Lo scorso anno gli utenti del servizio ferroviario calabrese hanno “festeggiato” l’aumento, tramite Frecciarossa, di tratte e di collegamenti diretti con Milano e Torino, che sono stati per molto tempo assenti eccetto per quelli a mezzo di Intercity, su convogli indecorosi, che impiegano circa 18 ore a terminare il percorso. La situazione è stata legata, probabilmente, al fatto che i Frecciarossa non sono treni sovvenzionati ma solo di mercato, un dettaglio inaccettabile per un servizio fondamentale come quello del trasporto ferroviario, che dovrebbe operare anche in regime di disavanzo per permettere anche agli abitanti delle zone più periferiche del Paese di usufruire di un servizio così importante.
Percepire l’attivazione di un servizio che dovrebbe essere di base come un “progresso” la dice lunga sulla qualità dei mezzi alla quale i calabresi sono tristemente abituati e come riporta Mario (nome di fantasia), lavoratore delle linee regionali delle ferrovie calabresi, «rispetto a 10 anni fa, con i tagli che si sono susseguiti fino al 2014, il trasporto regionale in Calabria ha incrementato il servizio su tutte le linee, con miglioramenti anche nei mezzi, in particolar modo quelli a trazione elettrica. Anche oggi, come una volta, si arriva a Bologna, Milano e Torino con un treno notte, anche se i tempi di percorrenza sono lunghi.
La mobilità regionale però, non solo nel sud Italia, continua ad essere storicamente indietro rispetto alle linee principali e continua a rispondere a logiche aziendalistiche per cui dove c’è più ricavo (e non più necessità di sviluppo) si investe di più.
Inoltre, e questa è una cosa di cui si parla sempre troppo poco, si dovrebbe puntare di meno sui collegamenti su gomma, che contribuiscono ai disagi sulle strade in estate, e di più sull’offerta su rotaie; d’altra parte, però, se si punta sul treno si deve assicurare un’aggiunta consistente di corse. Per via del necessario aggiustamento delle coincidenze che dilaziona le partenze e gli arrivi, infatti, un piccolo miglioramento di disponibilità di treni sarà sempre meno conveniente del bus per l’utente, in termini di orario».
Uno dei più gravi effetti collaterali della carenza di investimenti su rotaie è, però, l’affidamento alle imprese private dei collegamenti essenziali. Come testimonia Lorenzo (nome fittizio), ex bus driver e membro dell’Unione Sindacale di Base, in Calabria le compagnie private operanti su gomma che sopperiscono ai deficit del trasporto pubblico regionale sono rappresentate da sei società consortili, che racchiudono 28 aziende di trasporto pubblico locale. Esse ricevono lo stesso trattamento della linea ferroviaria regionale, Ferrovie della Calabria, in quanto a contributi pubblici. Per produrre un utile, perciò, scaricano i costi sul trattamento economico dei propri dipendenti, che non godono dello stesso inquadramento contrattuale dei loro colleghi di Trenitalia. I rapporti di forza, in questo caso, «sono decisamente a sfavore dei lavoratori, anche perché il fatto di non essere assunti tramite concorso pubblico ma attraverso preferenze personali, spesso connesse a indicazioni provenienti da ambienti di politica locale, pone il lavoratore sotto il giogo dell’affiliazione clientelare e indebolisce la coscienza di classe», ci spiega Mario. La delega del servizio di trasporto pubblico alle imprese private è un modo, insomma, di legalizzare il personalismo e la pressione clientelistica perseguiti nei concorsi pubblici.
