Nuove forme di sfruttamento e nuove forme di lotta. Ritorcere la gogna mediatica contro i padroni
Da qualche mese il panorama giovanile delle lotte contro lo sfruttamento del lavoro si è arricchito di un nuovo, originale, metodo. Il 21 Luglio, ad esempio, un gruppo di lavoratori e di giovani solidali alla causa sono stati sotto la sede cosentina di M&G (l’azienda di servizi per le imprese dell’imprenditore Luca Gallo, noto per essere il presidente della Reggina Calcio) per urlare in faccia, con maschere bianche in volto, al proprietario dell’impresa, i disagi subiti nel corso degli ultimi anni da un suo dipendente. Muniti di megafono e cellulari hanno registrato l’intervento che, oltre a suscitare domande fra i passanti, è stato diffuso in diversi modi sui social media. L’iniziativa fa parte della campagna “il padrone di merda” (PDM), nata a Bologna qualche mese fa, che ha per scopo proprio la diffusione mediatica e la denuncia pubblica dei datori di lavoro accusati di aver commesso abusi nei confronti di ogni tipo di lavoratore.
Il “blitz” consiste nell’indossare in gruppo delle maschere bianche (quasi a simboleggiare la perdita di soggettività e l’anonimia a cui il mercato del lavoro di oggi costringe la maggior parte dei dipendenti) e raccontare nei minimi dettagli con un megafono, davanti alla sede dell’attività in questione, gli episodi di sfruttamento subiti. Nel mentre si distribuiscono volantini, si coinvolgono eventuali passanti (o clienti dell’attività) e si appiccicano adesivi per “marchiare” la proprietà del PDM.
Come spiegano i primi promotori dell’iniziativa sul loro sito:
«Ci muoviamo in questo modo per due motivi: per coprire di ridicolo i PDM, indicando ai lavoratori che in quel posto non si viene pagati o, peggio, si viene molestati (quindi alla larga!), e per invitare la clientela a non arricchire questa gente. Di risultati ne abbiamo ottenuti, eccome. Abbiamo segnalato più di 50 PDM a Bologna, oltre ad aver recuperato diverse migliaia di euro in contributi non versati e stipendi mai pagati. Proprio per l’efficacia materiale della nostra azione, siamo stati accusati di essere degli estorsori, quando tali sono le persone che denunciamo: come, ad esempio, Francesca Fraiese, titolare della cooperativa Nuovi Angeli/Angeli Azzurri contro cui le lavoratrici si stanno battendo con forza, arrestata per aver estorto lavoro alle sue dipendenti sotto ricatto. Sono arrivati addirittura a disporre delle misure cautelari contro sei maschere bianche: cinque sono state allontanate da Bologna mediante il divieto di dimora, mentre la lavoratrice direttamente interessata in quella specifica iniziativa (alla quale i PDM devono 7200 euro!) è stata accusata di essere una stalker, ricevendo un obbligo di allontanamento dal negozio dove lavorava e dai suoi titolari (misura che viene disposta nei confronti degli uomini che mettono a repentaglio la vita delle donne)»[1].
Lungi dal farsi scalfire dall’accusa, i promotori dell’iniziativa fanno orgogliosamente notare il capovolgimento di prospettiva seguito alla decisione di intraprendere questo tipo di campagne: ad aver paura non sono più i lavoratori ma chi truffa questi ultimi e i loro protettori, perché è stato dimostrato che non solo si può fare a meno di loro, ma che contro di loro «ci si può battere fino alla vittoria».
L’azione di Cosenza ha visto per protagonista il giovane cuoco Francesco (nome di fantasia), che ha avuto il coraggio, oltre di denunciare legalmente, di gridare al pubblico l’esperienza vissuta con la M&G. Riportiamo testualmente la testimonianza di Francesco, (di cui ci eravamo peraltro già occupati qui) https://www.lordinenuovo.it/2020/06/16/lavoro-interinale-caporalato-legalizzato-e-disfacimento-della-coscienza-di-classe/ , citando le sue parole, urlate durante l’azione dimostrativa:
«Sono uno chef, ex dipendente della società M&G Holding, capitanata dal Sig. Luca Gallo attuale presidente della Reggina Calcio.
Ho lavorato, contrattualizzato con loro, dal 28/2/2019 al 31/8/2019 in un locale di Reggio Calabria, in una delle vie più importanti della “movida”, con dei contratti a tempo determinato. Già su questo avrei da puntualizzare: io ero in cucina già dal 19/2/2019, come testimoniano le fatture di consegna da me siglate, oltre al fatto che, insieme a me nello stesso locale, vi erano altri dipendenti della suddetta società, anche loro nella mia stessa situazione, e di cui mi riservo di produrre i nominativi nelle sedi opportune.
A titolo di cronaca, vi è anche una richiesta di diffida accertativa inviata a mezzo PEC in data 5/5/2020 dai miei legali all’Ufficio Territoriale Del Lavoro competente e per la quale ad oggi, 17/7/2020, non ho ancora ricevuto nessun tipo di riscontro.
