Il caro-bollette per la ripresa dei profitti e il prezzo dell’energia ostaggio del mercato
Il rincaro delle bollette di luce e gas rischia di diventare uno dei principali fattori di aumento del costo della vita nel medio periodo per lavoratori e classi popolari. Il rincaro ha un portata ancora incerta in virtù di possibili interventi governativi tutti da analizzare ma ciò che è certo è che le misure non basteranno ad azzerare del tutto i rincari1. Un primo sguardo a questi aumenti può aiutare, pur senza pretesa di esaustività, a inquadrare la dinamica in atto e fornire spunti di indagine sui diversi aspetti.
Il forte aumento dei costi delle materie prime – in continua crescita da inizio 2021 in concomitanza con la ripresa economica dopo i ribassi dovuti la pandemia – nonché la decisa crescita dei prezzi dei permessi di emissione di CO2 hanno portato già nel terzo trimestre dell’anno un aumento di circa il 10% della bolletta dell’elettricità2. Un aumento non scongiurato dal contenuto dei provvedimenti di urgenza annunciati dal governo per diminuire la necessità di raccolta degli oneri generali in bolletta, utilizzando parte di quanto ricavato dalle aste del mercato europeo dei permessi di emissione di CO2 o destinando parte delle risorse della legge di Bilancio3. Il rialzo definitivo è stato a luglio del 9,9% per la bolletta dell’elettricità e del 15,3% per quella del gas per le famiglie aderenti al servizio di maggior tutela, che garantisce al consumatore l’erogazione di energia elettrica e gas alle condizioni economiche e contrattuali stabilite dall’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (Arera) e che costituirà un’alternativa al mercato libero fino al primo gennaio 2023.
Le cause e gli effetti di questi aumenti del prezzo dell’energia hanno, entrambi, una connotazione di classe che sfavorisce, come accennato, lavoratori e classi popolari in contrasto con l’aumento dei profitti dei capitalisti (dell’energia e non solo) nel momento del ritorno della crescita economica.
Alcuni dei fattori che danno l’idea dell’attacco di classe ai danni dei lavoratori che si sta attuando in questa fase e che prende forma anche con i rincari di cui parliamo, nel contesto delle riforme previste dal PNRR (quali, ad esempio, la liberalizzazione dei subappalti nelle gare pubbliche e la deroga dei tempi per la Valutazione di Impatto Ambientale), si possono riassumere nei seguenti punti:
- il calcolo dell’aumento dei minimi retributivi, che non considera il reale aumento del costo della vita;
- il contesto di mercato nel quale comunque operano anche gli attori preposti alla realizzazione del servizio di maggior tutela;
- il grande profitto estratto dai privati dalle infrastrutture “pubbliche”.
In riferimento al primo punto, con il Patto della Fabbrica, ratificato il 9 marzo 2018, Confindustria, Cgil, Cisl e Uil avevano deliberato insieme che l’aumento dei minimi tabellari – ovvero del trattamento economico minimo – avvenisse in funzione degli scostamenti registrati nel tempo dall’IPCA (Indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato, che rappresenta uno dei tassi d’inflazione) al netto dei prezzi dei beni energetici importati come calcolato dall’ISTAT, per il periodo di vigenza del contratto (aumenti che possono avvenire, dunque, solo ai rinnovi contrattuali)4.
Se si prende atto che la maggior parte dell’aumento dei prezzi e del carovita dipende proprio dall’aumento dei beni energetici, oltre che dai beni alimentari (altra commodity sottoposta a speculazione finanziaria nel mercato globale), si capisce come quell’accordo non faccia altro che permettere alle imprese (che possono alzare i prezzi in presenza di un aumento del costo dell’energia) di scaricare le oscillazioni del mercato dell’energia sui salari dei dipendenti. In questo senso appaiono evidenti i limiti di quei rinnovi di Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro che per diverse categorie hanno sancito definitivamente retribuzioni ed incrementi slegati dal costo dell’energia ed hanno, inoltre, previsto degli aumenti dei minimi tabellari inferiori alle maggiorazioni sul costo della vita che i lavoratori dovranno sostenere.
