Il trasporto pubblico locale è uno dei nervi scoperti su cui si concentrano tantissime contraddizioni. Dalla necessità per i cittadini di usufruire di un servizio di qualità alla necessità delle aziende di tenere i costi sotto controllo. Un servizio che è sempre stato pubblico ma che negli ultimi anni, insieme alla sanità e alla scuola, sta sperimentando una preoccupante deriva privatistica nella gestione delle aziende. Ancora una volta il Veneto è tristemente all’avanguardia su queste derive e, dopo aver parzialmente esaminato lo stato dell’arte della sanità in Veneto (qui), ci occupiamo dell’azienda dei trasporti di Venezia, l’ACTV, i cui lavoratori sono impegnati a contrastare gli attacchi ai diritti conquistati negli anni. L’azienda infatti ha annunciato la disdetta unilaterale di alcuni accordi di secondo livello, proprio come già sta succedendo nel settore privato in altre parti del Veneto e in Italia. Ne abbiamo parlato con Danilo Scattolin di SGB che sta seguendo attivamente la lotta in ACTV.
Mediamente quanti utenti usano il trasporto pubblico veneziano in un anno?
Posso darti il dato pre-Covid. ACTV aveva un bacino di utenza di circa 215 milioni di passeggeri l’anno, una mole di passeggeri molto importante. Sicuramente la più alta in Veneto dato che, tolti i turisti che naturalmente caratterizzano molto la città di Venezia, il veneziano medio proprio per come è fatta la città, utilizza moltissimo il mezzo pubblico tanto che avevamo istituito le linee notturne che ci consentivano di garantire un servizio h 24.
Venezia è una città unica al mondo e come tale necessita di un sistema di trasporto pubblico che si adatti alle sue caratteristiche. Come è organizzato il trasporto pubblico veneziano e che zone e tratte copre il servizio?
La laguna di Venezia è un territorio molto ampio. Il servizio marittimo, oltre a coprire Venezia e tutte le sue isole in laguna, si estende anche più esternamente da Punta Sabbioni [ndr: l’imboccatura più a nord] fino a Chioggia [ndr: l’imboccatura all’estremo sud]. Poi abbiamo il servizio urbano di Mestre cui si aggiunge l’extraurbano che arriva fino a Treviso da una parte, e fino a Padova dall’altra. Tutto questo naturalmente collegando tutti i centri urbani sul tragitto.
Questo poi si riflette sul tipo di lavoratori impiegati: chi sta sul vaporetto, chi sugli autobus…
Certo, è uno dei punti di frizione con l’azienda per quanto riguarda il contratto di secondo livello. Come dicevi tu, essendo Venezia una città così particolare, non abbiamo solo gli autisti degli autobus, ma abbiamo anche sui vaporetti un equipaggio composto da un comandante e un marinaio, fino a equipaggi composti da sei persone sulle imbarcazioni più grosse come le motonavi che trasportano le auto dalla terraferma all’isola del Lido. È chiaro che anche la gestione dei diversi mezzi richiede specifiche maestranze: rifornire di carburante i vaporetti o le motonavi ad esempio, non è la stessa cosa che fare il pieno ad un autobus.
Recentemente assistiamo ad una logica gestionale sempre più di tipo privatistico di aziende che erogano servizi pubblici (siano esse pubbliche o partecipate). Abbiamo visto su queste pagine come viene gestita la sanità in Veneto con questo tipo di mentalità. Per il trasporto pubblico funziona?
Intanto diciamo che il 65% dei finanziamenti delle aziende di trasporto pubblico locale deriva dal fondo nazionale trasporti mentre il restante viene dalle vendite di biglietti e abbonamenti.
Negli ultimi anni sta accadendo che la nostra, che era un’azienda di trasporto pubblico si sta trasformando in una SPA e quindi inizia a ragionare come un soggetto privato. Ad accentuare questa deriva presa dall’azienda c’è anche il comportamento da imprenditore del sindaco di Venezia che guarda il caso, fa l’imprenditore di mestiere. Ecco allora che il ragionamento si sposta dal trasporto pubblico a servizio dei cittadini, ai costi sostenuti per tenere in piedi l’azienda.
