Paolo Finardi, combattente della Volante Rossa
Riceviamo e pubblichiamo un contributo di Massimo Recchioni, nel sesto anniversario della morte di Paolo Finardi, partigiano e militante della Volante rossa.
La politica è diventata parte del baraccone del mondo impegnato solo a fare spettacolo. Non contano le idee, ma il modo appariscente in cui vengono esternate. E naturalmente, alla base, trovano spazi nella misura in cui sono scarsamente influenti, incisive e potenzialmente pericolose per il potere.
Io sono cresciuto in un’epoca dove comunque, se centinaia di migliaia di persone andavano in piazza, il governo in carica era delegittimato a governare. Andava a casa. Oggi non si smuovono neanche a cannonate (simboliche, ovviamente). E quindi si è creata una spirale verso il basso per cui, visto che non serve a niente, la gente fa quello: cioè non fa nulla. Ha la scusante dell’inutilità della protesta per poter stare nella propria casa, meglio nel giardino, se lo ha a leggere un libro e ogni tanto cliccare su «parteciperò» o «mi piace» sul piano politico più difficile e impegnativo: tanto lo si fa da casa, basta un click. Poi gli operai, il personale della sanità, della scuola o trasporti, i precari o i disoccupati, in qualche modo ce la faranno, qualche elemosina la prenderanno. Intanto noi abbiamo cliccato, è stato gratis, nient’affatto faticoso, indolore tutto sommato!
Mi viene da pensare che meno di un anno fa i ministri dell’attuale governo sono andati a giurare al Quirinale con fidanzate, mogli e figli, facendo e pubblicando selfie con Mattarella. Francesco Boccia, PD, ministro agli Affari regionali, disse in quell’occasione: «non c’è e non c’è mai stata in questo Paese una competizione tra ricchi e poveri, questa visione non ci appartiene. Così come non ci sono differenze tra nord e sud».
Secoli di lotta di classe, di questione meridionale. Gramsci e gli altri si erano inventati tutto!
Di Maio dice che destra e sinistra non esistono più. E altri: il governo attende la prova dei mercati! Non del Parlamento, come era una volta e dovrebbe essere: dei mercati! E intanto l’opposizione di destra parla di un governo non di sinistra, ma di estrema sinistra! I giornalisti danno loro ragione a causa della cravatta rossa di Speranza… È un mondo dove ormai infatti conta solo l’apparenza. E infatti una furbona che riesce a vendere l’acqua Evian da lei firmata a 8 euro, diventa protagonista di un documentario su come ce l’ha fatta(!) e sbarca a Venezia. Mi ricordo, ho a casa il manifesto di quella mostra, di un documentario coprodotto da Rai Cinema, nel 1989 a Roma: Rassegna del Cinema sovietico. Ci siamo persi qualcosa? Quand’è che tutto è cambiato?
Beh, una volta stare nella politica significava – secondo il significato greco originale della parola – stare dentro le dinamiche sociali, contrattuali, i conflitti. Oggi evidentemente significa portare acqua semplicemente al proprio mulino. Lo capiamo davanti alla percezione della gente, che si recherà in autunno in massa a votare per la riduzione dei Parlamentari. Anzi magari lamentandosi che li hanno solo dimezzati. Se li avesse ridotti a due, gli stipendi sarebbero stati molto inferiori. Allora perché non eliminarli del tutto? Si può dare completamente torto a persone che fanno ragionamenti del genere? Viste le esperienze degli ultimi decenni no, ma dobbiamo convincerli che la strada non è l’allontanamento se non l’abbandono della politica (questo ha portato al fascismo, in Italia e non solo), ma proprio l’esatto contrario, e cioè il ritorno all’uso corretto e protagonistico della politica. Controllando severamente, ovviamente punendo esemplarmente gli abusi, ma non c’è altra direzione che questa!
Perché questo preambolo? Perché tutto sommato, anche se alcuni, ma solo alcuni, in modo scorretto dal punto di vista legale, l’utilizzo della politica fu quello di cui operai, contadini, donne, tutti insomma, si riappropriarono dopo la fine della seconda guerra mondiale e della Resistenza. Lo fecero a tal punto da non capire la linea di demarcazione tra il lecito e l’illecito. Dicevo scorretto dal punto di vista legale in quanto quei giovani partigiani che avevano rischiato la pelle e perso amici, compagni e familiari a causa della ferocia nazifascista, non riuscivano a spiegarsi come mai dopo il 25 aprile assai poco fosse cambiato, e come mai capitasse quotidianamente di incontrare boss, gerarchi e gerarchetti locali per strada, sui giornali, scoprendo che a loro non era stata inflitta punizione alcuna! Com’era stato possibile?
