Chef Express: il maquillage nasconde la macelleria sociale
Tutti conoscono il bar Chef Express di Roma Termini. Il più grande della stazione e uno dei più grandi di questa catena di bar e ristoranti che vanta circa duecento punti vendita in Italia e altrettanti all’estero, per un totale di settemila dipendenti.
In quello di Termini sono circa duecento i lavoratori e le lavoratrici impiegati. Donne e uomini adulti, alcuni anche anziani, divisi tra cucina, tavoli, banconi. Un lavoro spesso duro e stressante che però assicura un salario dignitoso e un po’ di certezze. Di punto in bianco cento di loro rischiano di perdere tutto. Una parte del locale sta per essere chiusa e loro mandati a casa.
Alla base ci sarebbe l’operazione di “maquillage” del gruppo Grandi Stazioni, proprietario del locale, che vuole sostituire il punto vendita con una boutique di Versace. E la catena di ristorazione, che tra l’altro è solo una delle tante posseduta dall’enorme gruppo Cremonini, di cui è parte, non ha fatto una piega. Anzi, ha ripreso letteralmente le parole dell’affittuario e con queste giustificato la procedura di licenziamento collettivo. E così, per un’operazione di “maquillage”, cento persone dovranno essere mandate a casa. Persone che potrebbero essere reimpiegate facilmente in altri punti vendita di questo gigantesco gruppo dal fatturato di oltre 4 miliardi l’anno. Possibilità che però non è stata neanche contemplata dall’azienda, che si è limitata a comunicare il fatto senza concedere ai lavoratori neanche un momento di confronto. Il sospetto è che ne stia approfittando per fare fuori una manodopera anziana e relativamente tutelata, da sostituire con giovani precari, spesso assunti attraverso agenzie interinali, come succede già in altri punti vendita.
Di fronte a questa situazione è cominciata la mobilitazione che, nella giornata di Giovedì 17, ha visto una prima protesta sotto al Ministero dei Trasporti. Tra i presenti, oltre ai lavoratori e diversi loro familiari, dei rappresentanti dell’Assemblea dei Lavoratori Combattivi di Roma e del Lazio e alcuni studenti del Fronte della Gioventù Comunista.
Ne parliamo con Giovanni, lavoratore e delegato CUB del gruppo vendita che abbiamo conosciuto nella prima azione di lotta intrapresa da lui e i suoi colleghi.
Ciao Giovanni, da quanto tempo lavori allo Chef Express di Termini e di che tipo di lavoro si tratta?
Lavoro lì da circa vent’anni, con ritmi devo dire abbastanza pesanti, più da catena di montaggio che da bar. Stiamo parlando di Termini, la stazione più grande di Roma… considerate che mediamente al giorno passano cinquecentomila avventori! Abbiamo turni che iniziano alle 4 del mattino per i magazzinieri (ma a volte anche per i baristi) e il locale non chiude prima di mezzanotte. E si lavora tutti i giorni, anche a Natale, a Capodanno. Non ci sono giorni di ferie obbligati. Nonostante questo l’azienda preferisce assumere con contratti part-time.
La famosa “flessibilità”…
Esattamente. Con un contratto part-time ti posso impiegare quattro ore un giorno, non chiamarti un altro, fartene fare sei il giorno dopo aggiungendo degli straordinari. Insomma, l’azienda può tirarti come un elastico.
Tu però sei full-time.
Sì, sono uno degli ultimi full-time a tempo indeterminato. Ho fatto vari anni di contratti stagionali, poi due di formazione-lavoro (quella sostituita dall’apprendistato) e infine ho avuto il tempo pieno. Questo grazie a un ottimo contratto integrativo aziendale che prevedeva la conversione a tempo pieno di cinque part-time ogni sei full-time che uscivano dall’azienda. Era una clausola molto favorevole per i lavoratori.
E ora ve l’hanno tolta?
Sì e non solo quella. Negli ultimi dieci anni abbiamo perso diversi diritti che avevamo conquistato nel nostro punto vendita, con la complicità di CISL e UIL, che hanno firmato tutto.
Al presidio però abbiamo visto una consistente presenza della CUB.
