosteniamo la linea di lotta del KKE, ben sintetizzata dalle parole del SG, Dimitris Koutsoumpas: “È un progetto di legge che essenzialmente proibisce e restringe qualsiasi mobilitazione popolare. È un progetto di legge di terrorismo statale, di autoritarismo e di repressione, ma il governo si sbaglia profondamente se crede che questa architettura ispirata alla dittatura sarà attuata e, ancor di più, venga legittimata nella coscienza del popolo. Il movimento operaio-popolare organizzato la cancellerà nella pratica, come fatto in passato con leggi simili che cercavano di paralizzare le rivendicazioni popolari“.
L’unico modo per sconfiggere le leggi liberticide e antipopolari risiede nella “disobbedienza organizzata” della classe operaia e dei lavoratori, nell’organizzazione della sistematica e ripetuta violazione delle norme imposte, fino a svuotarle del loro senso e della loro applicabilità.
Esprimendo piena solidarietà ai comunisti greci, ci rivolgiamo ai lavoratori italiani, affinché ne seguano l’esempio tenace e sviluppino da subito una forte mobilitazione di lotta, per la difesa dei diritti e delle libertà, dei posti di lavoro, dei salari e delle pensioni.
Il capitale non farà nessuna concessione, la liberazione dall’oppressione e dallo sfruttamento non può che essere frutto della nostra lotta!