Il vaccino finanziario
Come ha scritto l’economista greco Costas Lapavitsas, “le linee generali dello sforzo vaccinale in Occidente sono quindi chiare: i vaccini sono stati sviluppati attraverso la concorrenza tra le grandi imprese farmaceutiche, attingendo ai laboratori di ricerca biomedica e alle università, sulla base di consistenti finanziamenti pubblici.”1 Una socializzazione dei costi e privatizzazione dei profitti che rappresenta il rovescio della privatizzazione dei profitti e della socializzazione delle perdite a cui ci hanno abituato in tempi di crisi i salvataggi di banche e istituti finanziari in nome dello slogan “too big to fail” (troppo grandi per fallire). Riflette quello stesso rapporto simbiotico che lega gli stati all’apice della piramide imperialista agli andamenti dei mercati azionari, dal cui destino dipendono le sorti dei bilanci pubblici (che pur da questi si fanno strozzare), che al contempo, insieme a sempre più spregiudicate manovre monetarie, garantiscono la stabilità dei primi. Anni di iniezioni di liquidità hanno permesso una crescita degli indici di borsa sempre più slegata dagli indicatori dell’economia “reale”. Dopo un crollo iniziale, i listini si sono ripresi per poi continuare a salire durante tutto quest’anno di pandemia. Il terribile 2020 non è stato così terribile per gli azionisti. I profitti delle multinazionali del vaccino, che hanno annunciato i successi dei propri trial clinici ai mercati finanziari prima ancora che alle autorità sanitarie, facendo impennare le proprie quotazioni, partecipano a questo grande momento di euforia finanziaria.
Un’euforia che al contempo rischia di farla andare fuori controllo. Tra tutti gli indici in questi mesi è stato proprio il NASDAQ, quello dei titoli tecnologici (dove sono quotate Moderna e Novavax, due dei principali produttori di vaccini) a registrare i valori più impressionanti. L’impennata dell’ultimo periodo, che l’ha portato a record mai visti, sta moltiplicando le voci di una “tech bubble”, una bolla speculativa sui titoli high-tech2. Con un livello di indebitamento pubblico e privato alle stelle e politiche monetarie che ormai hanno utilizzato praticamente tutti gli strumenti a disposizione, l’esplosione di un’ulteriore bolla (che potrebbe avvenire anche su altri mercati, come quello immobiliare) sarebbe catastrofica. Per questo da mesi si parla di una “grande rotazione” (a cui Il Sole 24 Ore ha dedicato un’apposita sezione del sito), un riposizionamento dai titoli ad alta crescita ma potenzialmente speculativi (come Tesla, il cui prezzo delle azioni vale centinaia di volte i suoi utili) ai titoli più stabili, dal valore sicuro, più ancorati alla cosiddetta economia reale. Ma perché questo accada c’è bisogno che l’economia reale riparta. C’è bisogno che la gente torni nei posti di lavoro e nei luoghi del consumo. Altrimenti non bastano neanche le migliaia di miliardi di dollari di stimoli del governo USA e i centinaia di miliardi di euro delle misure UE. È questo allora quello che il mondo economico e finanziario si aspetta davvero dal vaccino3. Ed è su questo tipo di aspettative che l’OMS spera di far leva quando insiste sui danni non solo sanitari, ma anche economici di una pandemia che si protraesse a causa delle logiche ristrette che limitano la cooperazione medica, scientifica ed economica internazionale.