Un esempio è quando il management azzarda paragoni tra il trasporto locale di Venezia e quello di altre città, mi spiego: in altre città del Veneto non ci sono afflussi di mezzi in modo così continuo e capillare come a Venezia, secondo qualcuno è assurdo che ci siano linee di autobus e tram che si sovrappongano per un certo tratto ed è allo studio da parte dell’azienda una riorganizzazione delle linee in tal senso. Questo tipo di riorganizzazione però andrebbe a scapito degli utenti che si troverebbero a fare una serie di cambi per andare a destinazione. Un’altra ipotesi molto fantasiosa da parte di ACTV è quella di non far transitare più gli autobus sul Ponte della Libertà [ndr: il collegamento stradale e ferroviario tra la terraferma e la Venezia insulare] andando a sovraffollare la linea tramviaria, è una follia. Un ragionamento di questo tipo è tutto fuorché lungimirante, perché se a prima vista potrebbe sembrare un costo è vero che senza questi km senza fermate la velocità commerciale si ridurrebbe di molto.
Velocità commerciale?
Mi spiego meglio. La velocità commerciale delle linee è il rapporto tra la distanza percorsa dal mezzo durante una corsa e il tempo impiegato da un capolinea all’atro. Chiaramente più è alta la velocità commerciale più il servizio è di qualità e proprio l’esistenza del Ponte della Libertà migliora questo rapporto che altrimenti sarebbe bassissimo. Il fatto è che qui è indispensabile fare una riorganizzazione totale del servizio in tempo di pandemia. Per esempio si potrebbero pensare delle linee dirette dal centro verso destinazioni sensibili come l’ospedale o le stazioni dei treni. Le risorse per poter aggiungere queste linee, le possiamo recuperare andando a toglierle dalle linee obsolete o poco frequentate. Per esempio ci sono tutta una serie di linee che vennero create per servire alcuni ostelli che all’epoca attiravano molti turisti, ebbene ora che è ancora tutto fermo, non ha senso tenere quelle linee in piedi. Un altro esempio è la linea che collega Mestre all’aeroporto di Tessera che ha una certa frequenza, ma dato che in questo periodo si vola pochissimo, ha senso che venga mantenuta questa frequenza viaggiando a vuoto? Ecco, si potrebbe intervenire caso per caso e adeguare il servizio alla sicurezza. In più l’azienda potrebbe addirittura risparmiare perché potrebbe impiegare queste risorse anche per linee in sofferenza senza la necessità di ricorrere ai privati.
In un passaggio, hai identificato nella figura del sindaco di Venezia chi sta spingendo verso una gestione più privatistica dell’azienda. Quindi nel nostro caso è la politica che guida l’azienda in quella direzione?
Guarda, ci stiamo sempre più convincendo che a prendere le decisioni per ACTV non sia la dirigenza dell’azienda ma il sindaco che ragiona da imprenditore.
Una domanda sulle figure che sono impiegate in ACTV. Ci sono attività che sono esternalizzate?
Fino a qualche anno fa veniva fatto tutto internamente, pochissima roba veniva mandata fuori. Oggi oltre alla classica manutenzione è esternalizzata anche una parte delle linee, sia automobilistiche sia di navigazione, date in gestione a cooperative private che impiegano ad esempio sugli autobus fino a sessanta autisti, con un monte chilometri abbastanza importante. Tornando alla manutenzione c’è da segnalare il fatto che dare i lavori all’esterno pregiudica di molto i tempi e i costi di riparazione dei mezzi.
Faccio un esempio banalissimo: quando la manutenzione veniva fatta in casa i meccanici si occupavano del mezzo a 360 gradi, nel senso che anche in caso di interventi puntuali lo controllavano in tutte le sue parti. Oggi invece quando si chiede all’azienda che si occupa della manutenzione di fare interventi puntuali, questa non interviene su eventuali altri problemi del mezzo, così facendo capita che alcuni mezzi rientrino dalla manutenzione per poi tornarci subito dopo. Per non parlare anche del fatto che i mezzi appena riparati comunque devono essere sottoposti a controllo da parte di ACTV, sprecando tempo e denaro.
Per quanto riguarda le manutenzioni navali per esempio ricordo che anni fa avevamo maestri d’ascia da far invidia, tutto questo via via col tempo è andato perduto ed è un vero peccato anche per l’azienda stessa che in questo modo perde di professionalità generale.
Come è cambiata la vita dei lavoratori col Covid?
