Vertenza Treofan: è necessario un fronte unico politico e sindacale
Abbiamo parlato con Francesco, operaio della Treofan di Terni, una fabbrica in lotta per la salvaguardia di 150 posti di lavoro.
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Innanzitutto vorremmo fare i complimenti a te e a tutti i lavoratori Treofan per la risolutezza e la determinazione con cui state portando avanti lo sciopero a oltranza davanti all’azienda. Come sta procedendo lo sciopero? Siete stati minacciati dalla dirigenza o dalle forze dell’ordine per il tipo di protesta che state portando avanti? State ricevendo sostegno dalla popolazione cittadina e dalle organizzazioni politiche sul territorio?
Allora, lo sciopero sta procedendo ormai da una ventina di giorni. Il 10 luglio abbiamo avuto una riunione, un’assemblea unitaria per decidere come andare avanti, visto che era stata raggiunta una data per incontrarci al ministero con le RSU, quindi i sindacati, il Governo e i vertici aziendali nella giornata di mercoledì 15, e di conseguenza, come apertura alla possibilità di confronto, abbiamo concesso che venisse caricato un solo camion al giorno di merce pronta. Lo sciopero fino all’8 luglio è consistito proprio in questo, ovvero nel bloccare il carico della merce già pronta da inviare ai clienti, ma visto che era stata fissata la data per un incontro al Mise, abbiamo deciso tutti quanti che quotidianamente venisse fatto passare dal picchetto un solo camion. Da sabato si è deciso come andare avanti fino alla data prestabilita per l’incontro, ossia scegliere se abbassare i toni oppure continuare a tenere alta l’asticella dell’attenzione tenendo duro con un solo carico al giorno, che consideravo la cosa migliore da fare perché perché comunque sia abbassare i toni avrebbe portato a un abbassamento generale di attenzione anche da parte del governo.
Purtroppo si è verificata la seconda ipotesi, e tra la naturale tendenza di Jindal a presentare le vicende a modo suo, tra la “linea morbida” adottata, l’incontro al Mise si è rivelato un po’ un altro nulla di fatto.
Per quanto riguarda la polizia no, per fortuna non ci sono stati problemi. Hanno ovviamente presidiato con la Digos, però da parte della polizia assolutamente non c’è stata ancora una forzatura, si sono comportati adeguatamente. Abbiamo, diciamo, una sorta di appoggio, ma è chiaro che se i vertici volessero forzare la mano, per quanto comunque la polizia possa temporeggiare, alla fine si potrebbe arrivare a qualcosa di più concreto…comunque fino ad ora non è mai successo nulla del genere. La dirigenza ci ha minacciato che comunque vuole forzare eventualmente se non facciamo caricare i camion, ma ancora questa pressione non è mai avvenuta, perché per fortuna in queste mattine anche la presenza del sindaco bene o male ha permesso che l’amministratore delegato Manfred Kaufmann non forzasse a sua volta, anche se il suo intento rimane quello. Quindi per adesso diciamo che i toni sono stati mantenuti pacifici.
Per quanto riguarda le organizzazioni politiche diciamo la vicinanza e la presenza c’è stata soprattutto, questo mi preme dirlo, da parte di Potere al Popolo, Rifondazione Comunista e Partito comunista. Sono sempre stati presenti anche in buon numero e ci hanno appoggiato, hanno voluto sapere, sono stati con noi quindi questo è stato davvero un grande piacere. La città secondo me può rispondere meglio perché vedo che c’è tanta non conoscenza della situazione, c’è tanto menefreghismo e mi sa brutto dirlo, ma se non ti chiami AST non ti danno tanta considerazione.
Visti i comportamenti della dirigenza nei confronti dello stabilimento di Battipaglia, avresti mai pensato che Jindal avrebbe trattato lo stabilimento di Terni allo stesso modo, nonostante le linee più moderne e i prodotti più avanzati?
Quando hanno detto che Battipaglia poteva essere chiusa, inizialmente è chiaro, la preoccupazione c’era. Dopodiché infatti hanno agito in tal senso, e a mio avviso, che noi potessimo essere i prossimi l’ho sempre pensato, perché pian piano con il silenzio, lo “zitti e se lavora” che è stata la linea guida per circa un anno e mezzo, secondo me non abbiamo risolto mai niente, anzi, piano piano ci hanno sempre tolto e che ci abbiano dato puntualmente lo stipendio, che qualcuno vedeva come un segno di buona disposizione, è invece normalissimo. Sarebbe stato chiaramente ancora più preoccupante se non ce lo avessero dato, ma lo stipendio è quello che ti spetta, quindi non è che ti regalano niente.
Quindi sì, fondamentalmente che noi potessimo essere i prossimi l’ho sempre pensato e si è dimostrato, quindi adesso bisogna agire e far capire che noi non ci stiamo con le decisione di questa sorta di imprenditoria, anzi “prenditoria” come qualcuno l’ha definita, non ci stiamo assolutamente.
Pensi che Jindal abbia intrapreso l’intera operazione di acquisto di Treofan solo per appropriarsi dei macchinari e del know-how per produrre meglio e a costi più bassi altrove, “ammazzando” la concorrenza?
Io penso che Jindal abbia comprato la concorrenza per chiuderla definitivamente, e prendersi il gran pacchetto di clienti che Treofan aveva. Il film fatto a Terni è sempre stato, diciamo, appetibile, sia per l’alta qualità sia per il basso costo dei macchinari (che non sono più nuovi, chiaramente, quindi il costo è stato ammortizzato negli anni), quindi abbiamo sempre avuto tanti ordini, il film di Terni era richiestissimo e su questo, diciamo, non abbiamo mai avuto grandi problemi.
