Due nuove missioni militari dell’imperialismo italiano in Africa
Come di consueto, il parlamento italiano ha approvato il tradizionale decreto di rifinanziamento delle missioni internazionali. Riconfermate le oltre 40 missioni dello scorso anno, distribuite in 3 continenti (Africa, Asia e Europa – Mediterraneo), tra cui spiccano quelle in Libia, Iraq, Niger, Afghanistan, Libano, Balcani e Lettonia, per una cifra complessiva che, in linea con gli anni precedenti, supera ampiamente il miliardo di euro. Ma ci sono anche alcune importanti novità che portano a 47 (+3 rispetto al 2019)1 il numero complessivo delle missioni all’estero2 e a 8.613 le unità di personale militare coinvolte.
Sono cinque, infatti, le nuove missioni decise dal Consiglio dei Ministri e approvate dal parlamento, per un ulteriore costo di 47.417.373 euro3 e 1.125 unità impiegate4 nei nuovi teatri operativi: tra queste, troviamo la già nota missione navale dell’UE, Irini, nel Mediterraneo al largo delle coste della Libia, che abbiamo già trattato in precedenti articoli5. Il costo complessivo di questa missione fino al 31 marzo 2021 sarà di 21 milioni di euro e coinvolgerà un contingente italiano composto da un’unità navale, tre mezzi aerei e 517 militari.
Sul terreno libico, dove infuria una lunga guerra di spartizione, l’imperialismo italiano riconferma anche le 4 missioni già in corso, tra cui la missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia (MIBIL), in cui rientra l’ospedale da campo a Misurata, con 400 unità di personale militare, 142 mezzi terrestri e 2 mezzi aerei, per un costo pari a 47.856.596 euro.
La Libia si conferma, quindi, al centro dei piani strategici dell’imperialismo italiano. Significative a riguardo sono le parole del Ministro degli Esteri Di Maio6 che individua i possibili scenari “da evitare” per l’Italia, ossia “un’escalation militare con gli interventi diretti di attori esterni; un congelamento della situazione che si traduca in una spartizione di fatto tra le parti”, in particolare tra Russia e Turchia, che potrebbe portare ad una redistribuzione di influenze, delle riserve di idrocarburi e delle aree estrattive penalizzante per gli interessi dei monopoli italiani7, principalmente dell’ENI, che tutt’ora rimane il principale monopolio energetico nel paese, insediato nella regione della Tripolitania. Parlando nell’aula di Montecitorio lo scorso 26 giugno, il Ministro della Difesa Guerini ha affermato che è “quanto mai importante e necessario mantenere la nostra presenza sul terreno e tenerci pronti, in caso la situazione precipiti, a proteggere i nostri interessi”.8
Direttamente connessa al Nord Africa e, quindi, alla Libia, c’è l’area del Sahel, dell’Africa sub-sahariana e del Corno d’Africa, un’ampia e strategica regione in cui la presenza militare italiana si rafforza con altre due missioni di notevole portata: una nel Golfo di Guinea e l’altra nel Sahel dove già era presente un contingente militare italiano in Niger.
Il decreto approvato dal parlamento afferma la necessità di un ulteriore coinvolgimento militare dell’Italia nel Sahel, considerata “area strategica prioritaria per gli interessi nazionali”, che si esplicita con l’adesione alla missione Takuba, nata su iniziativa francese, con il dispiegamento di 200 militari italiani e 20 mezzi terrestri nella regione di confine tra Mali (sede del comando), Niger e Burkina Faso con compiti di addestramento e supporto agli eserciti della forza multinazionale G5 Sahel (Mali, Niger, Ciad, Mauritania e Burkina Faso) e delle Forze Speciali nel cosiddetto “contrasto al terrorismo di matrice jihadista”. La task force europea Takuba9 agirà nella recentemente istituita “Coalizione per il Sahel” nell’operazione sotto comando francese Barkhane10, presente sul terreno dal 2014 in un’area grande quanto l’intera Europa sulla quale l’imperialismo francese concentra forti interessi e il ruolo di potenza preponderante. Una convergenza che arriva dopo che nella stessa area, come già citato, è presente anche una missione bilaterale italiana in Niger (con area geografica di intervento allargata anche a Mauritania, Nigeria e Benin), riconfermata con il dispiegamento di 295 unità di personale militare (erano 290 nel 2019), oltre all’impiego di 5 mezzi aerei (convenzionali e a pilotaggio remoto) e 160 mezzi terrestri per un costo di quasi 44 milioni di euro, missione con cui l’Italia si è insediata in quest’area in competizione con la Francia.
