La Calabria è una delle regioni in cui la conflittualità degli operatori sanitari si dimostra più alta, per via di una serie di fattori che esacerbano l’aziendalizzazione del SSN portata a compimento negli ultimi lustri in tutto il paese e le conseguenze di questa sulla qualità delle cure e del lavoro di infermieri e medici. Uno di questi fattori è il commissariamento della sanità regionale , inaugurato nel 2009 con relativo piano di rientro e, finora, dimostratosi inutile e deleterio in vista del raggiungimento dei Livelli Essenziali di Assistenza.
Un altro fattore, strettamente legato al primo, è l’effetto regressivo del regionalismo sanitario della gestione localistica del diritto alla salute. In altre parole, il fatto che i territori più svantaggiati, per via della diminuzione dei fondi perequativi rispetto alle risorse proprie1, incontrano più difficoltà nell’assicurare un servizio veramente universale (soprattutto tenendo in considerazione il fatto che, nella ripartizione dei fondi sanitari, non si tiene conto del tasso di morbilità e comorbilità di una regione, più alto nelle regioni povere). A tutto questo, che renderebbe praticamente impossibile uscire dal commissariamento senza smantellare completamente la sanità territoriale, si accompagna la gestione di commissari che si limitano ad applicare vincoli di bilancio e stigmatizzano ogni protesta popolare o di lavoratori affrontandola come fosse un problema di ordine pubblico.
Paradossalmente, infatti, il Commissario in Calabria non ha ancora neanche provveduto ad adottare il Programma operativo di prosecuzione del Piano di rientro per il periodo 2022-2023 , indispensabile per sbloccare i 60 milioni previsti dal Decreto Calabria 20212. Nella cornice della perenne austerità finanziaria, dunque, i pochi fondi che esistono non sono spesi o ppure sono spesi in maniera inefficiente e clientelare – come dimostrano i tanti casi di fatture doppie pagate dalle Asp a vari appaltatori e cliniche private3. A tutto questo si accompagna in Calabria, come in tutta Italia, il perenne aumento della quota di spesa riservata alla sanità privata. A tal proposito occorre ricordare che, secondo dati del ministero della Salute, si riporta nell’intero Paese una riduzione delle strutture pubbliche dedicate all’assistenza territoriale, solo tra il 2014 e il 2017 del 3,2%, compensata da un aumento dell’8% delle strutture private .
La disgregazione del sistema sanitario nazionale, a cui le circostanze appena descritte sono legate, è resa palese anche dal tasso di copertura delle Unità Speciali di Continuità Assistenziale (USCA). Il decreto legge del 9 marzo 2020, all’articolo 14, aveva previsto l’attivazione delle USCA con il mandato di gestire in assistenza domiciliare i pazienti che non necessitano di ricovero. Secondo la norma, ogni unità dovrebbe coprire un bacino di utenza di 50 mila individui. La mappa sviluppata dall’ALTEMS evidenzia un tasso di copertura medio (3 settembre 2020) a livello nazionale del 49%. La Valle d’Aosta e la Basilicata risultano le regioni con la copertura più alta, con il 119% e il 107%, mentre i valori più bassi si registrano in Campania, in Lombardia e nel Lazio4. In Calabria la copertura si ferma al 44%, senza contare che nell’efficienza delle USCA entra in gioco un ultimo fattore escluso dal computo quando si tratta di calcolare i finanziamenti necessari ad ogni amministrazione per coprire le reali necessità regionali, ovvero la morfologia del territorio (il che significa che la copertura di uno stesso bacino di utenti comporta sforzi e risultati differenti di luogo in luogo).
In questo quadro generale della situazione, si situano i precari che lavorano nelle strutture ospedaliere calabresi , oberati da turni di lavoro insostenibili e, nello stesso tempo, dalla consapevolezza di non avere una sicurezza lavorativa tale da permettere loro di affrontare con serenità gli impegni professionali. L’impossibilità di bandire concorsi (dovuta al piano di rientro) e la necessità, da parte delle aziende provinciali, di limitare gli impegni finanziari a lungo termine, hanno portato all’esplosione del problema sociale del precariato dei così detti “eroi” della sanità, che hanno iniziato il 17 giugno uno stato di agitazione che si protrarrà fino allo sciopero generale della sanità pubblica proclamato per inizio luglio (con probabile data l’8 del mese). Sullo stato dei fatti chiediamo approfondimenti a Vittorio Sacco, sindacalista dell’Unione Sindacale di Base che sta promuovendo la mobilitazione.
Vittorio, quali sono i numeri degli operatori sanitari senza contratti stabili in Calabria?
Innanzitutto è bene ricordare che 18 infermieri e 17 medici sono i numeri dei contratti a tempo indeterminato sottoscritti in tutta la Regione Calabria per affrontare l’emergenza Covid. Sì, avete capito bene: nel quadro di una pandemia globale il nostro territorio ha potuto giovarsi di soli 35 professionisti stabili in più.