Visto che il “balletto” di Jindal circa il destino dello stabilimento di Terni dura da quando si è concretizzata la vendita di Battipaglia, pensi che i sindacati confederali siano intervenuti in tempo e con la dovuta risolutezza sulla questione, o che l’abbiano trattata con eccessiva superficialità?
Piuttosto che i sindacati, sarebbe stato meglio se fossimo stati noi operai ad aprire le danze, perché abbiamo visto che l’attenzione dello Stato, dei sindacati ecc. si è rivolta all’azienda quando noi operai abbiamo alzato il livello dello scontro.
Diciamo che l’ostacolo più grosso è dovuto al fatto che non c’è stata mai una sorta di unitarietà sindacale, mettiamola così, perché al di là di tutto è stato sempre faticoso collaborare con loro e tra di loro, e sono sicuro che anche il 10 mattina, per l’incontro per decidere come procedere in vista di mercoledì, questa collaborazione faticosa è scaduta nel compromesso della “linea morbida”. Per quanto riguarda la politica..
Ecco, la politica: abbiamo visto l’amministrazione comunale spendersi pubblicamente per la questione Treofan, pensi che sia una sincera preoccupazione per il territorio ternano, o semplice passerella per rafforzare una base elettorale un po’ indecisa, senza alcun vero interesse per maestranze e famiglie che saranno messe in seria difficoltà da questa crisi?
Se fanno passerella o ci tengono veramente quello non te lo saprei dire, io mi auguro che sì, ci tengano, anche se dentro di me lo so che è normale che un minimo debbano sempre farsi vedere. Però la presenza della politica istituzionale, per così dire, è servita, ad esempio quando è passata la questione Treofan in Regione: il fatto di essere presenti noi operai assieme alle forze politiche dell’amministrazione proprio in quell’istante, ha dato da un lato forza alle nostre rivendicazioni e dall’altro ha evitato che queste forze battibeccassero fra di loro per dire “guardate, quando c’è stato qualcosa io c’ero, tu no”, facendo sì che invece collaborassero per un obiettivo comune, e infatti la questione della Treofan è passata all’unanimità come emergenziale. Poi certo, sicuramente qualcuno usa questi momenti per tornaconto mediatico, quindi niente di nuovo, niente di diverso da altre questioni.
Vista la crisi conclamata del manifatturiero in Umbria, partendo dalla vendita dell’AST qui a Terni, passando per la scomparsa della produzione industriale nello spoletino (Novelli, Cementir, IMS/Isotta Fraschini) e nel trevano (Auchan), per arrivare alla crisi dell’automotive nell’Alta valle del Tevere, e vista la tendenza dei sindacati confederali a giocare sempre al ribasso, senza mai porsi in opposizione seria alle dirigenze aziendali ma anzi spesso concordando le modalità di cessione/chiusura per ottenere il prima possibile gli ammortizzatori sociali, non ci sarebbe bisogno di un coordinamento politico e sindacale per unire tutte queste lotte, e opporre un fronte unico di classe al padronato italiano e internazionale che arriva sul territorio, arraffa e poi fugge mettendo al sicuro i frutti dello sfruttamento e del know how, spesso delocalizzando altrove la produzione?
Un coordinamento politico e sindacale per unire tutte queste lotte? Sarebbe bellissimo, ma è chiaro, ma magari si potesse fare! Con queste sigle sindacali confederali che comunque si danno battaglia tra di loro, con le divergenze politiche per farsi vedere uno più bello dell’altro, poi tanto alla fine quando vuoi tirare su i conti rimane tutto sempre uguale. Certo avremmo bisogno di un qualcosa che facesse funzionare bene questo stato, l’unica cosa che mi fa rabbia che con tutte le vertenze che ci sono state in Italia, diciamo per inesperienza, i lavoratori non sono mai riusciti a contrapporsi a queste multinazionali, che arrivano e delocalizzano e mandano a casa operai e famiglie che lavorano. Avremmo bisogno di tutto questo, sembra che ormai nel 2020, almeno qua in Italia, un discorso del genere sia utopistico, ma veramente quello sarebbe il top. Nazionalizzare queste società? Certo, assolutamente, ma potrebbe anche bastare che quando la proprietà volesse cedere la fabbrica a un’altra multinazionale, lo stato mantenesse una quota di proprietà, un pacchetto azionario di controllo, affinché se i padroni decidessero di chiudere, gli si direbbe “guarda che anche io ho il pacchetto in mediazione, tu non vai da nessuna parte o se devi andare lasci la tua quota allo stato e il lavoro alle persone”.
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Come già anticipato, l’incontro al Mise si è purtroppo rivelato un ennesimo nulla di fatto, con la dirigenza Jindal intenta a mascherare le proprie mire di chiusura dello stabilimento con la foglia di fico della vendita a un attore, peraltro tuttora ignoto. Data l’assenza di garanzie da parte della società, il Mise ha dato mandato ai sindacati confederali di elaborare un patto da sottoporre alla dirigenza Jindal (previo nulla osta del Mise stesso): gli operai, dal canto loro, vedendo la dirigenza aziendale più che rilassata, al limite dello sberleffo, nell’interagire con i rappresentanti sindacali, hanno deciso di tornare alla linea dura nello sciopero, facendo passare un solo camion al giorno, nella speranza che l’accumularsi di perdite economiche faccia il suo effetto sull’unico punto debole della multinazionale, ovvero il profitto.