Entrambe le missioni indicano come quest’area, connessa alla Libia, assuma una rinnovata centralità strategica, estesa ad un’area contigua e complementare con la missione nel Golfo di Guinea, nelle acque internazionali tra Nigeria, Ghana e Costa d’Avorio, volta – come dichiarato da Guerini – “a tutelare i nostri interessi energetici e commerciali, che constano nella presenza di imprese e di vettori navali nazionali”. In quest’area si trovano due dei maggiori produttori africani di petrolio, ossia Nigeria e Angola, paesi nei quali ENI è presente, come anche in Ghana e Costa d’Avorio.11
L’obiettivo di “assicurare la tutela degli interessi strategici nazionali nell’area, con particolare riferimento alle acque prospicienti la Nigeria” si esplicita nell’impiego di 400 unità di personale militare, 2 mezzi navali (fregata FREMM, cacciatorpediniere classe Orizzonte) e 2 mezzi aerei, per un costo pari a 9.810.838 euro, con cui il governo italiano vuole assicurare la protezione delle piattaforme offshore e degli impianti di estrazione di ENI – come esplicitamente dichiarato al primo punto del decreto sulla missione -, garantire la sicurezza delle rotte commerciali marittime nell’area contro gli attacchi della “pirateria”, rafforzare la relazione con gli stati africani che affacciano sul Golfo, fornendo un’attività di sorveglianza navale per ora non continuativa ma, come emerso nel dibattito parlamentare, con la “volontà italiana di garantire in futuro una presenza continuativa nell’area”.
Nel lato opposto del continente africano si rafforza anche la presenza nella base militare di Gibuti, con il compito di assicurare supporto logistico alla partecipazione italiana alle missioni nell’area del Corno d’Africa e zone limitrofe. Saranno impiegate 117 unità militari (erano 92 unità nel 2019) e 18 mezzi terrestri, per un costo di oltre 11 milioni di euro. Anche in quest’aerea è notevole la presenza di missioni e personale italiano: nella missione UE denominata EUNAVFOR Atalanta tra lo strategico Golfo di Aden e al largo della Somalia, con un contingente di 407 unità di personale militare e l’impiego di due mezzi navali e due mezzi aerei, per un costo che sfiora i 27 milioni di euro; nella missione di addestramento in ambito PSDC della UE denominata EUTM in Somalia12, a cui l’Italia partecipa con 148 unità di personale militare (erano 123 nel 2019) e 20 mezzi terrestri; nella missione bilaterale di addestramento delle forze di polizia somale e gibutiane con il dispiegamento di 53 unità e 4 mezzi terrestri a Gibuti.
Altre missioni, come ad es. in Egitto, Tunisia e Mali (vedi infografica), insistono in questa particolare area del continente africano in cui ENI è il principale monopolio energetico operante in 14 paesi, verso i quali l’Italia è tra i principali esportatori di capitali13. Non a caso, quindi, si concentra qui il maggior numero delle missioni all’estero (21 complessivamente), con il consistente dispiegamento di oltre 2.000 militari, a testimonianza delle ambizioni e degli interessi geo-strategici dell’imperialismo italiano.
Come scritto in precedenti articoli, l’area di cui sopra è connessa anche con il Mediterraneo centrale e orientale e con il Vicino e Medio Oriente, dove complessivamente sono dispiegati, in varie missioni di terra e di mare, oltre 3.000 militari.
