Nello scorso febbraio, tra il 17 e il 18, si è svolto l’ultimo incontro tra i ministri della Difesa dei Paesi membri della NATO; la riunione ha portato in dote all’Italia il comando generale della missione dell’Alleanza Atlantica in Iraq a seguito del rinnovo e del potenziamento della Nato Mission Iraq (NMI), l’operazione che dal 2018 viene portata avanti nel paese mediorientale in coordinamento e cooperazione con la Coalizione Internazionale Anti-Daesh (a guida USA), contribuendo alle attività di Train, Advice and Assist (TAA) delle Forze di Sicurezza irachene. Nell’incontro dello scorso febbraio la decisione presa dal consesso imperialista euroatlantico è stata quella di rifinanziare la NMI ed aumentare la consistenza del contingente internazionale passando da 400 a 5.000 militari1. Già dal 2014 l’Italia è presente nel paese con una forza di circa 1.100 militari con l’operazione Prima Parthica come parte della Missione internazionale “Inherent Resolve” della Coalizione Anti-Daesh2.
Per l’Italia sarà la quarta missione multilaterale di cui assume il comando, dopo quella NATO in Kosovo, quella ONU in Libano (Unifil) e quella marittima dell’UE della Eunavformed Irini nel Mediterraneo centrale; in Iraq, si impegna così a guidare le truppe internazionali della NATO, perlopiù europee e canadesi, arrivando a schierare il contingente più numeroso.
La presenza imperialista euroatlantica in Iraq – compresa quella dell’Italia – pone le sue radici fin dalla Prima guerra del Golfo (1990) per arrivare poi agli anni 2000 con la caduta di Saddam Hussein a seguito della seconda aggressione imperialista, rimanendo tutt’oggi nel paese con la giustificazione di stabilizzare un’area ormai devastata dalla guerra. La posizione geostrategica dell’Iraq, confinante con l’Iran antagonista di Israele e USA, e la presenza di giacimenti di materie prime fondamentali all’economia capitalista hanno costituito negli ultimi trenta anni le vere motivazioni del particolare “interessamento” del blocco euroatlantico, con gli Stati Uniti in testa, nei confronti della situazione irachena divenuta un’arena della più ampia contesa interimperialista.
Negli ultimi anni però la situazione geopolitica ed economica è mutata: gli Stati Uniti sono riusciti a far avanzare i loro piani con la diplomazia mediorientale, come gli accordi tra diversi Stati arabi ed Israele3 mentre al contempo il campo d’azione si è maggiormente spostato, sotto l’amministrazione Trump, nella guerra economica alla Cina. Nonostante il cambio al governo, con l’arrivo del Democratico Joe Biden, la strategia degli USA non è mutata per quanto riguarda porre il focus principale sulla competizione con la Cina.
Ma se la guerra commerciale con la Cina si protrae e sempre maggiore attenzione viene rivolta verso il Pacifico, questo non vuol dire che gli USA abbiano abbandonato il campo mediorientale, come fra l’altro la nuova amministrazione statunitense dimostra scegliendo di colpire, come sua prima azione militare, la Siria orientale, al confine proprio con l’Iraq, in chiave anti-iraniana ma anche anti-russa.4
Ad oggi l’Iraq rappresenta un “campo minato” dove il governo di al-Khadimi non ha il pieno controllo del territorio, l’Iran accresce la sua influenza, le milizie dell’ISIS (finanziati più o meno esplicitamente da USA, Turchia e petrolmonarchie del Golfo) sono ancora presenti ed il Kurdistan iracheno rimane una questione spinosa e tuttora da risolvere, soprattutto con la Turchia, anch’essa membro della NATO, protagonista di offensive militari5. In tale situazione sono frequenti le rivolte sociali delle classi popolari irachene contro le disastrose condizioni di vita, la povertà, la corruzione, la disoccupazione e la mancanza di servizi fondamentali, il sistema di partizione etnico-settaria del potere, il saccheggio imperialista delle risorse, la presenza militare e le ingerenze straniere di potenze regionali e globali.
Con l’amministrazione Trump gli USA, maggiormente impegnati nel fronte del Pacifico, annunciarono una rimodulazione del dispiegamento delle forze ed investimenti in vari teatri del Medio Oriente, tra cui un parziale ridimensionamento della presenza in Iraq passando da 5.200 a 3.000 militari, dando maggiore spazio e iniziativa per l’appunto alla missione NATO ed abbassando così l’esposizione della propria presenza6.