Forse le spiegazioni sono molteplici: le più semplicistiche ci mettono del buonismo e del perdonismo dentro. Ci parlano di pacificazione. Ma da quando in qua, ovunque nel mondo, ci si pacifica prescindendo dal riconoscimento delle colpe?
Se i fascisti avessero davvero pagato un equo prezzo per torture, omicidi, eccidi e malefatte, potrebbero oggi, a oltre settant’anni di distanza, comportarsi da vittime, equiparare i propri morti a quelli della Resistenza, fare apologia di X MAS e messe in suffragio dei caduti di Salò?
Ovviamente tutto ciò non sarebbe lontanamente concepibile. Eppure si fa. Non solo si fa, ma lo si fa addirittura ogni giorno di più, arrivando ormai a invertire nei fatti colpe e responsabilità. Conclusione: i poveri morti delle foibe (omettendo, ovviamente, occupazione italiana e relative nefandezze), i poveri ragazzi della Repubblica sociale, che tutto sommato erano coerenti e difendevano l’onor di Patria. Da questo ad arrivare a oggi: in un Paese democratico parlano tutti, quindi perché i fascisti no? Dimenticando, gettando un colpo di spugna, su tutto quanto di aberrante il fascismo aveva significato per il nostro Paese. Non si trova una parola, sui libri di storia, sulle centinaia di migliaia di eritrei, quasi tutti civili inermi, trucidati e sterminati mediante il gas iprite. Sulla deportazione forzata dei libici. Sulle nefandezze da noi commesse in Grecia e Albania. Per non parlare degli oppositori politici arrestati, torturati e uccisi in patria, quando non deportati. Si trova qualcosa sulle leggi razziali che, a volte, vengono percepite come un «incidente di percorso».
Invece quei morti ci sono stati, tutti, hanno gridato vendetta per anni e molti continuano a farlo. Sono morti senza colpevoli, esattamente come quelle delle stragi fasciste e dei servizi segreti del dopoguerra. Ebbene, ognuno di quei morti aveva un nome e cognome, in indirizzo, una famiglia, degli amici.
Molti si stufarono ben presto di reclamare giustizia, accorgendosi sin da subito che non ci sarebbe mai stata. Altri semplicemente si dissero che non avrebbero rinunciato a farlo. E, nel momento in cui, dall’Amnistia Togliatti in poi, si accorsero che lo stato democratico borghese non avrebbe fatto giustizia, se la fecero da soli. Alcuni, come la Volante Rossa a Milano, in forma diciamo organizzata. Altri, semplicemente, in Liguria, Piemonte, Emilia Romagna, attesero settimane, o anche mesi, che qualcuno andasse a interrogare tutti i conniventi e corresponsabili dei crimini del regime. Non lo fece nessuno. Li uccisero loro, coloro che avevano avuto lutti in famiglia cui non sarebbe mai stata data giustizia.
A proposito della Volante Rossa a Milano, esiste da anni una lotta di numeri che fornisce da sola il senso del revisionismo che su certe tematiche viene fatto da anni. Io, che ho letto tutte le carte processuali dei tre gradi di giudizio, ho constatato che gli esponenti di quell’organizzazione furono condannati per tre omicidi: Gatti, Ghisalberti e Massaza. Non esiste una parola in nessuna delle pagine dei fascicoli processuali che riguardi altri omicidi. A Milano, nel dopoguerra, gli omicidi insoluti erano stati decine. Cosa di più facile che attribuirli alla Volante Rossa tutti? Loro li avrebbero riconosciuti o disconosciuti, rischiando più anni di galera? Sicuramente no. Rischiando che qualcuno ancora latitante e processato in contumacia potesse essere condannato a un numero maggiore di anni? Ovviamente no. Allora la scelta salomonica fu di non parlarne mai (non v’era di fatto alcuna prova), ma diffondere la voce che li avevano uccisi tutti loro. Questo risulta (ho fatto per anni una battaglia contro i mulini a vento su strumenti allucinanti come wikipedia) in ogni sito della rete. Nei fatti realmente accaduti tre condanne all’ergastolo (Giulio Paggio, Paolo Finardi e Natale Burato) per i tre omicidi menzionati, nella vulgata popolare c’era un omicidio irrisolto? Diamolo alla Volante Rossa, magari un responsabile delle indagini di polizia riesce anche a fare qualche passo di carriera.
La Volante Rossa, nonostante a Milano qualcuno a sinistra (non sto giocando) cerchi di negarlo, esisteva davvero. Non solo, era un fenomeno completamente interno al Partito comunista italiano.