Il Codacons, inoltre, ha da poco stimato, e gli avvenimenti recenti ne danno prova,che, oltre l’aumento vertiginoso delle bollette del gas, ci saranno rincari della benzina alla pompa che produrranno un aggravio di spesa, solo per i rifornimenti di carburante, pari a + 324 euro annui a famiglia. Il quadro che ne deriva mostra già un meccanismo che scarica speculazione e competizione sulla qualità della vita dei lavoratori5. Andando più nel profondo, vale la pena osservare il funzionamento dell’attuale servizio di maggior tutela del mercato energetico italiano, meccanismo già destinato all’estinzione dal 1999 (decreto legislativo 79), dopo le privatizzazioni e le liberalizzazioni dei fornitori dell’energia, e la cui sparizione è stata prorogata, per gli utenti privati, al 1° gennaio 2023.
Il servizio di maggior tutela, pensato per rendere meno “traumatico” il passaggio al libero mercato in attesa che il meccanismo della concorrenza (come sostengono a torto i fautori delle liberalizzazioni selvagge) renda i prezzi dell’energia sufficientemente flessibili e convenienti, pur essendo risultato negli anni, ancora, più economico per i singoli utenti rispetto al servizio non tutelato, non si sgancia affatto dalle logiche di mercato. Il principale attore del servizio è l’Acquirente Unico, che svolge l’attività di approvvigionamento di energia elettrica, cedendo agli esercenti e agli utenti tale energia elettrica e calcolando mensilmente il prezzo di cessione secondo le direttive dell’autorità Arera – che si occupa della regolazione di vari campi della fornitura di energia6. Nell’attesa che tutti i milioni di consumatori domestici e piccole e medie imprese che si affacciavano al mercato per la prima volta scegliessero un fornitore sul mercato libero, la legge ha affidato nel 1999 all’Acquirente Unico l’acquisto di energia sul mercato all’ingrosso per il complesso di questi piccoli consumatori, affidando il compito di svolgere il servizio di vendita di tale energia (essenzialmente, fatturazione ed assistenza commerciale) a società appositamente costituite dai distributori (o ai distributori stessi, se di piccole dimensioni). Sulla base dei costi di approvvigionamento dell’Acquirente Unico, viene definito mensilmente un prezzo medio dell’energia (detto Prezzo di cessione) che viene poi trasferito alle imprese che forniscono l’elettricità al mercato tutelato, che risulta quindi derivare dall’incontro tra domanda ed offerta sui mercati all’ingrosso. Il ruolo dell’Acquirente Unico come aggregatore della domanda ha fino ad oggi perciò consentito ai piccoli consumatori di beneficiare delle opportunità offerte dai mercati all’ingrosso alla stregua di quella dei consumatori di maggiori dimensioni e con più elevato potere negoziale individuale. Il contesto di mercato nel quale comunque questo meccanismo si è sempre sviluppato, assieme alle dinamiche legate al carattere oligopolista dei settori della produzione e della distribuzione delle risorse naturali così come della distribuzione dell’energia stessa, non ha impedito comunque nel corso degli anni aumenti per le famiglie. Gli attuali aumenti delle bollette, che riguardano il servizio di maggior tutela, si situano in questa cornice – mentre gli stessi attori, operando nel mercato libero, presentano alle classi lavoratrici aumenti meno sostenuti solo se paragonati agli aumenti monstre che caratterizzano il mercato all’ingrosso storicamente più conveniente7. Alla radice della distribuzione degli oneri di approvvigionamento dell’energia e dei profitti tratti “di diritto” da esso vi è sempre la politica aziendale dei privati che si occupano della produzione dell’energia stessa. A ciò si aggiunge il peso dei profitti dei privati nel processo di produzione dell’energia, come spiega il presidente di Nomisma Energia Davide Tabarelli le grandi compagnie dell’energia stanno, in effetti, accumulando enormi profitti grazie alle dighe in concessione presenti soprattutto nel Nord del paese. L’idroelettrico costituisce circa la metà della produzione energetica italiana da rinnovabili, però le grandi dighe alpine sono impianti ormai completamente ammortizzati nei loro costi. Ciò significa che si tratta di energia prodotta quasi a costo zero, circa 10 euro per megawatt/ora, e poi venduta sul mercato ai prezzi correnti che nei momenti di picco arrivano a 150 euro8. Con queste quotazioni i gestori di questi impianti, come l’Enel (di cui lo Stato è azionista di maggioranza relativa con il 23,5%), A2A (di cui il comune di Milano e di Brescia posseggono il 25% a testa) ed Edison (controllata dalla francese Edf), ottengono profitti quantificabili in circa 4 miliardi di euro l’anno9. Le strutture alla base della produzione dell’energia idroelettrica vengono assegnate in concessione e, quindi, il fatto che lo Stato non intervenga gestendo in maniera pubblica il servizio ed abolendo i profitti privati a favore dello sviluppo collettivo del paese (o che lo faccia provando a tamponare gli effetti negativi di queste rendite senza intaccare appunto, queste ultime) è già un indizio politico di quale sia la natura di classe dello Stato e degli interessi che esso tutela.
