Dove va il sindacalismo conflittuale di base? Intervista a Massimo Betti in occasione del secondo congresso nazionale di SGB.
Nei giorni del 19 e 20 settembre, a Bologna, si sono svolti i lavori del secondo congresso nazionale del Sindacato Generale di Base (SGB). Al congresso sono stati invitati e sono intervenuti diversi rappresentanti del sindacalismo di base e dell’opposizione interna alla CGIL. A margine della discussione assembleare, partecipata di lavoratori e delegati provenienti dalle regioni in cui l’organizzazione sindacale è maggiormente strutturata, abbiamo intervistato il componente dell’esecutivo nazionale, Massimo Betti.
Come arriva SGB al suo secondo congresso, qual è lo stato dell’organizzazione e quali sono le tue impressioni?
Intanto questo è un congresso ordinario perché quando siamo nati, da statuto, abbiamo stabilito che ogni tre anni si va a congresso. Congressi che sono inframezzati da conferenze d’organizzazione, che abbiamo fatto un anno e mezzo fa. Nell’ultima conferenza d’organizzazione avevamo preso la decisione di tentare in maniera molto forte l’entrata dentro alla CUB (Confederazione Unitaria di Base). Questo progetto è fallito, non c’erano le condizioni soggettive per questa fusione. Non c’erano le condizioni perché sostanzialmente i cambiamenti che noi abbiamo chiesto alla CUB, ovvero di diventare un soggetto di tipo generale e confederale non sono avvenuti, permane un modello vecchio, che andava bene forse 20 anni fa, che ora è politicamente inutile. Inoltre c’è stato un atteggiamento, ad essere benevoli, refrattario da parte del ristretto gruppo dirigente che realmente comanda, rispetto alle nostre richieste di intervento per episodi molto pesanti e per noi inaccettabili contro i quali ancora combattiamo in diverse situazioni.
Il ragionamento di chiudere questo percorso non è stato “di pancia”, ma l’abbiamo deciso con molta sofferenza e con una discussione molto lunga all’interno della nostra organizzazione. Alcune strutture hanno deciso comunque di entrare in CUB. Nonostante questo noi arriviamo a questo congresso in crescita sia dal punto di vista numerico che dal punto di vista della presenza nei territori e con una rinnovata capacità di azione che qualche peso di troppo oggettivamente frenava. Ad oggi siamo presenti in una maniera organizzata, e quindi con la capacità di fare sindacato anche territoriale, in dieci regioni, con una presenza in sviluppo anche in altre regioni. Al congresso uno dei due punti centrali è proprio quello di dare strumenti e organizzazione alle strutture territoriali e alla struttura nazionale per proseguire uno sviluppo che con l’idea di entrare in CUB si era fermato, diciamo ormai da due anni.
Siamo alla fine dei congressi territoriali, la partecipazione è stata ottima, soprattutto dal punto di vista qualitativo, perché abbiamo trovato lavoratrici e lavoratori, compagne e compagni che hanno voglia di costruire questo percorso e di dare gambe allo sviluppo di SGB. Dopodiché c’è tutto un ragionamento da fare che è più sul piano politico, che parte cioè dal contesto in cui viviamo.
Quali sono i rapporti di SGB con gli altri sindacati di base? Qual è lo stato del sindacalismo di base oggi?
Intanto partiamo da quella che è la nostra considerazione, cioè il bisogno di unità. Il fatto che noi abbiamo chiuso il percorso di entrata di SGB dentro la CUB, non vuol dire che non poniamo al centro l’unità del sindacalismo conflittuale e di base, tant’è che questo è il secondo punto strategico che discuteremo dentro al congresso. Al quale fra l’altro abbiamo invitato una serie di queste organizzazioni conflittuali, in particolare quelle con cui noi ci ritroveremo il 27 di questo mese (settembre ndr) in un’assemblea nazionale che vuole appunto lanciare l’idea di unità d’azione per quello che riguarda alcune parole di carattere generale, in una fase storica in cui i lavoratori stanno subendo pesantemente l’effetto di una crisi di cui vediamo adesso solo l’inizio e forse nemmeno.