In quelle aree sono state riconfermate principalmente la missione Resolute Support Mission in Afghanistan, con 800 soldati, 145 mezzi terrestri e 8 mezzi aerei, analogamente a quanto previsto nel 2019, per un costo di circa 160 milioni di euro, la missione UNIFIL (United Nations Interim Force in Lebanon) in Libano, con un contingente di 1.076 militari, 278 mezzi terrestri e 6 unità aeree, per un costo di oltre 150 milioni di euro14; e la missione Prima Parthica in Iraq, con un contingente di 1.100 militari, 270 mezzi terrestri e 12 mezzi aerei e un costo di circa 263 milioni di euro. L’Iraq, secondo i dati 2019 dell’Unione Petrolifera, è il primo fornitore di petrolio dell’Italia, con una copertura del 20% dell’import nazionale di greggio e una consolidata e rilevante presenza dell’ENI nel grande giacimento di Zubair e nei nuovi giacimenti di Nahr Bin Umar e Artawi.15 Qui si registra un significativo incremento di 200 unità rispetto al 2019, con l’aggiunta di una batteria missilistica Samp-T che sarà schierata in Kuwait per proteggere gli assets nazionali “a seguito dell’evoluzione dello scenario geo-politico nell’area d’operazioni”. In Iraq è operativa anche un’altra missione sotto egida della NATO, a cui l’Italia partecipa con 46 unità di personale militare per un costo di circa 3 milioni di euro. Nel 2019 l’Italia partecipava a questa missione con 12 unità e adesso si candida per il suo comando dal 2021, in previsione del potenziamento del dispositivo NATO rispetto alla parallela missione della cosiddetta “coalizione internazionale anti-ISIS” a guida USA.
Rinviata, invece, la partecipazione alla missione Emasoh, a guida francese, nello stretto di Hormuz (tra Iran, Oman e EAU), strategico crocevia per il passaggio delle rotte mercantili e petrolifere a cui l’Italia ha pubblicamente dichiarato il suo appoggio politico; “tuttavia – ha dichiarato Guerini -, ritengo che sia un’opportunità da esplorare nel corso del 2021″.
Anche in Europa e soprattutto nel Mediterraneo non mancano certo le missioni che coinvolgono forze militari italiane. Le principali missioni a terra rimangono quella NATO in Lettonia (Enhanced Forward Presence) con 200 unità e 57 mezzi terrestri schierati alle porte della Russia per un costo di oltre 24 milioni di euro e quelle nei Balcani, in particolare la NATO Joint Enterprise con 628 unità di personale militare per un costo di oltre 80 milioni di euro. Nel Mediterraneo centrale e orientale sono operative 5 missioni navali: oltre alla già citata missione navale UE Irini, si segnala quella di sorveglianza navale dell’area sud dell’Alleanza NATO, che si estende dal Mediterraneo al Mar Nero con il coinvolgimento di 259 unità di personale militare, 2 mezzi navali e 1 aereo per un costo di oltre 16 milioni di euro e l’operazione NATO “Sea Guardian” nel Mediterraneo orientale, cui l’Italia partecipa con 280 militari, un sottomarino, un mezzo navale e due unità aeree, per un costo di circa 15 milioni di euro. Significativo l’incremento di quest’ultima rispetto al 2019, con il coinvolgimento di 221 militari in più riferiti ad obiettivi – come si legge nel decreto – concernenti “l’incremento di un assetto navale per l’attività di raccolta dati e l’attività di presenza e sorveglianza navale nell’area del Mediterraneo Orientale”. Un’area, ricordiamo, dove sono in corso le dispute sulla spartizione delle ZEE, dei gasdotti, dei diritti di esplorazione e sfruttamento di ricchi giacimenti di idrocarburi con la presenza, tra gli altri, dell’ENI.16 Nell’area del Mediterraneo centrale, l’Italia è presente con la cosiddetta “Operazione Mare Sicuro”, con il dispiegamento di 754 unità di personale militare, 6 mezzi navali e 8 mezzi aerei.
In totale, di queste missioni 12 sono in ambito UE, 9 in ambito NATO e 7 in ambito ONU, ma in questa classificazione il dato più interessante è che altre 13 si svolgono o in ambito di coalizioni internazionali “ad hoc” o ad iniziativa nazionale, con il maggior numero di militari complessivamente impegnati.