Prima di rispondere a questa domanda è bene precisare che ACTV (come tutto il trasporto pubblico in Italia) non si è mai fermata. I primissimi giorni nessuno era preparato con mascherine o guanti e quant’altro, voglio dire che anche in caso di oggettive difficoltà i lavoratori tengono a fornire un servizio adeguato. La vita per i lavoratori è cambiata in modo radicale perché si sta cercando di scaricare sulle loro spalle le responsabilità che dovrebbero essere di altri. Ad esempio sugli autobus il controllo del rispetto delle norme anti-Covid spetta all’autista che oltre a guidare deve anche farsi carico di tutta una serie di incombenze: deve controllare che siano rispettate le distanze di sicurezza, deve controllare che tutti indossino la mascherina, deve controllare che sia rispettato il limite di capienza del 50% impedendo l’accesso a bordo dei passeggeri nel caso si sia già raggiunto il limite. Prova a pensare ad esempio nelle ore di punta allo stress cui sono sottoposti gli autisti che oltre al traffico devono anche prendersi gli insulti dei passeggeri che non possono salire a bordo. La stessa dinamica avviene in una certa misura anche sui vaporetti. Noi avevamo chiesto all’azienda di riorganizzare il personale viaggiante cioè invece di mettere gli autisti momentaneamente in eccesso in cassa integrazione, impiegarli sui mezzi a supporto dell’autista in servizio proprio per controllare queste situazioni qui.
Come è la situazione della sanificazione dei mezzi?
La sanificazione è una preoccupazione che hanno tutti quanti, sia i passeggeri che i lavoratori. Noi abbiamo qualche dubbio fondato che le cose vengano effettivamente fatte a regola d’arte. Le norme prevedono due tipi di sanificazione: una giornaliera e una bisettimanale cui una volta abbiamo assistito come SGB. Quella giornaliera prevede che il mezzo sia lasciato in moto, che l’operatore spruzzi il getto di disinfettante in tutte le parti del mezzo e che successivamente sia lasciato arieggiare. La procedura dura circa cinque minuti e ripeto, andrebbe fatta ogni giorno. Numeri alla mano l’azienda che si occupa di sanificare riesce a fare circa cinquanta autobus al giorno ma ti posso assicurare che gli autobus che si muovono ogni giorno sono molti di più: nelle ore di punta, i mezzi in movimento sono 600. L’altro tipo di sanificazione viene fatta ogni quindici giorni su nostra richiesta, perché inizialmente ACTV l’aveva pianificata mensilmente, e prevede l’uso di un macchinario di ionizzazione che va a sanificare l’impianto di climatizzazione e ventilazione dell’autobus. Avevamo anche chiesto all’azienda di utilizzare un sistema di riconoscimento dei mezzi sanificati, tipo un bollino da apporre sul bus, in modo che possa essere verificabile da chiunque sia interessato. La risposta è stata negativa e posso ipotizzare che non siano proprio in grado di tenere in piedi un sistema di controllo del genere.
Nelle ultime settimane il dibattito pubblico è molto concentrato sulle riaperture. Quali sono le preoccupazioni dei lavoratori?
Le preoccupazioni sono molte e non solo dei lavoratori ma anche dei passeggeri. Diciamo che, ad esempio, la scuola non è ancora totalmente partita. Chi usava in modo intensivo gli autobus nelle ore di punta erano proprio gli studenti e al momento stanno ancora a casa al 50%. Il giorno che torneranno tutti a scuola sarà un disastro perché se continueremo ad avere le limitazioni del carico non riusciremo mai a caricarli tutti e nemmeno con l’aiuto dei privati si riesce a venirne a capo. Tutti ricordiamo il sovraffollamento dei mezzi nei periodi pre-Covid, se è vero come è vero che anche quando il Covid sarà un ricordo passato le norme di distanziamento resteranno ancora in piedi, se non si torna ad investire nei trasporti pubblici non si riuscirà a rendere un servizio adeguato nel rispetto delle norme sanitarie.
Passiamo ora alla vertenza in ACTV. Da cosa nasce la lotta e quali sono le rivendicazioni dei lavoratori?