Mi rivolgo al PDM perché, dopo essermi mosso per altre vie, la società M&G non ha mosso un dito per fare sì che questa mia situazione trovi un epilogo.
Vi cito brevemente le problematiche da me riscontrate dopo aver smesso di lavorare come loro dipendente, anche se di fatto la suddetta società non ha alcun rapporto con coloro che contrattualizza, se non fosse per l’invio di buste paga e relativi bonifici, ammesso che questi arrivino. Ad oggi, ancora attendo che mi siano versati Tfr, Anf (assegni familiari miei di diritto), ferie e permessi non goduti, bonifico mensilità con relativo invio di busta paga dei mesi di Giugno 2019, Luglio 2019, Agosto 2019. Inoltre, cosa da me mai accettata, le buste paga sono comprensive di tredicesima e quattordicesima. Oltre a ciò, come se non bastasse, ad oggi, dopo un mio controllo tramite CAF, mi ritrovo con neanche la metà dei contributi versati, nonostante la volontà mia e di altri membri del locale di abbassare le buste paga sulla carta (percependo somme in contanti a saldo dei nostri precedenti accordi con il titolare diretto) e quindi le relative fatture di M&G di circa il 30%, in modo da poter permettere all’effettivo datore di lavoro di saldare quest’ultime e quindi poterci far inviare dalla suddetta società i nostri stipendi. Nessuno da parte di M&G ha detto una sola parola, visto che magicamente, da una iniziale fattura di circa 24000 euro, si era arrivati a circa 15000 euro. Né una chiamata né una email: il nulla.
Ad oggi coloro che mi hanno aiutato in questa lotta hanno ricevuto minacce di querela da parte di sedicenti legali della suddetta società (come se i fatti fossero del tutto aleatori, mentre ciò che sostengo è da me pienamente dimostrabile tramite documentazione).
Le mie richieste agli organi di stampa di far uscire la notizia sono state più volte cestinate tramite sotterfugi di ogni sorta, quindi mi vedo costretto a intraprendere questa azione “di forza” per far sì che altri non si trovino nella mia stessa situazione, dove, per colpa di questa società, per poco non ho perso la casa da me sudata in 15 anni di lavoro, dove, a causa loro, ho dovuto, anche complice il periodo d’emergenza, chiedere prestiti familiari abbastanza importanti per rimediare alle loro carenze.
Concludo chiedendo di condividere il mio messaggio, perchè di queste realtà ad oggi ve ne sono parecchie e il Sig. Luca Gallo non è altro che uno dei tanti che lucrano sul lavoro altrui: è soltanto un prenditore»[2].
L’azione rilanciata sulla pagina de Il Padrone di Merda ha avuto comunque un primo risultato: dopo la diffusione mediatica del video, dopo un anno di silenzio, la M&G di Luca Gallo ha scritto sulla pagina stessa chiedendo un incontro al lavoratore che li ha messi alla berlina.
Le condizioni poste dai ragazzi promotori dell’iniziativa sono state chiare, infatti l’incontro deve essere pubblico, le proposte di M&G dovranno essere messe nero su bianco e non ci deve essere nessun compromesso al ribasso: «nessun accordino tanto per fare gli accordini: Luca Gallo deve sganciare tutti i soldi e tutti i contributi non versati. Subito, soprattutto. E con relazione pubblica. Loro devono dire pubblicamente quello che hanno fatto».
Un altro episodio raccontato in anonimato su un video nei social del PDM riguarda, ancora, la ditta di Luca Gallo, con stavolta da sfondo la Liguria ed una lavoratrice con mansione stagionale nel settore alberghiero, sottoscrittrice di un contratto da Aprile ad Ottobre 2019. In questo caso, le somme non corrisposte coincidono con il Tfr, gli assegni familiari, e la Naspi – alla quale la donna non ha potuto accedere perché sono state dichiarate 5 settimane di lavoro invece di 6 mesi (il signor Gallo pare non abbia versato i contributi). «Ho fatto vertenze contributive e retributive tramite patronato, ma senza buon esito. Mi sono poi rivolta a un legale e, finalmente, la parte retributiva (a rate) è stata erogata».
Ma, come scrivono i ragazzi protagonisti di questa forma di lotta, i PDM hanno tanti volti. Interessante perciò il racconto, rilasciato sulla pagina Cosentina del PDM, di una studentessa circa la sua esperienza durante gli studi e la situazione di precarietà ed incertezza che si trova davanti una volta laureata, e che accomuna tanti studenti calabresi e non solo:
«Nel mio caso il settore coinvolto è l’università, alcuni professori di uno specifico dipartimento dell’Università della Calabria. A loro non chiedevo soldi ma la possibilità di credere che avrei potuto realizzarmi nella mia terra attraverso quello che ho studiato, e loro me l’hanno distrutta. Ho effettuato un tirocinio, ovviamente non retribuito, presso Bologna. Durante questo periodo ho svolto delle ricerche di tesi importanti e mentre lo facevo inoltravo file e scansioni alla professoressa. Tale professoressa, che diceva di accogliere tutti come “figli” nel suo studio e ci dava soluzioni per poter sfruttare al meglio le potenzialità del nostro territorio e di non abbandonarlo, nel frattempo stava lasciando l’università della Calabria senza dirmi nulla. Ho fatto delle ricerche invano, ma non mi sono buttata giù.
