Dichiarazione del Consiglio Politico del CC del PCOR-PCUS sulle elezioni in Bielorussia e sulla situazione determinatasi dopo di esse
A seguito delle elezioni presidenziali svoltesi in Bielorussia e degli sviluppi determinatisi in quel paese[1], riportiamo un’analisi della vicenda attraverso una dichiarazione del 13 agosto del Consiglio Politico del Comitato Centrale del Partito Comunista Operaio Russo del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCOR-PCUS)[2].
Nella Repubblica di Bielorussia si sono tenute le elezioni presidenziali. Secondo i dati ufficiali, la maggioranza degli elettori ha votato per Lukašenko (80%).
Non siamo in grado di stabilire quanto questi dati corrispondano alla realtà, né quanto questo risultato sia stato assicurato dalla risorsa amministrativa, che senza dubbio possiede chi da tanto tempo ricopre la carica di presidente, ma sottolineiamo solo il punto più saliente: l’opposizione non riconosceva questi risultati anche prima che fossero resi pubblici, persino molto tempo prima delle elezioni.
Anche in questo caso non è particolarmente significativo se questa opposizione di destra sia filo-occidentale o filo-russa, poiché in ogni caso è appunto filo-imperialista. Tuttavia è significativo che essa abbia un carattere chiaramente nazionalista, per molti aspetti analogo al maidan di Kiev, fino all’utilizzo dei simboli del collaborazionismo del 1941.
Queste forze non possono perdonare a Lukašenko di non avere imboccato la via di Gaydar col metodo della «terapia d’urto», di non aver consentito una privatizzazione da rapina, né quelle riforme finanziarie antipopolari che in un attimo hanno fatto precipitare nella povertà la popolazione della Russia. Inoltre, Lukašenko ha garantito la salvaguardia della grande industria statale e dell’agricoltura, della regolamentazione statale, delle garanzie sociali, ecc.. Ciò detto, non nutriamo illusioni e comprendiamo come il modello costruito da Lukašenko sia comunque un modello capitalistico.
E il sistema borghese crea il proprio ambiente e l’ideologia corrispondente. La piccola borghesia vuole diventare grande e avere più libertà di sfruttamento e commercio. Pertanto, si affida sempre volentieri alle forze degli imperialisti stranieri per tradurre le loro aspirazioni in realtà. In questo caso, hanno preferito il sostegno dell’UE e degli Stati Uniti, dei predatori più potenti, con il loro obiettivo di lunga data di inserire un cuneo tra i popoli di Russia e Bielorussia. E riconosciamo l’impronta dolorosamente familiare degli eventi in Ucraina, in Venezuela e in altre regioni del mondo: i risultati delle elezioni non vengono accettati, il candidato dell’opposizione viene proclamato vincitore, viene presentato appello alla comunità mondiale, la popolazione viene chiamata a scendere in piazza e le autorità vengono provocate con violenti scontri e rivolte, fino all’organizzazione delle vittime sacrificali.
Si deve sottoporre Lukašenko a serie critiche per il fatto che è in gran parte egli stesso responsabile dell’attuale situazione acuta, poiché fin dall’inizio ha imboccato la via del capitalismo e del mercato. Ha cercato di preservare le garanzie sociali per la popolazione, ma non ha voluto fare affidamento sui lavoratori. Non ha accumulato capitali personali e non si è circondato di amici oligarchi, come il «garante» russo, ha cercato con tutte le sue forze di preservare la sovranità della Repubblica di Bielorussia e di sviluppare la sua economia, ha cercato di costringere i funzionari a lavorare per questa idea in condizioni di mercato, ma non è riuscito, né poteva riuscire, a garantire tutto ciò nel quadro del capitalismo. Contare su questo è ingenuo e, come noto, non esiste un mercato buono, favorevole ai lavoratori. Il mercato, prima o poi, porta sempre al Maidan come forma di presa del potere da parte del grande capitale finanziario. Il potere della borghesia è sempre essenzialmente la dittatura della classe borghese. Questa dittatura può assumere varie forme, ma la sostanza è la stessa: la dittatura degli sfruttatori contro gli sfruttati.
