Dagli USA alla Bartolini di Bologna: quando il profitto viene prima di tutto
È degli ultimi giorni la notizia per cui negli USA i contagi hanno raggiunto la cifra di 2,5 milioni di persone1, cioè una persona su quattro infettata risiede negli Stati Uniti, e i decessi il numero di 125.000. Questo mentre Robert Redfield, direttore del Centre for disease control and prevention (CDC) ha dichiarato che i numeri dichiarati potrebbero essere, secondo gli studi, solo il 10% del totale degli infettati avuti nel territorio statunitense, a causa dei molti asintomatici o con lievi sintomi non rilevati tramite campioni2. Ciò che tuttavia fa più allarmare non sono i dati assoluti, inerenti al numero totale di casi dall’inizio della pandemia, bensì la crescita giornaliera che sta affliggendo gli USA. Se infatti dopo il picco di metà-fine aprile, che era arrivato a 35.000 casi nuovi al giorno, si era avuta una flessione sia di nuovi malati che di ricoveri, ora ci si trova di fronte ad un nuovo aumento che non dà segno, al momento, di rallentare. Gli ultimi giorni hanno mostrato un numero di casi ampiamente superiore ad aprile, che oscilla fra i 40.000 e i 45.000 casi giornalieri, con un aumento di ricoveri e la conseguente paura, nelle prossime settimane, di avere un conseguente aumento dei decessi. Se ad aprile gli Stati più colpiti si collocavano a Nord, ora la situazione peggiore è presente nella fascia meridionale degli USA, da Ovest ad Est. Particolarmente colpiti sono il Texas, dove il numero dei ricoveri ha superato i 5.000 pazienti, cioè più del 70% rispetto a una settimana fa; l’Arizona, col numero più alto di casi di infetti per milione di persone (400); la California, dove si registra un +19% di ricoveri in terapia intensiva; Houston, dove gli ospedali, come in Arizona, stanno arrivando al limite di capienza per i ricoverati3.
Contro ogni ipotesi secondo cui il virus si sarebbe indebolito o sia in procinto di scomparire, Alex Azar – ministro della sanità dell’amministrazione Trump – ha avvertito che sta per concludersi il tempo a disposizione per riportare la situazione sotto controllo, mentre il noto Anthony Fauci ha avvisato che i focolai, ora concentrati al Sud, potrebbero espandersi in tutto il paese. Posizioni in totale dissonanza con le ultime affermazioni di Donald Trump, che è stato capace (alla convention tenuta a Tulsa) di consigliare un numero minore di tamponi per diminuire il numero di casi. Ragionamento che a prima vista sembrerebbe irrazionale, mentre è sintomo di una logica d’azione che punta a sminuire il più possibile la crisi sanitaria, affinché non vi siano ricadute specie sul sistema economico.
Già erano note le stesse pressioni, durante i periodi di lockdown parziali, da parte di governatori e di politici affinché si riaprisse il prima possibile e si facesse ripartire la produzione.
Caso emblematico è stato il Texas, il quale (come altri Stati meridionali) ha preferito riaprire il primo maggio, contro le indicazioni di esperti quali Fauci di prolungare il lockdown di qualche settimana: il governatore Greg Abbott, se fino a poco fa sottolineava l’importanza della riapertura e che non si poteva chiedere ai cittadini di indossare mascherine quando sono in giro, ora si ritrova a dichiarare un rallentamento della ripresa di molte attività di fronte all’aumento di casi e a raccomandare sia l’uso delle mascherine che il rispetto del distanziamento sociale4. Ancor più paradigmatiche le affermazioni di qualche settimana fa del suo vice, Dan Patrick, che a fine marzo ha proclamato che bisognava tornare al lavoro e che, a parer suo, gli anziani avrebbero pensato a loro stessi, con la coscienza che è meglio sacrificare se stessi che non la sopravvivenza dell’America – o, per tradurre, del sistema economico capitalista su cui gli Stati Uniti si reggono5.
Ciò che particolarmente viene alla luce, in questa contraddizione fra tutela delle persone e l’interesse al profitto, è l’incidenza di focolai in certi centri produttivi dove il tipo di lavoro (spesso caratterizzato dall’impossibilità del distanziamento sociale) e la mancanza di sistemi di prevenzione e tutele espone particolarmente i lavoratori al rischio di contagio. Un esempio recente sono i macelli, che in America contano 24.000 contagi. Una testimonianza di un ex lavoratore del settore6 riporta non solo le condizioni di iper-lavoro che caratterizzano questi luoghi di lavoro, ma anche il mancato adeguamento delle zone di macellazione al rischio Covid. L’estrema vicinanza e i contatti fra i lavoratori, nonché l’ambiente refrigerato che permette una maggiore sopravvivenza del virus, rendono i macelli una facile miccia per lo scoppio di focolai. Come afferma lo stesso lavoratore: «i dipendenti sono una risorsa sacrificabile» rispetto alla necessità di continuare la produzione. Un problema, quello dei focolai di Covid nei macelli, non riguardante solo gli Stati Uniti: in Europa si contano più di 2600 contagi in questo settore, con focolai consistenti specie in Germania. In particolare, nel Nord Reno-Vestfalia, un macello Toennies ha registrato 657 nuovi contagi e la causa principale, a detta di Armin Laschet – ministro-presidente del Nord Reno-Vestfalia – sono «le condizioni in cui vivono e lavorano le persone in quell’azienda»7. La stessa azienda ha ammesso che l’esplosione dei contagi è avvenuta dopo il ritorno di molti dipendenti dell’Est dalla loro patria, i quali avrebbero dovuto viaggiare per 17 ore in bus sovraffollati e sono alloggiati dall’azienda in dormitori insalubri e che non permettono il rispetto delle distanze di sicurezza e delle regole sanitarie.
Casi in cui le logiche aziendali cozzano con la tutela dei lavoratori, durante quest’emergenza sanitaria, si presentano anche in Italia. Fra gli ultimi casi, c’è stata l’esplosione di un focolaio nell’azienda Bartolini di Roveri (BO), legata ad un settore strategico in questo periodo quale quello delle spedizioni. Come riportato dai S.I. Cobas in una lettera diretta al Ministro dello sviluppo economico, viene ribadito innanzitutto il modo in cui i luoghi di più alto contagio si siano rivelati i poli industrializzati e come, nel settore della logistica, in molti casi le norme di sicurezza non siano state messe in opera. In secondo luogo, viene evidenziata l’esplosione di cluster di contagio sia alla Roveri di Bologna (che ha visto recentemente 109 casi in soli 5 giorni), nonché in altri poli logistici del bolognese (Palletways, TNT, DHL, CTL) e in magazzini del milanese, del piacentino, del bergamasco e del bresciano. Di fronte al focolario di contagio di Roveri e al rischio di nuovi cluster, si richiede al Ministro un incontro «al fine di definire soluzioni atte da un lato a tutelare pienamente la salute dei lavoratori e della collettività, dall’altro a tutelare i livelli salariali e occupazionali»8. Una lettera che – assieme alle situazioni sopra illustrate – evidenzia come l’emergenza sanitaria, seppur diminuita in alcune zone, non sia stata ancora superata, specie a causa di un sistema economico e politico in cui la tutela del profitto è perseguita ad ogni costo a scapito delle condizioni di vita e di salute dei lavoratori e di tutta la società.