Ma come hanno dimostrato le misure di contenimento della pandemia portate avanti finora in Europa e Nordamerica, alle classi dirigenti dei paesi più ricchi non serve estirpare il morbo alla radice, cosa che, come hanno dimostrato la Cina, il Vietnam, la Nuova Zelanda, sarebbe possibile anche senza un vaccino. Serve rallentarlo quel che basta a non far collassare il sistema sanitario e permettere alla gente di andare a lavorare nei luoghi chiave della produzione. Chiaramente in mezzo c’è un mondo di sfumature e di interessi in conflitto. In Italia si va dai falchi come il presidente di Confindustria Bonomi, ai tentativi del Governo Conte di evitare il collasso sanitario e un massacro sociale troppo destabilizzante, controproducente per la stessa borghesia che rappresenta. In generale si prova a non andarci troppo leggeri, anche frenando interessi influenti che non hanno problemi a lasciar morire la gente (“se qualcuno muore, pazienza” come ha detto l’ex presidente di Confindustria Macerata, costretto a dimettersi per aver svelato quello che pensa l’intera sua categoria). Soprattutto dopo che aver ritardato a marzo la zona rossa nel cuore industriale del Paese ha costretto a un lockdown molto più duro e duraturo su scala nazionale e suscitato un’ondata di protesta nelle fabbriche. Negli Stati Uniti di Trump, invece, il piano è stato quasi dichiaratamente eugenetico, il virus viene lasciato libero di falciare la popolazione, soprattutto le fasce più deboli e povere4. In ogni caso il quadro di fondo è lo stesso e la campagna di vaccinazione, più che rappresentarne un momento di novità radicale, è il prosieguo di questa logica con altri mezzi. A parità di sale d’attesa e obitori pieni, permette all’economia una maggiore ripartenza. A parità di ripartenza economica, svuota relativamente sale d’attesa e obitori a seconda degli indirizzi del governo di ciascun paese. A spese del resto del mondo, in gran parte privo delle scorte vaccinali sufficienti, UE, Canada, Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda si sono assicurati dosi pari a quasi due o tre volte la propria popolazione5. E parzialmente del proprio, nel caso emergesse nella parte del mondo priva di immunità una mutazione capace di aggirare la barriera vaccinale e far tornare il virus in quella immunizzata. Ma anche in quel caso però, le piattaforme già sviluppate per gli attuali vaccini potranno probabilmente essere convertite in tempi rapidi per lo sviluppo di nuovi6 (lasciando ancor più indietro il resto del mondo). Un’operazione che lascerebbe in quel lasso di tempo nuovi morti, è vero. Ma anche nuovi profitti.
I vaccini emergenti
L’amministrazione Trump ha espresso nella maniera più sfacciata l’arroganza di questo potere abbandonando nel pieno della pandemia l’Organizzazione Mondiale della Sanità di cui gli Stati Uniti erano il principale finanziatore. Definendola “un burattino della Cina” per la frustrazione di non esserne gli incontrastati burattinai, gli USA non hanno neanche aderito al progetto COVAX, unico grande paese al mondo a esserne fuori (insieme alla Russia che, come vedremo, ha accordi con diversi paesi per distribuire il suo vaccino). Piuttosto, all’insegna dello slogan “America first”, hanno avviato l’operazione “Warp speed”, con cui hanno riempito di centinaia e centinaia di milioni di dollari le tasche delle aziende farmaceutiche al fine di velocizzare lo sviluppo del vaccino e assicurarsene le scorte. Veri no-vax: in patria quando si tratta di riceverlo, all’estero quando all’opposto si tratta di lasciarlo accessibile agli altri. “Warp speed” è un termine che definisce la velocità iperspaziale nella serie tv Star Trek. La classe dirigente nordamericana preferisce credere alle favole hollywodiane con cui ha rimbambito il proprio popolo, piuttosto che ai moniti dell’OMS per cui più che la supervelocità, ad assicurare l’efficacia del vaccino contribuisce la sua diffusione globale. Con il celebrato ritorno degli USA dentro l’OMS, il nuovo presidente Joe Biden muterà probabilmente alcune scelte fatte dal suo predecessore ma di certo non metterà in discussione la sostanza di quel nazionalismo vaccinale che la stessa Organizzazione condanna, fatto di accesso prioritario ai vaccini e di tutela dei brevetti. Biden al massimo si comporterà in maniera simile all’Unione Europea, che è stata capace di assicurarsi dosi di vaccino sufficienti a coprire più volte la propria popolazione e a gonfiare le tasche delle multinazionali farmaceutiche, mentre al COVAX ha lasciato le briciole. Con alcune parziali eccezioni, come l’Ungheria, che ha ordinato per conto proprio una scorta del vaccino russo Sputnik V, e in parte di Germania e Francia, che si stanno assicurando qualche dose in eccesso, i paesi membri hanno messo da parte il proprio “nazionalismo particolarista”. Se lo hanno fatto, è stato per rafforzare il “nazionalismo europeista” allargato di tutti loro messi insieme, cioè la volontà di rafforzare il polo imperialista europeo nel suo complesso che, pur nelle sue contraddizioni, con questa mossa segna un ulteriore passo in avanti nella ricerca di una tenuta rispetto alla situazione di crisi, dopo quello ancor più significativo del piano di ripresa economica “Next Generation EU”.