Il resto, circa 1450 operatori sanitari, è stato assunto attraverso varie tipologie contrattuali, che vanno dal co.co.co al tempo determinato, passando per le prestazioni d’opera. Sono 1450 persone che, a breve, rischiano di dover lasciare il delicato e fondamentale lavoro che stanno svolgendo per via della scadenza dello stato di emergenza prevista dal Governo per il 31 luglio. Chi vive in Calabria sa bene che questi 1450 operatori sono vitali non solo per affrontare le emergenze ma, soprattutto, per garantire un minimo di funzionamento in sicurezza del sistema sanitario. Chi è costretto alla migrazione sanitaria (che costa 350 milioni di euro ogni anno) o ai tempi biblici per fare delle normali visite di controllo, chi ha difficoltà a fare una TAC o una PET anche se malato oncologico, chi ha bisogno di assistenza domiciliare sa benissimo che questi operatori servono come il pane qui ed ora.
Quali sono le ultime novità nel confronto con le istituzioni?
Dopo i primi presidi fatti all’azienda sanitaria Mater Domini di Catanzaro siamo stati ricevuti da Procopio, il commissario alla guida dell’azienda ospedaliera Pugliese Ciaccio, il quale ci ha detto che, qualora il governo centrale non prorogasse lo stato di emergenza, non esclude esuberi nel personale precario assunto con fondi Covid. Tradotto in italiano: licenziamenti e gente a casa. Ci ha, poi, confermato le cifre che sapevamo: ci sono 206 precari fuori da qualsiasi percorso di stabilizzazione solo all’interno dell’ospedale Pugliese Ciaccio, uno dei maggiori presidi ospedalieri di Catanzaro. Ci ha confermato anche che lo stesso si trova sotto organico di 300 unità (considerando i precari in servizio). C’è quindi la volontà di far permanere gente precaria ma sempre considerato gli eventuali esuberi di cui sopra.
Sono state prese delle decisioni concrete sul futuro dei precari?
A detta sua (ma mi sento di concordare) la storia del Covid non è finita e quindi vuole premunirsi per una eventuale ondata in settembre/ottobre. Per questo ha preso un finanziamento da Invitalia per istituire un centro Covid con posti letto per pazienti intensivi e subintensivi. Quello che sta pensando è di far permanere i precari al centro Covid e spostare chi è in fase di stabilizzazione in altri reparti. Ha poi intenzione di assorbire personale dalla graduatoria di Cosenza ma la sovrastima, visto che è quasi finita e non tutti i rimanenti accetteranno. In sintesi, è evidente che dire che si naviga a vista è un eufemismo e rimane il problema degli esuberi (gente a casa) che la dirigenza non quantifica. Quindi l’invito è ancora una volta quello di continuare la mobilitazione perché nessuno in questo momento è al sicuro.
Come si svolgeranno le mobilitazioni di queste settimane?
Abbiamo già fatto due presidi alle due aziende sanitarie di Catanzaro (quella ospedaliera e quella dell’ospedale universitario), con relativa “occupazione” degli uffici della dirigenza al fine di pretendere un incontro. In essi infermieri e militanti politici a sostegno della protesta si sono vestiti simbolicamente con tute anti-Covid, un abbigliamento che i precari devono tenere per un’intera giornata di lavoro. Altre azioni dimostrative si faranno da qui a fine mese agli ospedali di Cosenza, Reggio Calabria e agli ospedali di montagna. Cerchiamo il massimo sostegno popolare e la massima solidarietà di classe per lo sciopero di luglio.
Quali risultati ha prodotto la lotta dei lavoratori degli ultimi mesi?
L’Asp di Cosenza giusto pochi giorni fa ha pubblicato la delibera con la stabilizzazione per i precari che avevano raggiunto i 36 mesi nel 2020, così come previsto nell’Art. 20 del D.lsg. 75/2017 e successive modifiche. Fuori dal burocratese, significa che dopo le manifestazioni e pressioni sindacali dell’Usb l’Asp di Cosenza ha posto fine alla precarietà lavorativa di 70 persone, per lo più infermieri ma anche medici tecnici e Oss. Persone che dopo anni di sacrifici e precarietà adesso sono dipendenti a tempo indeterminato e si aggiungono ai circa 600 operatori sanitari che hanno già raggiunto quest’obiettivo qualche mese addietro, anche grazie all’Usb.
1 https://www.camera.it/temiap/documentazione/temi/pdf/1104197.pdf?_1591182412901#:~:text=La%20misura%20percentuale%20della%20quota,1%2C%20del%20decreto%20legge%20n.
2 https://www.quicosenza.it/news/calabria/411677-sanita-sapia-sbloccare-i-60-mln-per-le-assunzioni-in-calabria?fbclid=IwAR1mV_0MpJoVujwPe1aaFoqZQtoEm2palChHPy0SsesvqFgzXXmtMKEdaZQ
3 https://ildispaccio.it/reggio-calabria/272225-doppie-fatture-pagate-dall-asp-di-reggio-calabria-sequestro-e-segnalazione-per-danno-erariale-di-oltre-4-milioni-di-euro-per-studio-radiologico-privato