Era un’organizzazione estremamente radicata delle fabbriche di Lambrate (decine di migliaia di lavoratori nel dopoguerra, non si arriva a un centinaio). Organizzavano scioperi, picchetti, volantinaggi. Senza dimenticare di portare fiori alle lapidi dei partigiani, a Milano e nelle montagne nei dintorni. Una Casa del Popolo perfettamente funzionante e con un radicamento assai profondo nel territorio di quella che a quel tempo era frontiera periferica di Milano. Ma soprattutto i ragazzi della VR, nei fatti, facevano tutto quello che il Partito – dopo la svolta di Salerno e la scelta della via elettorale verso il potere – ufficialmente non si poteva permettere di fare. Salvo poi, almeno, accudirli durante i loro esili in Cecoslovacchia, versando per molti i contribuiti per la pensione in Italia, aiutando a volte le famiglie. Sbaglia allora chi ha una visione romantica e avventuristica di quell’organizzazione, ha sbagliato chi successivamente si è voluto ispirare a loro come se fossero avanguardie della rivoluzione.
Certo, il PCI, dopo anni di clandestinità, non era affatto un corpo omogeneo. La linea togliattiana istituzionale stava prevalendo, ma le spinte rivoluzionarie della cosiddetta ala operaista erano assai forti, soprattutto nelle aree industriali, e difficili da «sedare».
Ma erano sempre e comunque solo uomini di Partito. E quegli uomini, quei tesserati, all’estero avevano smesso ufficialmente di esistere, al punto di aver dovuto cambiare nome e cognome per non mettere in imbarazzo Partito italiano e Stato cecoslovacco per il loro segreto accordo di assistenza agli esuli. Erano stati oltre cinquecento, nel dopoguerra, a scappare. In pochi della Volante Rossa, ma moltissimi per situazioni analoghe. Sarebbero stati graziati negli anni, secondo la gravità delle condanne, man mano che venivano eletti nuovi Presidenti della Repubblica.
Gli ultimi tre a essere graziati furono proprio Paggio, Finardi e Burato, a fine 1978 dal neoeletto Sandro Pertini. Quel capitolo doloroso si chiudeva, dal punto di vista legale, a oltre trent’anni dalla liberazione. Nei fatti no.
Chi era stato trent’anni in esilio, in Italia aveva perso tutto e tutti. Molti decisero di rimanere in quel Paese, diventata la loro seconda patria. Io e altri incontrammo Paolo Finardi (personalmente, dopo aver pubblicato la sua storia, tra Milano e Brno lo vedevo dieci volte l’anno) a Segrate in occasione della registrazione del suo contributo al documentario sulla Resistenza “Noi sempre lotterem”. Lo avevo visto stanco, ne aveva passate tante. Troppe. Stanco a tal punto che alcuni suoi amici, per non farlo guidare, lo riaccompagnarono a Brno in macchina e tornarono in aereo. Lo sentii per un mese, non si riprendeva. L’ultima volta il 14 luglio del 2014. Quella notte, tra il 14 e 15 luglio 2014, Paolo ci lasciò. Partii subito per Brno, aiutai sua moglie a organizzare il funerale: Paolo aveva voluto scrivere, sulla partecipazione funebre, «figlio» accanto al mio nome. Mi aveva chiesto, molto tempo prima, di recitare l’orazione funebre. Così feci, in ceco e italiano. Poi ci fermammo a mangiare e ripartimmo, sapendo tutti che la nostra vita non sarebbe stata più la stessa. D’altra parte, da quando ho conosciuto lui, quindici anni fa, la mia vita non è la stessa, non potrebbe esserlo. La mia quotidianità è cambiata. La mia famiglia si è notevolmente allargata. I Finardi, i Paggio, i Burato, i Moranino, sono entrati e farne parte integrante, e oggi non potrei più immaginare la mia vita senza di loro. Senza poter dire alla mia coscienza: «Questa gente ha fatto sì tanto affinché il mio Paese fosse un Paese migliore. Non solo, ha anche pagato cara questa scelta. Il minimo che io possa fare, visto che non potevo esserci allora, è esserci almeno adesso». Li ringrazio per questo.
Massimo Recchioni
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Massimo Recchioni, tra l’altro, ha pubblicato per Derive Approdi:
- Ultimi fuochi di Resistenza. Storia di un combattente della Volante Rossa
- Il tenente Alvaro, la Volante Rossa e i rifugiati politici italiani in Cecoslovacchia
- Francesco Moranino, il comandante Gemisto. Un processo alla Resistenza