Proprio per questo! CISL e UIL hanno perso consenso continuando a piegarsi ai ricatti aziendali, mentre noi da quando siamo nati portiamo avanti un lavoro certosino e quotidiano a contatto con i lavoratori.
Come siete nati?
La nostra è una RSA di vecchia data, quando sono entrato io nel 2001 già c’era. Erano ex-delegati della CGIL, che uscirono per aderire alla CUB in critica del sindacato confederale. Io e altri compagni ne abbiamo raccolto e curato l’eredità. Abbiamo preso il posto della CGIL, che infatti non c’è più. Rimangono CISL e UIL e un sindacato autonomo fondato da loro ex-dirigenti di nome Smart CONFINTESA. Già il nome dice tutto…
Parliamo ora degli altri punti vendita. Ad esempio Tiburtina, o anche Fiumicino, ecc. Com’è la situazione lì, che tu sappia?
Conosco la situazione del punto vendita di Tiburtina, dove siamo l’unica organizzazione sindacale presente. Lì la situazione per l’azienda è quasi ideale, visto che la manodopera è quasi tutta part-time, circa l’80%, e a tempo pieno sono solo direttori e responsabili. Da Ciampino e Fiumicino ci arriva solo qualche notizia ogni tanto, ma la situazione sembra abbastanza tranquilla dal punto di vista sindacale.
Ma è vero però che sta aumentando l’uso di manodopera impiegata attraverso agenzie interinali?
Sì è così, ma mi sembra purtroppo in linea con il trend generale del settore del commercio e del turismo.
Tutto questo secondo te c’entra qualcosa con i motivi per cui vogliono chiudere il vostro punto vendita?
È chiaro che per l’azienda il punto vendita di Termini rappresenta un’anomalia, ce l’hanno proprio detto. Tanti lavoratori full-time, a tempo indeterminato, con contratti di terzo livello e sindacalizzati, ben di più degli altri punti vendita. Sicuramente l’azienda sta approfittando della ragione “oggettiva” della chiusura del locale per poterci fare fuori in blocco con un licenziamento collettivo. D’altronde sono manovre che aveva già anticipato da alcuni licenziamenti individuali.
Che tipo di licenziamenti?
Si tratta di licenziamenti disciplinari. Un trucco sempre più diffuso, in cui l’azienda assolda degli investigatori privati che si travestono da clienti per scoprire i colleghi che non fanno lo scontrino e accusarli così di trattenere gli incassi per loro. Guarda caso quasi tutti quelli colpiti da queste misure erano colleghi full-time a tempo indeterminato…
Qual è stata la vostra reazione allora?
Innanzitutto chiamare quel presidio in cui ci siamo incontrati. Eravamo sotto al Ministero dei Trasporti e accanto alla sede del gruppo FS per denunciare il gruppo Grandi Stazioni, che è comunque il responsabile della decisione di chiudere il punto vendita e quindi loro sono la causa oggettiva dei licenziamenti.
In più c’è il problema che Termini è ormai proprietà privata e il decreto sicurezza di Salvini punisce gravemente chi la viola.
Oltre a questo avete intenzione di proclamare sciopero?
Lo sciopero è stato già dichiarato durante lo svolgimento dell’iniziativa e rimaniamo in stato di agitazione. Probabilmente proclameremo uno sciopero a oltranza nei prossimi giorni.
Al presidio oltre a noi c’erano anche lavoratori di altri posti di lavoro venuti a portare la loro solidarietà. Fanno parte, come noi, di un’assemblea che riunisce diverse vertenze in un percorso di lotta condiviso . L’11 Ottobre a Roma avremo un nuovo incontro, a cui siete ovviamente invitati a partecipare.
Quanto è importante secondo te in un momento di crisi come quello attuale superare la frammentazione sindacale e vertenziale per rispondere agli attacchi che sempre più lavoratori stanno subendo?
È molto importante. Sono stato molto contento di vedere esponenti di altre organizzazioni sindacali di base venire a supportare il nostro presidio e secondo me è importante superare le barriere che ci dividono. Il discorso è diverso nel caso dei sindacati confederali però, perché al di là della buona fede di molti loro iscritti, le loro segreterie sono legate mani e piedi agli interessi dei padroni attraverso fondi sanitari, fondi pensionistici e gli enti bilaterali. Di fatto sono strutture irriformabili.