In questa fase si può notare la tendenza ad una maggiore ricerca di “autonomia” da parte di diverse potenze rispetto ai conglomerati imperialistici di cui fanno parte, come risultato dell’intensificarsi degli antagonismi e delle contraddizioni interimperialiste che si sviluppano non solo tra blocchi contrapposti, ma anche al loro interno. Questo vale in parte anche per la borghesia italiana, nello sviluppo della sua azione sia diplomatico-politica, sia militare, naturalmente inserita all’interno delle alleanze imperialiste di cui fa parte. Come abbiamo avuto già modo di vedere, infatti, nell’articolo di Domenico Moro17, l’economia italiana occupa una posizione rilevante e ben integrata nel sistema imperialista mondiale, seppure con alcune “debolezze” nei rapporti di interdipendenza con altre potenze più forti che ricoprono posizioni superiori nella piramide imperialista, debolezze che, però, non si possono certamente confondere con forme di “subalternità e dipendenza”. Quanto fin qui evidenziato osservando le varie missioni italiane ne è ulteriore conferma.
In conclusione, queste missioni si concentrano in quell’ampia e strategica regione del mondo, densa di tensioni e pericoli, che si estende dal Mediterraneo centrale e orientale ai Balcani, dall’Africa settentrionale e sub-sahariana fino al Corno d’Africa e al Vicino e Medio Oriente, dal Mar Rosso, dal Canale di Suez e dallo stretto di Bab el-Mandeb al Golfo di Aden e allo stretto di Hormuz, alla quale stiamo dedicando particolare attenzione con diversi articoli su L’Ordine Nuovo.
Qui si scontrano gli interessi di potenze imperialiste globali e regionali per ridisegnare questa ricca area del mondo e spartire le zone d’influenza in base ai rapporti di forza economici, militari, politico-diplomatici, per il saccheggio e il controllo delle risorse naturali, delle rotte di trasporto di merci e energia, delle quote di mercato, dei punti geo-strategici cruciali.
Conflitti, interventi, dispute, ingerenze, accordi e negoziazioni che si giocano sulla pelle dei popoli e nell’esclusivo interesse dei monopoli capitalistici, mentre si accumulano i fattori di rischio di una nuova conflagrazione mondiale.
Osservando le aree e paesi dove sono principalmente schierati i militari italiani, si individua facilmente la corrispondenza con le aree su cui si concentrano i considerevoli interessi economici e energetici dell’imperialismo italiano e dei suoi monopoli. Il coinvolgimento militare italiano nelle varie operazioni, missioni e guerre della NATO e dell’UE18, la cessione di parti di territorio alle basi militari USA/NATO e l’elevata spesa militare (12esima posizione mondiale)19 corrispondono all’ambizione della borghesia italiana di accrescere il proprio peso internazionale e garantire la partecipazione del capitale italiano alla spartizione del bottino in proporzione alla sua forza economica, politica e militare, promuovendo gli interessi e i profitti dei propri monopoli nel contesto della famelica competizione interimperialista in atto in tutto il mondo, ulteriormente intensificata dalla nuova crisi dell’economia capitalistica, al fine di estendere o difendere la propria quota di mercato e la propria posizione nella piramide imperialista.
Queste missioni, che si svolgono sotto il pretesto della “stabilità”, della “pace” e dell’ingannevole richiamo “all’interesse nazionale”, rispondono agli interessi di classe della borghesia e ai suoi obiettivi, coinvolgono il nostro paese in pericolose avventure imperialiste a solo beneficio dei profitti dei capitalisti, seminando morte, distruzione e saccheggio per i popoli delle regioni colpite e imponendo ulteriori sacrifici e politiche antioperaie e antipopolari ai lavoratori del nostro paese. Mentre si prepara una nuova stagione di macelleria sociale, di tagli e licenziamenti, di compressione dei diritti e dei salari, ingenti risorse economiche continuano ad esser destinate agli armamenti e alle missioni all’estero invece che alla spesa sociale, nonostante sia ben evidente tutta l’inadeguatezza di questo sistema, non ultima la sua incapacità di affrontare efficacemente la pandemia e garantire la salute e la vita delle persone.
Non si tratta di “incapacità” di un governo “supino ad interessi stranieri”, bensì di precise volontà e scelte della borghesia italiana, tese a conservare il sistema di sfruttamento e a promuovere i propri interessi nella competizione internazionale.