Qui si inserisce il maggiore impegno militare dell’imperialismo italiano che arriva fra l’altro dopo l’allineamento alle richieste del socio di maggioranza statunitense per l’aumento della spesa nell’Alleanza. L’Italia, infatti, ha acconsentito alla pretesa degli Stati Uniti nei confronti degli altri membri della NATO di aumentare le spese per la difesa fino al 2% del PIL per condividere in maniera più equa le spese militari dell’Alleanza, le quali solamente nel ramo militare superano il miliardo e mezzo di dollari unicamente per il 2020. Il nostro Paese è passato a contribuire dai 17 miliardi e mezzo del 2015 ai quasi 23 miliardi sotto il governo Conte II, mostrando come le spese militari, le missioni all’estero, gli investimenti in armamenti in periodi di difficoltà economica e sociale per le classi popolari siano una prerogativa di tutte le forze politiche della borghesia italiana, da un lato fiere sostenitrici dell’alleanza con gli Stati Uniti, dall’altro orientate a rafforzare gli interessi e i profitti dei gruppi monopolistici italiani più potenti nella competizione internazionale.
Nel caso dell’Iraq, la presenza italiana con un contingente così nutrito e un interessamento costante del ministro della Difesa Lorenzo Guerini, confermato anche dal Presidente del Consiglio Mario Draghi, mostrano ancora una volta il lato predatorio ed imperialista del nostro Stato: il ministro Guerini ha spinto fortemente, nel corso dell’ultimo anno, per una riconferma ed ampliamento della missione NATO in Iraq, visitando il Paese e le truppe italiane in missione per quattro volte nel 2020.7 Allo stesso tempo anche la multinazionale italiana dell’energia, ENI, impegnata dal 2009 in attività produttive ed estrattive nella regione di Basra, ha informato nel 2019 il governo iracheno dell’ampliamento e del potenziamento delle attività nel giacimento di Zubair, uno dei principali dell’area8. Ad oggi, la produzione di 475 mila barili annui è destinata a raddoppiare, portando ENI, socio di maggioranza nella società che gestisce il giacimento, a incrementare enormemente i suoi profitti. Le attività dell’ENI, come riporta il suo sito, prevedono inoltre nuove attività di perforazione nel corso dei prossimi anni9.
È ben noto come la presenza militare straniera in questi scenari serva a garantire gli interessi strategici principalmente dei grandi monopoli energetici dei rispettivi Stati capitalistici. Appare così chiaro da cosa sia determinata la presenza militare italiana in Iraq, paese che – con riferimento a dati del 2019 – rappresenta il 20% dell’import nazionale di greggio. Il che significa che l’Iraq è il primo fornitore di petrolio dell’Italia, la cui politica estera è principalmente orientata in sostegno degli asset di interesse dell’ENI. Non solo in Iraq, ma come abbiamo più volte già analizzato anche nel Mediterraneo Orientale, in Africa settentrionale (in particolare Libia ed Egitto)10 e sub-sahariana come nel caso del recente inizio della missione nel Sahel.
L’Iraq, tra i paesi più ricchi di petrolio al mondo, è stato da tempo trasformato in un’arena del più ampio scontro inter-imperialistico per la ripartizione della regione, mentre il popolo iracheno soffre da decenni condizioni permanenti di guerra e di povertà vedendo depredate le sue risorse dalle multinazionali estere in un sistema di rendita di cui usufruisce la borghese locale, con l’Italia sempre più protagonista nei piani e missioni11 imperialiste a beneficio degli interessi e profitti dei propri grandi gruppi capitalistici. A pagarne le spese sono sempre i lavoratori e i popoli mentre i capitalisti si arricchiscono.
Giovanni Sestu
2 http://www.esercito.difesa.it/operazioni/operazioni_oltremare/pagine/iraq-operazione-prima-parthica.aspx
3 https://www.lordinenuovo.it/2020/10/13/normalizzazione-oppressione-sionista-per-liquidare-causa-palestinese/;
https://www.lordinenuovo.it/2021/01/05/laccordo-israele-marocco-usa-e-la-lotta-del-popolo-saharawi/
5 http://solidnet.org/article/Iraqi-CP-Iraqi-Communist-Party-Calls-for-Immediate-Halt-of-the-Turkish-Aggression/
6 A seguito dell’attacco che portò alla morte del generale iraniano Soleimaini, il parlamento iracheno approvò una risoluzione non vincolante (con una forte influenza di Teheran) con cui chiedeva al governo di far uscire i soldati statunitensi dal territorio nazionale. Inoltre, le basi USA sono state più volte oggetto di attacchi.
7 https://www.repubblica.it/esteri/2020/09/29/news/guerini_rassicura_l_iraq_continuiamo_a_sosi_nostri_militari_rimangono_a_bagdad_-268934477/
10 https://www.lordinenuovo.it/2020/05/19/altri-500-soldati-italiani-nella-guerra-di-spartizione-libica/;
https://www.lordinenuovo.it/2020/04/08/continua-la-guerra-in-libia-al-via-una-nuova-missione-imperialista-targata-ue/;
https://www.lordinenuovo.it/2020/04/09/continua-la-guerra-in-libia-al-via-una-nuova-missione-imperialista-targata-ue-2-2/
11 L’Italia è seconda solo agli USA per numero di contributi alle operazioni NATO e primo tra i paesi dell’UE nelle missioni dell’ONU.