Ognuno guarda il proprio ombelico? Il sindacalismo di base come esperienza storica si è conclusa. Così come si è conclusa l’esperienza del sindacato concertativo.
Il sindacato concertativo, CGIL-CISL-UIL in particolare, si sono trasformati in sindacati che non si possono che definire complici e che stanno riproponendo una complicità sulla pelle dei lavoratori ad esempio col nuovo patto sociale in discussione in questi giorni con il padronato e che si chiamerà “Patto per l’Italia”.
Il sindacalismo di base deve fare i conti purtroppo con le proprie ferite, con una sconfitta storica complessiva del movimento operaio che l’ha visto arretrare rispetto ad una veemente chiarezza di intenti e di pratica da parte del padronato che ha portato avanti i suoi interessi esclusivi che sono interessi contro la classe lavoratrice e li ha portati avanti vincendo purtroppo anche sul piano politico e culturale, grazie ad una classe dirigente politico-istituzionale del nostro Paese che li ha sostenuti appieno. Il fatto che noi usciamo da una sconfitta storica non vuol dire che siamo morti, tutt’altro: il sindacalismo di base nelle sue espressioni variegate è vivo, lo sta dimostrando perché produce iniziative. Il percorso per ritrovare un terreno di unità nelle parole d’ordine, sulle quali costruire un’altra esperienza, deve avere come obiettivo principale quello di mettere in piedi un ciclo di lotte senza le quali l’arretramento della classe lavoratrice rimarrà tale. E questo percorso probabilmente è un percorso lungo, difficile, accidentato che in molti però si sono detti di voler fare. Siamo all’inizio. Ciascuno ovviamente privilegia la propria esperienza e quello che ha maturato nelle pratiche quotidiane in questi decenni, quindi c’è questa difficoltà. Tutto sta nella soggettività delle varie organizzazioni nel credere o meno nella possibilità e nella necessità soprattutto, di un percorso unitario, che non vuol dire lavorare per costruire un nuovo sindacato oggi. Vuol dire lavorare per dare le gambe a un ciclo di lotte che riesca a contrapporsi all’attacco ai lavoratori e trasformi questa difesa in controffensiva. È facile da dire, difficile da praticare. Noi ci proviamo. Il nostro congresso in parte è anche un passaggio importante di discussione e di decisione in questo senso.
Che tipo di fronte unico vedremo, quale sarà il rapporto tra sindacato e politica?
Noi su questo abbiamo maturato una chiarezza di intenti, diciamo teorica, che può essere discutibile come tutto, ma che per noi rappresenta un tratto identitario. Cioè noi siamo un sindacato e in quanto tale facciamo politica sindacale. Nella politica sindacale chiaramente ci sta tutto ciò che riguarda la società, tutto ciò che riguarda gli aspetti della vita della classe. Nei luoghi di lavoro ma non solo perché, ad esempio c’è quasi un 60% di disoccupazione giovanile, e più in generale un tasso di disoccupazione enorme nel nostro Paese. L’occupazione è un’occupazione intermittente e precaria, perché molta occupazione non è nemmeno classicamente salariata ma è definita da altri sistemi con “finti padroncini”, basti pensare ad esempio a una parte della circolazione delle merci: in gran parte la corrieristica è basata su questo sistema. Oppure i call center, più in passato che adesso, sono basati su un sistema di finte partite iva. Quindi noi dobbiamo fare purtroppo i conti con la frammentazione che la classe ha subito in tutti gli aspetti della propria vita lavorativa e sociale finanche culturale di questi decenni.
Sulle forze politiche e partitiche noi abbiamo maturato la convinzione della necessità di una indipendenza del sindacato, ma per un motivo semplice, perché al di là delle ideologie che ognuno di noi può avere, questa sconfitta storica di cui dicevo prima è una sconfitta che colpisce in primis chiaramente la sfera squisitamente politica mentre Il sindacato si salva parzialmente perché è immerso quotidianamente nella contraddizione capitale-lavoro che senza un cambio di società è permanente.
