Treofan Terni: un altro duro colpo per l’economia umbra
Conclusosi con un nulla di fatto l’ultimo tavolo al MISE, dopo l’annuncio della direzione della multinazionale sulla vendita dello stabilimento di Terni. A rischio 151 lavoratori in un territorio già colpito da altre situazioni critiche nel suo tessuto industriale storico. L’Ordine Nuovo ha ricostruito la vicenda.
Il polo ternano della produzione del film polipropilenico ha origine nel 1951, con la fondazione di Polymer e il passaggio della produzione dall’acetilene al polipropilene, il nuovo polimero plastico divenuto commercialmente noto come Moplen. Nel ‘72 Polymer venne assorbita dalla Montedison in Montefibre (che includeva altri due marchi), ma il ramo della produzione del film polipropilenico venne scorporato e prese il nome di Moplefan. La Trespaphan, azienda spin-off di Hoechst a Neunkirchen, si fuse con Moplefan nel 2003, acquistando grande notorietà nel campo della produzione del cosiddetto BOPP. Sarà la finanziaria M&B ad acquistare il gruppo e, propagandisticamente, a “riportare in Italia” un marchio produttivo storico: si tratta, ovviamente, di un’operazione finanziaria senza alcuna progettualità “nazionale” di tipo industriale, esclusivamente finalizzata alla rivendita.
Nel 2018 Jindal Films, gruppo indiano già attivo in Italia con uno stabilimento a Brindisi, acquisisce dalla finanziaria M&B tutti gli stabilimenti Treofan, ovvero Neunkirchen, Battipaglia e Terni, ma già a febbraio dello scorso anno il colosso del packaging ha dichiarato la volontà di chiudere lo stabilimento di Battipaglia, dichiarato poco competitivo a causa della sua unica linea produttiva di film standard (e non del BOPP di alta qualità), produzione ormai messa in pericolo dai prezzi decisamente più bassi proposti dalla concorrenza internazionale. Fortunatamente, in seguito alla decisione di chiusura, l’advisor Vertus ha trovato un acquirente in Jcoplastic, che ha rilevato il sito a febbraio in un percorso integrato volto al mantenimento di tutti e 51 gli operai impiegati (peraltro già determinati a costituirsi in cooperativa e proseguire la produzione).
Contestualmente alla comunicazione dell’imminente cessione dello stabilimento di Battipaglia, Treofan-Jindal ha annunciato un nuovo piano di investimenti e di integrazione del personale per lo stabilimento di Terni, inizialmente in maniera molto timida (1,5 milioni di euro in tre anni, ma senza definire alcun dettaglio), poi ribadendo a maggio la volontà di trasferire da Battipaglia a Terni svariati asset industriali, di confermare i 151 posti di lavoro e di fissare la produzione a 25000 tonnellate.
Nonostante l’ottimismo in queste dichiarazioni, ad un anno di distanza Jindal ha trasferito a Terni una sola taglierina, di tutti gli asset industriali comunque trattenuti dopo la cessione dello stabilimento campano, e ha manovrato la distribuzione delle commesse, togliendo quelle più tecnologicamente avanzate e più redditizie a Terni e affidandole agli altri stabilimenti in Belgio, lasciando a Terni la produzione di qualità inferiore (e aumentando dunque l’incidenza dei costi di produzione sul prodotto finale, quindi diminuendo artificiosamente la produttività del sito) e penetrando il mercato con i prodotti a marchio Jindal degli stabilimenti di Brindisi e Virton.
La mancata produttività (indotta) si è ovviamente tradotta, nel maggio scorso, nella dichiarazione rilasciata dal management Treofan-Jindal, in cui si negava agli operai il premio di risultato del mese di maggio, una parte contrattualizzata della retribuzione: per i sindacati è stata la conferma della volontà, da parte del management aziendale, di acuire il processo di depotenziamento del sito produttivo umbro, e si è subito proceduto a richiedere un vertice che includesse OO.SS., Regione Umbria, il MISE e la dirigenza aziendale, affinché quest’ultima esponesse un piano industriale degno di tale nome e garantisse per la continuità del polo produttivo e dei suoi 150 operai. A una mancata risposta da parte dei vertici aziendali, si è avviata una campagna di agitazione dei lavoratori, con un primo sciopero effettuato l’11 giugno: questo è stato sufficiente a sollecitare la presenza della dirigenza Jindal al tavolo al Ministero dello Sviluppo Economico del 17/6, ma non abbastanza da convincere il CEO Kaufmann a svelare le sue carte circa le intenzioni di Jindal-Treofan nei confronti dello stabilimento ternano, ma anzi, il piano industriale presentato è stato definito “velleitario e disordinato”, con numeri gettati a caso circa il taglio di 12 posti di lavoro a fronte di una produzione in (leggero) rialzo, nessun riferimento ai prodotti più redditizi, il trasferimento di due silos da Battipaglia a Terni senza un reale bisogno, evitando accuratamente di menzionare macchinari più utili e complessi a sostegno della produzione.
Visto l’esito del tavolo al MISE, le parti sociali e l’amministrazione hanno richiesto un nuovo tavolo per il 26 giugno, cui Jindal si è presentata senza alcun aggiornamento tangibile circa revoca degli esuberi, spostamento dei macchinari e mantenimento delle linee produttive di alto livello, pertanto si è proceduti ad indire un nuovo sciopero di 24 ore e, in maniera più aggressiva, con il blocco da parte di una delegazione di operai Treofan ternani dei tecnici Jindal fuori dallo stabilimento di Battipaglia, in modo tale da non permettere la spoliazione del sito campano a favore degli stabilimenti Jindal al di fuori di Terni e d’Italia.
Alla provocazione, l’AD Kaufmann ha finalmente deciso di scoprire le carte nella giornata di ieri, dichiarando che ci sarebbe un piano definito per la cessione dello stabilimento di Terni, e un non meglio specificato “piano b”: la reazione dei sindacati, per quanto veemente (tutte le organizzazioni hanno richiesto la definizione tempestiva del piano di cessione nero su bianco, in modo tale da poter richiedere con il giusto tempismo gli ammortizzatori sociali e evitare la spoliazione degli impianti di pregio ternani prima della cessione dello stabilimento, come si è effettivamente visto per quello di Battipaglia), si è rivelata sia tardiva sia inappropriata alle provocazioni di un’azienda che mena per il naso amministrazione locale e parti sociali già da mesi, e i cui comportamenti ambigui avevano già fatto presagire una cessione.
Gli operai, nel frattempo, hanno optato per lo sciopero permanente finché la dirigenza non si degnerà di render noto nel dettaglio il piano di cessione.
La spada di Damocle delle multinazionali che acquistano aziende sane nel territorio italiano solo per appropriarsi del know how produttivo e degli asset aziendali, scaricando alla prima occasione decine o addirittura centinaia di lavoratori, continua a pendere su un territorio industrialmente desertificato come l’Umbria, e l’unica possibile presa di posizione politica appropriata, ovvero l’esproprio e la nazionalizzazione di questi asset, sembra ancora ben lungi dall’essere adottata.