Una riflessione sulla giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne
È un fenomeno quello della violenza contro le donne che da sempre tormenta e svilisce ogni epoca. Un fenomeno complesso nelle cui cause è possibile individuare la sopraffazione, l’individualismo sfrenato, l’oppressione e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo caratteristici di questo sistema economico e sociale che ha da sempre utilizzato la violenza contro le donne, sotto le sue svariate forme e sfumature, come forma di punizione e controllo sociale.
Il periodo di pandemia che stiamo vivendo ha inciso in maniera significativa anche su questo fenomeno, costringendo in casa – e con una sanità troppo al collasso per essere davvero pronta ad accogliere al pronto soccorso – una donna vittima di violenza. Si pensi anche alle fortissime limitazioni sulle interruzioni volontarie di gravidanza che si sono avute durante le fasi più acute del lockdown e che stanno persistendo tutt’oggi.
Secondo le statistiche i femminicidi sarebbero triplicati durante il periodo di chiusura totale: sono 44, uno ogni due giorni, tre volte più che nel resto dell’anno.
Chiaramente le restrizioni e le misure che cercano di contenere la pandemia si abbattono inevitabilmente sulle famiglie e sul carico di lavoro a carico delle donne: basti pensare alla gestione della DAD ed alla chiusura dei servizi più specifici. Sempre più donne, come anche uomini, si sono visti ridurre l’orario di lavoro o peggio sono stati licenziati, e con lo sblocco dei licenziamenti la situazione non farà altro che peggiorare.
Solamente nel 1999 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha designato il 25 novembre come Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, mentre in Italia è stata istituita solo da una decina di anni, ed è anche per merito dei centri antiviolenza e di Casa delle donne che questa giornata ha assunto una certa visibilità con rilievo politico e mediatico.
È innegabile come la politica dei palazzi e i mass media abbiano affrontato l’argomento in questi anni: se la legge sullo stalking, la Convenzione di Istanbul ed il Codice Rosso sono stati un piccolo passo in avanti, moltissimo rimane ancora da fare e nel frattempo le donne continuano a subire le peggiori vessazioni che non di rado sfociano nell’omicidio. Ma come si può non pensare quanto certe forme di interessamento siano sostanzialmente tradite di fronte alla mancanza di fondi statali stanziati per i centri antiviolenza, agli ingenti ed indiscriminati tagli ai servizi sociali che si occupano direttamente dell’intercettazione prima e della salvaguardia dopo di quelle donne che subiscono le più becere violenze? Come si può non notare quanto le politiche di prevenzione e di promozione di una cultura volta al rispetto della donna non siano mai state messe seriamente in campo, quasi in una prospettiva in cui il problema sia di rilevanza privata e non pubblica? Inoltre emerge chiaramente quanto il personale specializzato che dovrebbe occuparsi di tali tematiche non venga sufficientemente supportato, soprattutto da un punto di vista formativo e di mezzi.
La politica si preoccupa di affrontare il problema attraverso leggi che vanno ad agire sugli effetti e non sull’eliminazione delle cause, inasprendo le pene, in un’ottica quindi di repressione sociale.
Il 25 novembre rischia di diventare un’altra giornata di commemorazione delle vittime e di ricorrenza, nella quale una volta l’anno si parla falsamente di sensibilizzazione e di informazione, diventando così l’ennesima occasione per i politicanti per fare promesse con sfoggio di retorica e di racimolare voti, dando la parvenza mediatica che il problema sia parte dell’agenda politica; si sprecheranno nel suggerire e promettere forme di prevenzione e di risoluzione del problema senza spendere neppure una riflessione sulla precarietà e sulla mancanza di reddito che rende la donna da sempre economicamente dipendente, senza considerare quanto possa incidere la crisi su questa epidemia sociale, quanto la donna sia soffocata dai tagli alle spese sociali che si riversano inesorabilmente sulle proprie forze e responsabilità.
Non bisogna permettere che ciò accada e soprattutto non è accettabile che questa emergenza sociale sia analizzata come un semplice fattore culturale, pur rilevante, che è possibile sradicare attraverso una massiccia dose di campagne e manifesti.
Non è neppure rivendicando un reddito di emancipazione che si ottiene davvero la liberazione della donna dalla sua doppia oppressione, che questo stesso sistema economico sostiene e alimenta.
Occorrono vere politiche occupazionali che agevolino la presenza nel mondo del lavoro delle donne, che si concilino il più possibile con il rispetto dei tempi di vita e di cura delle famiglie. È necessario investire nei servizi in maniera efficace e non meramente assistenzialistica, ampliando e sostenendo il lavoro dei Centri Antiviolenza, potenziando i servizi sociali territoriali attraverso risorse concrete ed ampliamento del personale.
Occorre prendere coscienza che la violenza contro le donne è uno dei sintomi di questo sistema economico e sociale, quindi un problema strutturale che comprende tutte quelle forme di discriminazione e violenza di genere che sono in grado di annullare la donna nella sua identità e libertà.
Guardando il problema da questo punto di vista non si può non comprendere che solo agendo nella modificazione delle condizioni di vita si può sradicare una cultura colma di oppressione e di violenza contro le donne.