Ho continuato, affrontando un’altra docente e proponendo a lei un nuovo lavoro di tesi. Inizio le ricerche, spostandomi nuovamente per fare tutti gli approfondimenti dovuti e recuperare materiali in archivi e biblioteche. Che succede a questo punto? I rapporti con lei si interrompono per altri motivi, ogni ricevimento era un trauma, dovevi essere a sua immagine e somiglianza altrimenti non venivi accettato da lei. Mi sono sentita ferita dal punto di vista umano e non ho voluto continuare a lavorare con lei, perdendo così un lavoro di tesi importante, da pubblicazione. Non ho potuto riproporlo perché lei mi ha chiesto di non farlo. Detto questo, ad oggi ho terminato i miei studi, ho fatto un nuovo lavoro di tesi e sono andata avanti.
Lo sfruttamento della persona e i PDM nel nostro territorio non sono unicamente presenti nei vari call center, nelle agenzie di somministrazione, nei vari lavori in nero, ma anche all’interno stesso dell’università. Puoi avere tutta la buona volontà di questo mondo, ma finisci per essere una loro burattina. Il motto è “continua a studiare, fai master e corsi di alta formazione”, di conseguenza per sperare di dover lavorare ti costringono a studiare tutta la vita. Io racconto la mia esperienza semplicemente da tesista e laureanda ed anche se sognavo un ipotetico dottorato non oserei continuare qui. È risaputo, anche tra noi studenti, che “tanto si sa chi deve entrare” e tutti noi vediamo come veniamo sfruttati, e non solo a livello intellettuale».
Dal mondo universitario a quello delle vendite al dettaglio. Riportiamo l’attacco frontale della pagina Bolognese ad una delle note catene di abbigliamento della città, Den Store, attraverso le parole di una loro ex dipendente:
«L’anno scorso ho lavorato presso un negozio di abbigliamento a Bologna, una catena abbastanza conosciuta. Il punto vendita si chiama Den Store, l’azienda Unison S.r.l. Oltre ad essere un ambiente di lavoro pessimo, gli stipendi erano sempre in ritardo, anche di 2 settimane. Mi sono subito insospettita e ho indagato un po’ e, non a caso, la responsabile si arrabbiava se ci mettevamo in contatto con l’ufficio del personale per informarci. Terminato il rapporto di lavoro non vedo arrivare l’ultima mensilità. L’ufficio del personale ignora sistematicamente le mie email. Dopo 3 mesi scopro che l’azienda è a rischio e ha stabilito un concordato con un commissario giudiziale. Nel frattempo continuano ad assumere altre persone.
L’azienda non comunica con me né con le altre ex colleghe. Nessuna comunicazione scritta formale né aggiornamenti sulle date pattuite col tribunale. Sono riuscita a mettermi in contatto con l’ufficio del personale ma sono sempre sul vago e mi trattano come se rompessi le scatole. Mi dicono una data di scadenza che poi viene rimandata 2 volte. Ora, a causa della pandemia, ovviamente è tutto di nuovo posticipato. A distanza di un anno devo ancora vedere la mia ultima mensilità di lavoro. Mi sono recata dai sindacati 2 volte ma sinceramente non mi hanno dato chissà quali garanzie, mi hanno solo chiesto una somma cospicua per essere seguita».
È evidente che le iniziative del PDM hanno il merito di aver riportato in auge, in maniera sistematica, il metodo dalla denuncia politica frontale, diretta e senza censure, dei soggetti responsabili oggi dell’utilizzo degli innumerevoli escamotage che lo stato di diritto e la sua (scarsa) capacità e volontà di controllo offrono, per fare profitto sulla pelle dei meno tutelati.
Un metodo che combina l’attacco “fisico” attraverso rimostranze in strada con quello digitale e “giornalistico”, rimandando al mittente come un boomerang l’assunto per cui oggi il lavoratore è una figura anonima che deve restare tale mentre l’imprenditore è il solo attore (positivo) dei risultati di produzione. In questo caso, e nella maggior parte delle iniziative, l’imprenditore resta protagonista, senza nascondimenti, delle azioni (e delle malefatte) descritte, mentre il lavoratore spesso resta anonimo ma solo perché protegge se stesso e rappresenta adesso l’intera sua categoria
Riportiamo, alcune delle testimonianze che fanno da sfondo alle azioni dimostrative, di cui segnaliamo alcuni video:
https://www.facebook.com/113338983792500/videos/780528949420298/?epa=SEARCH_BOX
https://www.facebook.com/pdm.bologna/videos/187866309200176/
https://www.facebook.com/pdm.bologna/videos/952002288574721/
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[1] https://www.ilpadronedimerda.it/
[2] https://www.facebook.com/113338983792500/videos/682672715621764/?epa=SEARCH_BOX