Io credo che per ricostruire un’ipotesi di rappresentanza degli interessi di classe sul piano politico, qualsiasi essa sarà o qualsiasi essa sia già oggi per ognuno di noi, serva necessariamente un blocco di opposizione di classe forte di tipo sindacale, sociale e qui servono energie ed impegno.
Ripeto, per me il sindacato è nel luogo di lavoro ma anche fuori dal luogo di lavoro. Come facciamo a non tener conto di tutto l’aspetto del welfare ad esempio e lottare per la difesa e l’espansione di questo che riguarda evidentemente anche una parte di popolazione che non viene intercettata direttamente come lavoratrice. Oppure come facciamo a pensare ad una lotta sindacale generalmente di classe se non si pensa alla lotta per la casa, alla lotta per i diritti primari. Su quello noi ci confrontiamo con tutti ma con l’attenzione di non confondere i piani e soprattutto attenzione a non trasformare i soggetti sindacali in soggetti politici a tutto tondo. Questo non per motivi ideologici o pansindacalisti ma perché le scorciatoie non pagano ed oggi non servono a nulla se non ad incamerare ulteriori sconfitte. Non so cosa riusciremo a produrre, non so che contributo SGB riuscirà a dare al tentativo di costruire un ciclo di lotte, di sicuro so che i passi vanno fatti uno alla volta, vanno verificati sul piano dei risultati e della progettualità politica e se necessario si modifica la traiettoria per raggiungere gli obbiettivi strategici che rimangono tali. Non a caso il nostro congresso ha come sottotitolo “passo dopo passo”. Non possiamo pensare di fare un passo e poi di metterci a correre immediatamente, perché nel momento in cui facessimo quello senza alcuna verifica ed elaborazione teorica, avremmo già perso la strada.
Per concludere, quali sono le parole d’ordine che ritieni centrali per la classe lavoratrice del nostro Paese oggi e non solo?
Per quello che riguarda i paesi a capitalismo avanzato non c’è dubbio: c’è un vecchio slogan che è di un’attualità spaventosa, che i padroni cercano di utilizzare contro di noi, ribaltandone il significato, e questo slogan è: “lavorare tutti, lavorare meglio e a parità di salario”. Dove parità va sostituito con la parola “a maggiorazione di salario” perché oggi i salari sono anche nel nostro Paese vergognosi. E quindi su questa parola d’ordine io credo che bisogna costruire un movimento di forte opposizione perché altrimenti ci toccherà subire la “rivoluzione” di Bonomi, il capo di Confindustria che vorrebbe ritornare al cottimo.
Al congresso nazionale di SGB è pervenuto il messaggio del PAME greco, affiliato alla Federazione Sindacale Mondiale, che riportiamo in traduzione:
Al Congresso di SGB
a nome del PAME vi auguriamo tutto il successo per i lavori del vostro congresso. Esprimiamo la nostra solidarietà alle migliaia di persone perse durante la pandemia in Italia.
In questo periodo difficile è importante per la classe operaia continuare la lotta per i suoi diritti e per la sua vita.
Il PAME in Grecia continua la sua lotta e le sue iniziative sotto lo slogan “la classe lavoratrice ha pagato molto, non pagheremo più” per i profitti dei capitalisti.
Lottiamo per la ricostruzione del movimento operaio, il rafforzamento della Federazione sindacale mondiale in tutto il mondo.
Per questo è importante rivelare il ruolo pericoloso di organizzazioni come la Confederazione europea dei sindacati, che lavora per gli interessi dell’UE e delle multinazionali.
In questi tempi l’arma dei lavoratori è la loro organizzazione, sindacati forti e massicci, all’interno dei luoghi di lavoro, le nostre armi sono la solidarietà e l’internazionalismo. Auguriamo tutto il successo al vostro congresso.