Più le contraddizioni di questo modo di produzione diventano evidenti, più la sua crescente obsolescenza mette in pericolo il futuro della società, degli ecosistemi e dell’Umanità. Oggi più che mai, la lotta per la pace, contro il coinvolgimento del nostro paese nei piani di guerra imperialista, contro le basi militari USA/NATO, per il rientro di tutti i militari italiani in missioni all’estero e il taglio delle spese militari, deve tornare ad essere parte centrale e fondamentale della lotta di classe del movimento operaio italiano contro la borghesia del nostro paese, contro le sue alleanze imperialiste come l’UE e la NATO e contro qualsiasi altro conglomerato imperialistico, nella consapevolezza che una pace duratura e il progresso sociale possono essere garantite solo in una società liberata dal giogo capitalista.
1 Sono giunte al termine senza riconferma la “Temporary International Presence in Hebron” (TIPH2) in Cisgiordania e il dispositivo “NATO Support to Turkey – Active Fence” ai confini sud-orientali dell’Alleanza NATO, cioè la batteria SAMP-T schierata in Turchia.
2 Comprendendo anche le missioni di polizia, cosiddette “civili”, di cooperazione ecc.
3 Di cui: € 35.417.373 nel 2020 e € 12.000.000 nel 2021.
4 Che si aggiungono alle 7.488 unità militari riferite alle missioni riconfermate (+145 rispetto al 2019)
5 Per approfondire leggi: https://www.lordinenuovo.it/2020/05/19/altri-500-soldati-italiani-nella-guerra-di-spartizione-libica
7 Per approfondire leggi: https://www.lordinenuovo.it/2020/04/09/continua-la-guerra-in-libia-al-via-una-nuova-missione-imperialista-targata-ue-2-2/
8 https://www.agenzianova.com/a/5f096f2137b483.91005220/2998523/2020-06-26/speciale-difesa-libia-guerini-necessario-mantenere-la-presenza-dell-italia-sul-terreno
9 A cui partecipano anche Belgio, Danimarca, Estonia, Paesi Bassi, Portogallo e Svezia
10 Composta da 5.100 unità militari, cui si aggiungono 3 droni, 7 caccia, 22 elicotteri, tra 6 e 10 aerei di trasporto, 290 blindati pesanti, 240 blindati leggeri e 380 mezzi logistici.
11 Oltre ENI sono presenti altre aziende italiane:
Nigeria – http://www.infomercatiesteri.it/presenza_italiana.php?id_paesi=23
Ghana- http://www.infomercatiesteri.it/presenza_italiana.php?id_paesi=13
Guinea – http://www.infomercatiesteri.it/presenza_italiana.php?id_paesi=147
Angola – http://www.infomercatiesteri.it/presenza_italiana.php?id_paesi=4
Costa d’Avorio – http://www.infomercatiesteri.it/presenza_italiana.php?id_paesi=9
12 Un’altra missione italiana nell’ex colonia somala è la EUCAP Somalia con 15 unità di personale militare (erano 3 nel 2019), per un costo di 514.604€.
13 https://www.infoafrica.it/2020/01/29/africa-2020-anche-nel-2019-litalia-e-primo-investitore-europeo-in-africa/
14 L’Italia è per il 14esimo anno consecutivo primo contributore a questa missione. Inoltre, in Libano è presente un’altra missione denominata MIBIL (missione bilaterale di addestramento delle Forze di sicurezza libanesi) consistente in 140 unità di personale militare, 7 mezzi terrestri, 1 mezzo navale, per un costo pari a 6.704.811 €
15 Per l’ENI In progetto anche la costruzione di due pipeline sottomarine. Diverse altre aziende italiane sono presenti in Iraq: http://www.infomercatiesteri.it/presenza_italiana.php?id_paesi=105. La presenza ENI in Iraq inoltre è strategica per la sua espansione in Medio Oriente, in Bahrein, Oman e EAU. Un’area in cui è presente anche un’altra missione che coinvolge 136 militari italiani tra EAU, Qatar e Bahrein.
16 Per approfondire: https://www.lordinenuovo.it/2020/04/09/continua-la-guerra-in-libia-al-via-una-nuova-missione-imperialista-targata-ue-2-2/
http://www.senzatregua.it/2019/12/22/sui-pericolosi-sviluppi-nel-mediterraneo-orientale/
18 L’Italia è 4° paese contributore alle missioni NATO e si colloca nella prima fascia di Stati membri contributori alle missioni dell’Unione Europea. Inoltre è 1° paese occidentale contributore alle missioni dell’ONU (19esimo in assoluto)