Grazie alla pandemia qualcuno sta tentando di abbattere il costo del lavoro scaricandolo sul personale. Un attore di prim’ordine in questo processo è proprio il sindaco, è stato lui ad imporre alla dirigenza la recessione di ACTV dagli accordi di secondo livello lasciando in piedi solo quelli che fanno comodo a loro andando a penalizzare i lavoratori su riposi, ferie e turni. Il bello è che il sindaco promette mari e monti sulla sua volontà di tenere pubblico il trasporto locale, non fare licenziamenti eccetera ma poi ci ritroviamo il blocco del turn over e la mancata assunzione degli stagionali. Anzi, con la disdetta degli accordi cerca di adeguare il costo del personale di ACTV alla media del Veneto non volendo tener conto della specificità di Venezia di cui parlavamo prima. Quello che è vergognoso è che si voglia usare la pandemia come scusa per privare i lavoratori di ACTV di 1500 euro lordi l’anno. Ci sono tutti gli indicatori per ipotizzare che questa mossa sia stata pensata per rendere più appetibile ACTV al miglior offerente.
Quello che è ancor più vergognoso è come vengono trattati i lavoratori da parte dell’azienda, con campagne denigratorie montate ad arte sui giornali. Bada bene che a trattare a pesci in faccia i lavoratori non è solo l’azienda, ma anche le istituzioni.
Oltre al sindaco, più volte col prefetto si è tentato di convocare l’azienda al tavolo delle trattative per iniziare un dialogo che coinvolga le istituzioni e al loro diniego assistiamo al prefetto che fa spallucce, come se non avesse il potere di costringere l’azienda a trattare fino a che non si trova un accordo soddisfacente. Infine, noi chiediamo all’azienda di ritirare il provvedimento di recessione dagli accordi di secondo livello. Se prima eravamo disposti a trattare, ora siamo rigidi sulle nostre posizioni: non c’è alternativa.
Arriviamo al 23 aprile. In generale come procede la lotta?
Il 23 aprile, in occasione di una nostra manifestazione a Venezia è mancato poco che si arrivasse allo scontro con le forze dell’ordine che tentavano di rimuovere un blocco stradale che i lavoratori avevano messo in atto. Quello che più mi rammarica è che la Digos ha identificato una ventina di lavoratori e che questi ultimi ne subiranno le conseguenze. Eppure sarebbe bastato identificare me e gli altri quadri sindacali in quanto rappresentanti dei lavoratori e invece no. La lotta inizia a dare i suoi frutti. Il 4 maggio abbiamo avuto un incontro col sindaco e in concomitanza abbiamo organizzato un presidio di lavoratori per fare pressione e per far capire che ormai non c’è più margine di trattativa. Nel frattempo continuiamo con forme di protesta alternativa. Qualcuno lo definisce sciopero bianco, io invece preferisco dire che ora si rispetta rigido del codice della navigazione e del codice della strada: se il limite è 30 kilometri orari, noi andiamo a 30 kilometri orari.
Quali sono i rapporti con le altre organizzazioni sindacali che partecipano alla vertenza?
Per quanto ci riguarda, fin dall’inizio di questa vertenza siamo stati chiari sul fatto che indipendentemente dalla sigla che dichiara sciopero, noi come SGB avremmo partecipato perché l’unità è un valore fondamentale. Nel corso della lotta però sono emerse le prime divisioni, con la CISL-UIL che cercano il dialogo mentre noi e la CGIL restiamo più rigidi, come dicevo prima, sulle nostre posizioni. Tornando allo sciopero del 23 aprile che avevamo indetto noi come SGB, la CGIL aveva partecipato mentre le altre sigle no. Sigle che sono state in qualche modo sconfessate perché i loro iscritti erano in piazza con noi.
Da quando è iniziata la pandemia, abbiamo notato come i lavoratori siano più combattivi e lottino per i propri diritti nelle sigle sindacali che li organizzano. Come per esempio gli scioperi spontanei del marzo 2020, quando gli operai fermarono la produzione chiedendo più sicurezza in fabbrica. C’è una ripresa molto lenta e contraddittoria della lotta con una serie di appelli da più parti all’unità dei lavoratori…
Sì. Se come classe operaia non riportiamo al centro delle nostre analisi la parola solidarietà tra lavoratori anche di diverse categorie, non ne usciamo. Se torniamo a sostenerci a vicenda torniamo ed essere visibili. Dobbiamo superare gli interessi della nostra categoria e tornare ad agire come classe, come un corpo unico.
Intervista a cura di Alessio La China