Ma se l’egemonia del capitalismo nordamericano ed europeo fa sempre più leva sulla forza e meno sul prestigio, a colmare il vuoto ci pensano i capitalisti che hanno generato. Anzi, ci pensa il capitalista per eccellenza, quello che fino a tre anni fa dominava la classifica di uomo più ricco del mondo, Bill Gates, che ora scalzato da Jeff Bezos si è riciclato nel ruolo di uomo ricco più buono del mondo.
La sua Fondazione è stata il secondo finanziatore in assoluto dell’OMS nel biennio 2018-19, subito dietro gli USA7 e come abbiamo visto è in prima linea nello sviluppo del vaccino sceso in campo per salvare l’umanità, o per meglio dire gli interessi generali della propria classe. Nelle sue parole: “Penso a questo come ai bilioni che dobbiamo spendere per risparmiare i trilioni. Ogni mese in più che ci vuole per ottenere il vaccino è un mese in cui l’economia non può tornare alla normalità.”8 Se, a differenza di come credono alcuni suoi elettori, Trump non è di certo l’anti-Bill Gates, l’eroe venuto per scongiurare l’immaginario piano satanico del fondatore della Microsoft, è altrettanto vero che Bill Gates è l’anti-Trump, la faccia del capitale nordamericano che non vuole rinunciare al suo ruolo di garante del capitalismo globale. O meglio, che ancora crede che questa sia la strategia migliore per contenere i propri concorrenti.
Come sostiene preoccupato il vicedirettore del Corriere della Sera Federico Fubini, infatti, “l’accaparramento delle dosi da parte dei Paesi ricchi sta creando nel resto del mondo un vuoto che Pechino si incarica di colmare alle proprie condizioni”9. Condizioni che però gran parte del mondo trova molto generose. Dopo aver per prima sequenziato e reso pubblico il genoma del virus, la Cina già il 29 febbraio sperimentava su alcuni esponenti militari un vaccino della CanSino Biologics, azienda farmaceutica quotata alla borsa di Hong Kong. Quello stesso vaccino, che si basa su un vettore virale (l’adenovirus che causa il raffreddore), è stato poi il primo al mondo a entrare nella fase di sperimentazione clinica, il 16 marzo, seguito immediatamente da quello di Moderna. Allo stato attuale è uno dei tre vaccini prodotti nella Repubblica Popolare Cinese ad aver raggiunto o superato l’ultima fase, la terza, di sperimentazione clinica. Gli altri due sono basati sull’antico (ed efficace) metodo dell’inoculazione di un virus inattivato e sono prodotti dalla Sinopharm, gigantesca compagnia pubblica, e da Sinovac, azienda privata quotata al Nasdaq fino a Febbraio 2019, quando ha congelato le sue azioni a seguito di uno scontro interno. Mentre già da mesi ne è stato autorizzato l’uso emergenziale in Cina, la terza fase di trial clinici, ora verso la conclusione, si sta svolgendo in diversi paesi di Asia, Africa, Medio Oriente e America Latina. Paradossalmente “lo sforzo vaccinale cinese è ostacolato dal clamoroso successo registrato dal paese [nel] fermare la diffusione del virus […]. Mentre la