A notare gli effetti dell’impostazione del sistema di produzione dell’energia idroelettrica e la natura politica delle scelte alla base di questa stessa impostazione sono anche, ad esempio, “addetti ai lavori” del settore energetico. Anni fa Federico Pontoni (programme director del programma di ricerca Technologies for Energy Transition – fondazione FEEM) scriveva:
«Il diritto di godimento della rendita è un argomento complesso, soprattutto quando si tratta di rendite derivanti dallo sfruttamento di risorse naturali perché nella maggior parte dei paesi, Italia inclusa, le risorse naturali sono di proprietà dello Stato che ne concede, normalmente, lo sfruttamento ai privati. La ripartizione della rendita fra Stato (proprietario della risorsa) e privato (che ne rende possibile la valorizzazione economica) dipenderà dagli obiettivi politici […] Per fare un esempio anche stimando la rendita dal prezzo medio di mercato dell’energia elettrica, si può notare come, ogni anno, l’idroelettrico della Valtellina ottenga una rendita di circa 170 milioni di euro. Fra canoni, sovra-canoni, Imu e tassazione societaria, lo Stato se ne accaparra poco più della metà10».
Si può cominciare a dipingere un panorama in cui non solo, in generale, gli investimenti per una effettiva innovazione nella produzione dell’energia, orientata a compatibilità ambientale e ed eguaglianza per i fruitori, sono frenati dagli interessi dei monopoli attuali11 ma in cui, soprattutto, i costi dovuti alla presunta scarsità di risorse e al programma di de-carbonizzazione europeo sono fatti gravare sulle classi popolari nello stesso momento in cui produttori e fornitori di energia non vengono privati di profitti ottenuti anche grazie a meccanismi di rendita di posizione. Questo assetto rischia non di migliorare ma di esacerbarsi. Lo scarso controllo che il pubblico ha dei termini della produzione energetica proveniente da beni che al pubblico apparterrebbero è destinato a ridursi ancora di più, per via del recente passaggio della potestà dallo Stato centrale alle Regioni nel controllo delle infrastrutture idroelettriche. Il Decreto legge (L’articolo 11-quater del D.L. n. 135/2018, cd. “D.L. Semplificazioni, convertito con modificazioni in L. n. 12/2019) dispone la regionalizzazione della proprietà delle opere idroelettriche alla scadenza delle concessioni e nei casi di decadenza o rinuncia alle concessioni. Si dispone, in particolare, il trasferimento alle regioni, una volta cessata la concessione: delle così dette “opere bagnate” (dighe, condotte ecc..) a titolo gratuito e delle così dette “opere asciutte” (beni materiali), con corresponsione di un prezzo da quantificare al netto dei beni ammortizzati, secondo dati criteri12. Le conseguenze di questo passaggio saranno quelle ravvisate in tutti i servizi regionalizzati, come la sanità e parte dell’istruzione: un aumento del potere negoziale dei privati, anche magari attraverso fenomeni di clientelismo e rapporti pubblico-privato opaci, nei confronti di istituzioni pubbliche deboli o in difficoltà economica, peggioramento della qualità del servizio ed aumenti dei costi. Tutto questo finirà col tradursi in un maggiore potere di ricatto dei concessionari privati nei confronti della collettività.