Non sono soltanto le imprese di trasporto private a provocare disagi ai lavoratori: lo stesso accade con le ditte che ricevono in appalto o concessione servizi che dovrebbero essere internalizzati nel pubblico. Unione Sindacale di Base Lavoro Privato Cosenza, ad esempio, aderì allo sciopero del gennaio 2020 dei lavoratori di Ferrovie della Calabria che prestano servizio alla ditta appaltatrice Zenith Services Group Spa. Agli addetti ai servizi di pulizia e sanificazione delle vetture e degli autobus di linea di FdC, – spiegava in una nota il sindacato Usb – «nonostante avessero quasi maturato la mensilità di gennaio 2020, non era ancora stato corrisposto lo stipendio di dicembre 2019 e la tredicesima. A questi insopportabili ritardi, che hanno tenuto in ansia decine di famiglie, molte delle quali monoreddito, si aggiunsero le precarie e difficili condizioni di lavoro».1
Un’ultima, importante, testimonianza riguardo alle cause dell’inefficienza del sistema di trasporto calabrese – e non solo – la offre Paolo (nome di fantasia), lavoratore del trasporto pubblico locale a Reggio Calabria, iscritto a Filt Cgil, che ci parla delle problematiche del Trasporto Pubblico Locale (TPL) il giorno dello sciopero nazionale dell’8 febbraio.
Paolo, quali sono le rivendicazioni della vostra mobilitazione?
«Parlando dei problemi generali dobbiamo dire che il nostro contratto, innanzitutto, è scaduto da tre anni, e riteniamo dunque urgente compensare la parte economica sul potere d’acquisto che in questi anni i lavoratori hanno perso; dalla scadenza dell’ultimo contratto, inoltre, si è aperto una sorta di laboratorio per risolvere alcune situazioni ataviche, come ad esempio la modifica dello stato giuridico degli autoferrotranvieri, regolamentato ancora della legge 148 datata 1931. Era previsto di includere tutte le novità nel nuovo contratto nazionale. Oltre la questione del salario, poi, c’è la sperequazione tra diverse tipologie di lavoratori e il rinnovo del parco autobus: si sta andando verso l’elettrico e verso l’ibrido, dobbiamo attrezzarci con le colonnine in tutto il circuito urbano, c’è un sistema che va rivisto tutto, con infrastrutture adeguate al nuovo modello»
Tutto questo in che cornice si situa in Calabria?
«Per quanto riguarda le problematiche della nostra regione in particolare, com’è noto, essa non stanzia risorse per il trasporto pubblico locale: c’è solo lo stanziamento statale. Questo rende difficoltoso farsi trovare preparati alle sfide del futuro. Siamo una di quelle regioni i cui servizi pubblici essenziali dovranno andare a gara da qui a poco, e l’ente regionale ha rinviato in continuazione questo appuntamento, un ritardo che fa solo male. La cosa che mi interessa evidenziare, però, è che ferro e gomma dovrebbero essere integrati fra di loro e che bisognerebbe dire finalmente basta a questa frammentazione inefficiente. Non sappiamo a che punto è il piano regionale dei trasporti».
Da cosa dipende questa frammentazione?
«Attualmente vige un regime di concessione: io concedo a te gestore un pacchetto di chilometri, nel caso dell’ATAM (l’azienda del Tpl di Reggio Calabria), ad esempio, il comune è il proprietario dell’azienda ma per il servizio potrà decidere ben poco, perché i chilometri e i finanziamenti li dà la regione. Il comune se vuole può mettere servizi aggiuntivi ma la legge è regionale e tu ti devi sottomettere ad essa. Ma questo non significa che ci sia omogeneità e armonizzazione dei servizi! Anche perché qui i privati sono prevalentemente a conduzione familiare, piccoli e poco efficienti, questo rende le cose ancora più complesse e alla mercè degli interessi dei piccoli imprenditori. Si era pensato, tempo fa, ad un bacino unico regionale ma è stato sostenuto che, a causa della conformazione della regione, ciò non è possibile. Sta di fatto che noi avevamo ben 95 aziende di trasporto diverse nel 2000; con la formazione dei consorzi, poi, siamo arrivati a 6 consorzi, ma all’interno dei consorzi ci sono sempre le vecchie aziende che ognuno gestisce con la sua propria logica! Ci vorrebbe, invece, un’unica testa pensante ed un sistema centralizzato non sottomesso alle logiche di profitto a breve termine».
Quello che si evince dalle parole di Paolo e degli altri lavoratori è, per concludere, che nessun vero progresso nella viabilità delle aree più povere del Paese è possibile senza una pianificazione industriale organica che accantoni una volta per sempre l’esperimento del regionalismo e dell’aziendalismo per quanto riguarda i servizi pubblici.