furia della pandemia negli Stati Uniti permette ai trial di fornire rapidamente risultati, ‘la Cina ha debellato precocemente l’epidemia di coronavirus, perdendo così l’opportunità di testare l’efficacia dei propri vaccini’, dice l’epidemiologo Ray Yip […]. Così gli sviluppatori di vaccini cinesi sono andati all’estero”10. Di questa necessità Pechino ha fatto virtù. Mentre in patria sta assicurando la vaccinazione alle persone più esposte, come lavoratori della sanità, dei trasporti, del commercio dei surgelati, ma anche uomini di affari che viaggiano all’estero, al contempo porta avanti accordi a livello internazionale con decine di paesi (dal Brasile all’Indonesia, dal Marocco alle Filippine) che si riforniranno con i suoi vaccini. Questo non significa soltanto profitti per le proprie imprese, ma anche, grazie ad accordi vantaggiosi, donazioni e prestiti, un miglioramento delle relazioni diplomatiche con i paesi compratori11. Si tratta della traduzione materiale di quello che all’assemblea dell’OMS a maggio Xi Jinping aveva annunciato come “il contributo della Cina per garantire la disponibilità e l’accessibilità economica dei vaccini nei paesi in via di sviluppo”, definendo il suo vaccino un “bene pubblico mondiale”.
Anche la Russia ha definito il suo Sputnik V “un ‘bene pubblico universale’, promettendone 1,2 miliardi di dosi entro il 2021 a cinquanta paesi, fra cui Cina, Corea del Sud, India, Kazakistan, Bielorussia, Brasile, Venezuela e Ungheria”12. Il vaccino è stato sviluppato dal prestigioso Centro nazionale di ricerca epidemiologica e microbiologica N. F. Gamaleja (fondato in epoca zarista e nazionalizzato in epoca sovietica) e finanziato dal Russian Direct Investment Fund (il nome è in inglese), il fondo sovrano russo. È stato il primo vaccino al mondo a essere distribuito, venendo approvato dalla Russia prima che fosse conclusa la terza fase di sperimentazioni cliniche. Per questo si è attirato critiche e sospetti13, amplificati dalla consueta propaganda di mass media ben poco interessati alla verità quando si tratta di notizie che riguardano potenze concorrenti. I produttori hanno risposto creando un apposito sito internet multilingue che chiarisce la natura della (consolidata) tecnologia utilizzata, aggiorna quotidianamente i dati sperimentali e offre altre notizie e approfondimenti. Il vaccino si sta rivelando sicuro ed efficace tanto che è nata una collaborazione con AstraZeneca, l’azienda inglese che produce il vaccino al momento più diffuso per svilupparne uno che combini entrambi, dato che la tecnica utilizzata è molto simile. La Russia è stata così capace di guadagnarsi una certa autonomia nella vaccinazione della propria popolazione (che passa però anche per l’acquisto di altri vaccini, ad esempio quello della cinese Sinovac), a cui lo Sputnik è offerto gratuitamente, e di dotarsi di un prodotto molto richiesto nel mercato internazionale per i prezzi competitivi a cui viene venduto.