Non c’è stata opposizione da parte dei lavoratori in queste elezioni. La classe operaia e le sue organizzazioni non sono state capaci di avanzare un proprio candidato. Siamo costretti a costatare che la debolezza del movimento operaio nel paese è in parte uno dei risultati della politica di Lukašenko, una politica di repressione di ogni tentativo di lotta di classe. I lavoratori sono privati del diritto di sciopero, passati a contratti a tempo determinato e persino privati del diritto di licenziarsi di loro spontanea volontà, per non parlare dell’attività politica. In Bielorussia, ancora prima che nella Federazione Russa, è stata innalzata l’età pensionabile, sono state proposte tasse per i disoccupati, sono stati ridotti i diritti sindacali, ecc.. Le autorità negano la registrazione ai nostri compagni del Partito Comunista Bielorusso dei Lavoratori (BKPT) e non consente loro l’accesso alla legittima politica ufficiale. Quindi, non possiamo chiudere gli occhi sul fatto che Lukašenko parla solo di una via capitalistica per la Bielorussia («come in tutto il mondo»), mentre in politica interna persegue una linea di rafforzamento dell’assolutismo del potere presidenziale e di aumento dello sfruttamento dei lavoratori. Questa politica ha portato alla crescita di umori piccolo-borghesi nella società e del malcontento tra i lavoratori. Tutto ciò è servito come base per organizzare le proteste dell’opposizione.
Il Partito Comunista Operaio Russo ritiene che i lavoratori della Bielorussia debbano chiarirsi e fare la propria scelta, determinata da una politica operaia autonoma. La classe operaia non deve stare sotto una bandiera altrui, deve combattere per i propri interessi e non per gli interessi dei capitalisti.
Ci sono abbastanza esempi davanti agli occhi dei lavoratori: l’esempio di Kiev, quando una parte dei lavoratori si schierò dalla parte di alcuni capitalisti contro altri e l’esempio del Donbass, dove minatori e trattoristi si opposero ai rabbiosi seguaci di Bandera scaldati dal Maidan, combattendo sotto le bandiere rosse.
Possiamo solo consigliare al popolo, ai lavoratori della Bielorussia di ascoltare meno sia gli autoproclamati “difensori dei diritti umani“, gli apologeti della democrazia borghese e dei “valori universali“, sia i fautori della linea della repressione da parte del potere statale.
Il PCOR invita i lavoratori della Bielorussia a non consentire l’avvio e lo sviluppo del Maidan bielorusso secondo il modello di Kiev, ma allo stesso tempo a utilizzare la situazione di insoddisfazione di parte della società per i risultati delle elezioni per rafforzare le proprie forze di classe, per tenere riunioni nei reparti di fabbrica e nella produzione per sviluppare le proprie rivendicazioni nei confronti delle autorità. Ora è il momento per gli operai di avanzare la rivendicazione decisa di un cambiamento della legislazione del lavoro nell’interesse di tutti i lavoratori e del ripristino dell’età pensionabile sovietica, di organizzare scioperi a sostegno di queste richieste. Allo stesso tempo, bisogna ricordare che gli scioperi organizzati dalla leadership delle forze filo-imperialiste e volti a soddisfare le richieste del Maidan sono inequivocabilmente reazionari, proprio come quello stesso movimento e i lavoratori non devono aderirvi in nessuna circostanza.
Uno dei risultati di questo lavoro di organizzazione e auto-organizzazione dei lavoratori può essere lo svolgimento di un congresso nazionale di operai, contadini, specialisti e impiegati che elegga un organo permanente di lavoro, basato sulla forza della classe operaia, sulla forza di tutti i lavoratori della Bielorussia, in grado, sotto la guida ideologica dell’avanguardia formatasi nella lotta – il partito comunista operaio -, di perseguire una politica operaia contro la barbarie capitalista, per la democrazia, per il socialismo!
Stepan Sergeevič Malencov, Primo Segretario del PCOR-PCUS
Note:
[1] Per approfondire: Bielorussia: un futuro complesso tra due imperialismi in lotta tra loro, L’Ordine Nuovo, 15 agosto 2020.
[2] Не допустить развития белорусского майдана!, Partito Comunista Operaio Russo del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, 14 agosto 2020.