L’inevitabile passaggio al mercato libero integrale sarà solo un perfezionamento delle politiche filo-padronali e aziendalistiche che costituiscono già l’ossatura dell’impostazione istituzionale attuale la quale ha reso inevitabili gli aumenti del costo dell’energia che stiamo vivendo oggi. Nonostante tutto ciò sia giustificato con il solito ricorso alla retorica della competitività e della concorrenza, è opportuno notare che la privatizzazione/liberalizzazione dell’energia elettrica, legiferata formalmente nel 1992 con la direttiva 96/92/CE e iniziata sostanzialmente dal 1994, non abbia raggiunto nessuno degli obiettivi prefissati. Nel sistema della produzione e gestione dell’energia, una volta in mano integralmente all’ENEL come ente pubblico economico, al 2015 si calcolava infatti che i prezzi della maggior tutela erano ancora inferiori del 15% rispetto a quelli del mercato libero. Il giornalista Enrico Cinotti ha calcolato, ad esempio, che su 414 proposte di gestori solo una sessantina prevedono un costo inferiore alla maggior tutela, che in molti casi è di pochi euro all’anno13. L’obiettivo della “libera concorrenza efficiente” si dimostra essere un’asserzione vuota che denota una meta irraggiungibile. Ancora, come scrive E. Giurickovic, master of research in economia, «la paura che i prezzi non diminuiranno tanto è abbastanza comune […]. Questa paura è supportata dall’esperienza Britannica, dove due imprese dominanti hanno condiviso il mercato per diversi anni, mantenendo il prezzo a livelli ben più alti di qualunque immaginabile benchmark competitivo14. […]. L’esperienza Californiana ci dice che, quando la capacità è limitata, anche le imprese relativamente piccole possono essere cruciali, sono cioè decisive a servire i mercati interi e dunque hanno il potere di aumentare i prezzi. In aggiunta, in certi casi, l’unbundling15 del dominante è considerato politicamente impossibile e, quindi, la proposta è quella di introdurre price caps (tetto massimo raggiungibile dal prezzo, ndr), così che le offerte più alte di un dato valore saranno automaticamente tagliate al livello fissato dal cap». La centralizzazione del capitale, la inevitabile limitatezza delle risorse, la capacità di pressione politica di chi possiede un grande patrimonio e, aggiungiamo, l’asimmetria informativa sui reali costi tra il privato che ha i mezzi per produrre e gli eventuali “controllori” sono, dunque, eventualità strutturali nel contesto dell’attuale sistema economico le quali possono alternarsi, sovrapporsi, essere limate ma mai essere eliminate con conseguenze dirette sulla vita di lavoratori e classi popolari.
Note:
- https://tg24.sky.it/economia/2021/09/25/aumento-bollette-perche
- https://www.arera.it/it/com_stampa/21/210701.htm
- https://tg24.sky.it/economia/2021/10/20/costo-energia-elettrica-bolletta
- https://www.confindustria.it/home/patto-per-la-fabbrica?__cf_chl_jschl_tk__=pmd_SVJfONKvKDrscekcKThd8uGEqEsFQ22HWPk5oD1P6hs-1631889652-0-gqNtZGzNAeWjcnBszQk9
- https://codacons.it/benzina-codacons-rincari-per-324-euro-annui/
- http://www.acquirenteunico.it/attivita/acquisti-energia-e-previsioni
- https://www.enel.it/it/supporto/avvisi/variazioni-prezzi-bolletta-luce-gas-enel
- https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/09/14/aumento-bollette-tabarelli-nomisma-energia-per-i-produttori-super-profitti-grazie-allidroelettrico-usiamoli-per-limitare-gli-aumenti/6320244/
- https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/09/14/aumento-bollette-tabarelli-nomisma-energia-per-i-produttori-super-profitti-grazie-allidroelettrico-usiamoli-per-limitare-gli-aumenti/6320244/
- https://www.lavoce.info/archives/18641/rendita-energie-rinnovabili-idroelettrico-renzi/
- https://news-town.it/cronaca/37112-trivelle,-la-proposta-di-piano-delle-aree-del-ministero-della-transizione-ecologica-contestata-da-enti-e-associazioni-forum-h2o-e-soa-%E2%80%9Cun-vero-manifesto-fossile.html
- https://www.camera.it/temiap/documentazione/temi/pdf/1149550.pdf?_1571380716599
- https://ilsalvagente.it/2019/11/27/bollette-caro-ministro-lofferta-e-fin-troppa-e-il-mercato-libero-che-non-conviene/
- https://tesi.luiss.it/15484/1/187571.pdf
- Separazione tra le varie componenti della filiera produttiva di un’impresa verticalmente integrata, qui, Treccani