A questo quadro va aggiunta l’India, famosa per essere “la farmacia del mondo”. È infatti la maggiore produttrice mondiale di farmaci generici, mentre è al terzo posto per volume e al quattordicesimo per valore nella fabbricazione di medicinali in generale14. Con i suoi bassi prezzi esporta in tutti i paesi del mondo ed è la maggiore fornitrice di quelli africani e di altri a basso reddito. Anche i primi farmaci utilizzati per far fronte al Covid, come il Remdesivir e la controversa idrossiclorochina, sono prodotti in India o lì hanno una fase fondamentale della loro filiera produttiva. Quando ad aprile il premier Modi ha chiuso le frontiere alle esportazioni dei farmaci, Trump l’ha convinto a riaprire promettendo che gli Stati Uniti “non avrebbero dimenticato il gesto”15. Oggi sono i grandi impianti indiani a produrre la maggior parte delle dosi globali di vaccini anti-Covid. Innanzitutto quelli della Serum Institute of India, proprietà di Cyrus S. Poonawalla, il sesto uomo più ricco del Paese, e più grande azienda produttrice di vaccini al mondo, che ha stretto accordi con la AstraZeneca (inglese) e con la Novavax (statunitense) per produrre i loro vaccini, cosa che nel primo caso sta già avvenendo con ritmi giornalieri record. Alcune aziende biofarmaceutiche indiane stanno sviluppando poi un proprio vaccino, tra cui uno che sta finendo la fase tre, il Covaxin, della Bharat Biotech, basato su virus inattivato. In questo modo Nuova Delhi riuscirà non solo a coprire il grande fabbisogno interno ma anche a esportare parte della propria produzione sia attraverso accordi bilaterali con paesi vicini come Bangladesh e Sri Lanka, ma anche più lontani come Marocco e Brasile, sia attraverso la piattaforma Covax16.
In questo contesto Europa e Nord America rappresentano il lato più sfacciato e predatorio dell’imperialismo, in cui sostegni statali, profitti dei grandi capitali ed euforia dei mercati finanziari lavorano in sinergia per accaparrarsi le risorse necessarie a mantenere la popolazione nella condizione di servirne e perpetuarne il potere, i guadagni, le speculazioni. Non sono soli però. Sono costretti a fare i conti con altre potenze imperialiste affermate o in ascesa, che ne approfittano per costruire le proprie relazioni commerciali e diplomatiche attraverso altri mezzi, rappresentati in questo caso dai vaccini. Nonostante questo, di fronte ai ritardi di Pfizer e AstraZeneca, l’Agenzia Europea del Farmaco è entrata in contatto con la Russia per una valutazione del suo vaccino, a cui la cancelleria Merkel in persona ha dato segnali di apertura. Di fronte a questi segnali di debolezza, si è avviato un forte dibattito sulla rilocalizzazione (“reshoring”) di parte della filiera farmaceutica. In Italia è nato un maxi-progetto, come lo definisce Il Sole 24 Ore, che racchiude decine di altri sotto progetti di “big pharma, piccole e medie imprese, divisioni italiane di multinazionali” per ottenere parte dei fondi del Recovery Plan e avviare un piano di investimenti per “sottrarre l’Italia e l’Europa alla dipendenza da Cina e India”17.
Più che unire l’umanità di fronte al nemico comune, la pandemia sta rappresentando un ulteriore terreno di concorrenza intraimperialista.
Luca De Crescenzo
Note:
Vai alla parte 1 dell’articolo
1 Costas Lapavitsas, “How Capitalist Competition Hobbled the COVID-19 Vaccine Rollout”, Jacobin, 6 Gennaio 2021.
2 Così scriveva il Financial Times pochi giorni fa, in un parallelismo tra questa “pandemic tech bubble” e quella cosiddetta “dotcom” del 2000: “Proprio come se si spremesse un palloncino pieno d’acqua, il denaro in eccesso nel sistema sta causando rigonfiamenti che stanno diventando impossibili da sopprimere”.
