Nella settimana in cui si celebravano sia la Giornata Internazionale dei Lavoratori che la Giornata mondiale della salute e della sicurezza, la classe lavoratrice avrebbe dovuto essere protagonista di tutt’altro, rispetto alle vicende di cronaca nera.
La morte di Luana D’Orazio, rimasta incastrata in un orditorio, a cui dalle prime evidenze delle indagini sembra fosse stato disattivato il meccanismo di sicurezza per aumentare la velocità di lavorazione, ha riacceso momentaneamente l’interesse mediatico e delle istituzioni sul tema, a causa delle sue tragiche caratteristiche in grado di smuovere la sensibilità del grande pubblico, generando un prevedibile carosello di retorica e dichiarazioni di intenti ma nessun reale progresso nella storica contraddizione tra profitto e sicurezza sul lavoro. Negli stessi giorni un operaio quarantanovenne ha perso la vita schiacciato da un tornio a Busto Arsizio e sei persone sono state travolte da una trave nel cantiere per la costruzione del nuovo polo logistico di Amazon ad Alessandria, causando un decesso. Altri due giovanissimi sono deceduti: Sabri Jaballah è morto a Febbraio a pochi chilometri da dove è avvenuto l’incidente della D’Orazio, anch’esso in una azienda tessile, schiacciato dalla pressa che stava pulendo, mentre dopo Luana anche Samuel Cuffaro, diciannovenne con un contratto a chiamata, è rimasto vittima in un’esplosione avvenuta alla Greenwest di Gubbio. Nel giro di poche ore l’ulteriore notizia di un operaio cinquantenne caduto da un ponteggio a Varese rende palese anche a chi non si occupa sistematicamente di questo argomento quanto l’emergenza sicurezza sul lavoro sia permanente.
Il quadro che emerge dai dati Inail è impietoso e mostra numeri da capogiro: le denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale presentate all’istituto entro il mese di marzo sono state 185, 19 in più rispetto alle 166 registrate nel primo trimestre del 2020 (+11,4%), con una media di due morti al giorno dal 1 gennaio al 31 marzo 2021. La legislazione vigente sul lavoro di certo non aiuta così come il sistema di norme che regolamentano gli appalti: il circo delle gare d’appalto e dei General Contractor rende difficile individuare le responsabilità nel gioco delle scatole cinesi e da sempre gli imprenditori vedono gli oneri sostenuti per la sicurezza dei lavoratori come un costo e un ostacolo al perseguimento del proprio profitto, non ottemperando così dove possono neanche agli esigui obblighi che la legge impone loro. La retorica per cui le spese per la sicurezza costituiscono una zavorra al fine ultimo del profitto è spesso legittimata, in maniera nemmeno troppo surrettizia, dalla narrazione che si impone sui mezzi d’informazione. Questa narrazione cessa, ipocritamente, solo nelle giornate a ridosso degli eventi più tragici, come la morte di Luana, che fanno breccia nel muro del silenzio imposto alla tragedia continua degli infortuni e delle morti sul lavoro. Non si può parlare di fatalità quando i responsabili hanno nomi e cognomi: la narrazione borghese degli eventi ha ampiamente dimostrato non solo la disparità di trattamento con cui questi fatti vengono riportati (tanto da portare la madre di Sabri a lamentarsene in una intervista) ma anche come il linguaggio usato tenda sempre a deresponsabilizzare i padroni.
La situazione del distretto tessile di Prato è ben nota nel mondo sindacale: il sindaco Biffoni ha istituito da tempo una task force comunale straordinaria per aumentare la vigilanza su una realtà problematica come poche altre in Italia. Provvedimento che risulta tardivo e non incisivo alla luce degli ultimi accadimenti: nel quadrilatero operano circa 30.000 imprese di piccole e medie dimensioni e gli ispettori addetti al rispetto delle norme sono ufficialmente 48, situazione che non facilita una capillare attività di controllo, a cui vanno aggiunte le ingerenze della malavita organizzata, complice della dirigenza nella repressione delle lotte. La vicenda Texprint è emblematica in tal senso: i lavoratori sono in sciopero da cento giorni per rivendicare giornate lavorative di 8 ore per 5 giorni la settimana, a fronte delle 12 attuali su 7 giorni, ed è stata ampia la solidarietà da parte di organizzazioni, lavoratori, studenti e volti più o meno noti della politica e della cultura.
Nel 2021 mai ci saremmo aspettati di dover ascoltare di nuovo slogan che reclamano a gran voce le 8 ore di lavoro, con un significativo arretramento nella lotta di classe e nei diritti basilari dei lavoratori. Mentre Landini, durante il seminario online organizzato il 28 aprile, predica: “Salute e sicurezza vengono prima del profitto, questo è il messaggio che vogliamo lanciare e l’impegno che assumono Cgil, Cisl e Uil”, a Prato i Si Cobas denunciano come ai lavoratori dell’azienda sia stato impedito di parlare dal palco della manifestazione indetta il 7 maggio in Piazza delle Carceri.
In un contesto già difficile, la pandemia in atto ha agito da catalizzatore per quei processi esplosivi già innescati dalla crisi globale che il capitalismo sta attraversando, riportando a rivendicazioni legate ad un livello di sopravvivenza invece che di avanzamento. In considerazione di questo è evidente come l’unione e la connessione delle lotte in un unico fronte dei lavoratori, che risponda prontamente e in maniera coesa all’evidente arretramento provocato dalla politica del governo e dei padroni, sia l’unica via percorribile per la classe lavoratrice.
Sarah Romagnoli