3 Come scriveva il Guardian, secondo le previsioni ottimistiche “l’economia globale si riprenderà rapidamente non appena i programmi di vaccinazione di massa saranno in grado di superare la pandemia. Tuttavia, anche una forte crescita non costringerà le banche centrali e i ministeri delle finanze a ritirare gli straordinari stimoli che hanno fornito perché l’inflazione rimarrà bassa. Questi due fattori, un periodo di rapido recupero e una posizione politica benevola, incrementeranno i profitti delle imprese e giustificheranno quindi l’aumento delle valutazioni di borsa”. Per altri analisti citati nell’articolo però neanche il vaccino potrebbe evitare l’implosione di mercati finanziari ormai troppo sopravvalutati. Su questo si veda l’approfondimento dell’economista marxista Michael Roberts sul suo blog, secondo cui ”probabilmente nella seconda metà del 2021, i governi cercheranno di contenere la loro spesa fiscale e le banche centrali rallenteranno il ritmo delle loro politiche espansive. Allora i livelli estremi del rapporto tra i prezzi delle azioni e obbligazioni e i profitti e il capitale tangibile probabilmente si invertiranno, come fa uno yo-yo quando la corda viene tirata riportandolo alla realtà di essere fissato a un supporto (capitale reale).”
4 Su tutte, si veda l’intervista all’epidemiologa di Harvard Nancy Krieger, che ha pubblicato numerosi studi sulla questione: “How the U.S. Messed Up Covid-19 So Badly”, elemental, 20 novembre 2020.
5 Al 26 gennaio l’aggiornatissimo “tracker” della distribuzione globale del vaccino di Bloomberg riportava da un 169% della popolazione coperta negli USA al 330% di Canada e 303% di UK.
6 Questo dipende dal sito e profondità della mutazione e dal tipo di vaccino utilizzato. In genere però la tecnologia a mRNA utilizzata ad esempio Pfizer sarebbe quella più capace di fornire un nuovo vaccino in tempi rapidi. Ma è una tecnologia costosa che pochi sviluppatori potrebbero permettersi e che per la sua distribuzione dipende da una complessa “catena del freddo” che rischia di tagliare fuori molti paesi.
7 Con l’interruzione dei finanziamenti da parte degli USA è subentrata la Germania con un record personale di donazioni, passando in testa alla classifica dei maggiori donatori dei primi tre trimestri del 2020, seguita dalla Fondazione Gates: https://open.who.int/2020-21/contributors/contributor .
8 Bill Gates, “The first modern pandemics”, GatesNotes, 23 Aprile 2020.
9 Federico Fubini, “La mossa della Cina: il vaccino promesso ai Paesi emergenti”, Corriere della Sera, 11 Gennaio 2021
10 Jon Cohen, “China’s vaccine gambit”. Science, 11 Dicembre 2020.
11 “In ogni caso, l’applicazione di un vaccino cinese assumerà un significato geopolitico più ampio. La Cina ha già offerto un miliardo di dollari in prestiti all’America Latina e ai Caraibi per l’accesso al vaccino, mentre la rivalità sino-indiana ha trovato un nuovo punto focale intorno alla fornitura di vaccini in Bangladesh. In Brasile, la diplomazia cinese per il vaccino ha messo il presidente trumpista Jair Bolsonaro contro il governatore di San Paolo, che vuole acquistare 46 milioni di dosi di vaccino Sinovac.” Da Jacob Mardell, “China’s vaccine diplomacy assumes geopolitical importance”, Mercator Institute for China Studies, 24 Novembre 2020.
12 Elena Dusi, “Il virus non ha confini. E i vaccini?”, Limes, numero 12/20 – Il Clima del Virus.
13 Burki, Talha Khan. “The Russian vaccine for COVID-19.” The Lancet Respiratory Medicine 8.11 (2020): e85-e86.
14 Si veda il rapporto “India: pharmacy of the world”, Luglio 2020, di Invest India, l’agenzia indiana per gli investimenti dall’estero.
15 Roy Horner, “The world needs pharmaceuticals from China and India to beat coronavirus”, The Conversation, 25 Maggio 2020.
16 BBC, “India coronavirus: Can its vaccine makers meet demand?”, 10 Gennaio 2021.
17 Natascia Ronchetti, “Farmaci, piano da 1.5 miliard per riportare le filiere in Italia”, Il Sole 24 Ore, 21 Gennaio 2021.