Alcune questioni nella valutazione degli eventi in Kazakistan
Gli eventi in Kazakistan hanno attirato l’attenzione e suscitato il dibattito con approcci diversi che possono portare a conclusioni fuorvianti e posizioni problematiche per il movimento comunista. Nel precedente articolo abbiamo informato sulle notizie riguardanti l’inizio e la diffusione della rivolta, in questo articolo, attraverso i comunicati dei comunisti russi e kazaki, vogliamo proporre alcuni punti di discussione per un’analisi comunista di classe.
Il carattere di classe della rivolta
Per prima cosa è importante identificare il carattere della protesta a partire dalla comprensione dei luoghi, della classe sociale e le forme da cui è partito il tutto. Il Movimento Socialista del Kazakistan (MSK), partito membro di Solidnet e della Rivista Comunista Internazionale, mai legalizzato e con diversi suoi quadri in esilio, afferma che quella in atto è «una vera e propria rivolta popolare e fin dall’inizio le proteste sono state di natura sociale e di classe, poiché il raddoppio del prezzo del gas liquefatto in borsa è stata solo l’ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso». Inoltre, sottolinea anche che «le manifestazioni sono iniziate proprio a Zhanaozen su iniziativa dei lavoratori petroliferi, che è diventato una sorta di quartier generale politico dell’intero movimento di protesta. E la dinamica di questo movimento è indicativa, poiché è iniziato come una protesta sociale, andando via via espandendosi, e i collettivi operai hanno usato i raduni per avanzare le proprie richieste di aumento del 100% dei salari, respingimento delle conseguenze dell’ottimizzazione (licenziamenti, riduzione salari, ecc.), il miglioramento delle condizioni di lavoro e la libertà di attività sindacale». Si è arrivati così allo sciopero generale del 3 gennaio nella regione del Mangystau, che si è esteso alla vicina regione di Atyrau. Il Partito Comunista Operaio Russo – PCUS (anch’esso membro di SolidNet, della Iniziativa Comunista Europea e della Rivista Comunista Internazionale), nel suo comunicato di solidarietà di classe con i lavoratori in sciopero del Kazakistan, ha messo in evidenza che la vera ragione sta nei «30 anni di dominio del capitalismo in Kazakistan» che «hanno portato a un enorme aumento delle contraddizioni sociali. Il lusso dell’élite coesiste con la povertà delle masse lavoratrici. Un odio particolare del popolo è suscitato dalla prosperità e dal regno del clan di Nazarbayev, ex segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista del Kazakistan, che da compagno si è trasformato in signore e garante della classe sfruttatrice». «Le prime richieste degli scioperanti erano puramente economiche» con «lo sciopero iniziato nella città di Zhanaozen, che è ben nota a noi e al mondo intero» per la brutale repressione dello sciopero petrolifero del 2011 con le autorità che spararono contro i manifestanti. «Non è un caso che gli operai di Zhanaozen, temprati nelle battaglie di classe, siano diventati l’avanguardia della nuova rivolta di classe», affermano i comunisti russi.
Come si è sviluppata e diffusa?
Gli eventi si sono rapidamente sviluppati estendendosi dai luoghi di lavoro alle città urbane, assumendo una dimensione di massa. «Dato che le autorità, come consueto, non hanno risposto alle proteste dei lavoratori, nel giro di pochi giorni lo sciopero ha inghiottito l’intera regione ed è diventata un’agitazione di massa. I lavoratori sono stati sostenuti dai residenti urbani e dopo i lavoratori di molte regioni del Kazakistan hanno scioperato in solidarietà con i loro compagni», riporta il PCOR. Più nel dettaglio, i comunisti kazaki riportano che «il 4 gennaio sono scesi in sciopero i lavoratori della compagnia petrolifera Tengizchevroil, dove la partecipazione delle compagnie americane raggiunge il 75% (Chevron e ExxonMobil, insieme alla kazaka KazMunayGas e la russa LukArco, ndr). Qui, nel dicembre dello scorso anno, sono stati licenziati 40.000 lavoratori ed è stata pianificata una nuova serie di licenziamenti. Sono stati poi sostenuti durante il giorno dagli operai petroliferi delle regioni di Aktobe e del Kazakistan occidentale e Kyzylorda. Inoltre, la sera dello stesso giorno sono iniziati gli scioperi dei minatori della società ArcelorMittal Temirtau nella regione di Karaganda e dei fonditori e minatori di rame del monopolio Kazakhmys, che si potevano già considerare come uno sciopero generale dell’intera industria mineraria del paese», con richieste di «salari più alti, riduzione dell’età pensionabile e diritto a creare propri sindacati e a scioperare». Su questa base di classe e nella forma della lotta di sciopero, le proteste sono in seguito divampate nel resto del paese con manifestazioni e raduni di massa in diverse città. Nonostante le autorità abbiano aperto a concessioni parziali «i lavoratori e il popolo che ormai si era sollevato, non erano più soddisfatti di una pietosa elemosina dalle mani del padrone. Le autorità hanno iniziato a trasferire le truppe verso le grandi città. A seguito le masse di persone che protestano in Kazakistan si sono letteralmente rivoltate, avanzando richieste politiche per destituire il governo del paese e liberarsi dell’odiato clan Nazarbayev». Da chi erano composte queste proteste urbane? Secondo quanto comunicato dal MSK «ad Almaty (capitale finanziaria del paese dove si sono registrati gli scontri di maggiore intensità tra il 4 e 5 gennaio, con l’assalto anche alla sede istituzionale cittadina, portando alla proclamazione dello stato d’emergenza) hanno partecipato soprattutto giovani disoccupati e migranti interni che vivono nei sobborghi della metropoli e che svolgono lavori precari o sottopagati».
A questo punto il presidente Tokayev ha deciso di sciogliere il governo e di assumere la carica di presidente del Consiglio di Sicurezza (di fatto la più alta carica del paese) al posto di Nazarbayev e di rimuovere anche suo nipote, Samat Abish, dalla carica di primo vice del Comitato per la sicurezza nazionale (KNB). Anche il segretario di Stato, Ktymbek Kusherbaev, è stato rimosso e al suo posto è stato nominato un assistente dell’attuale presidente, Erlan Karin (un sostenitore del panturchismo e promotore di movimenti nazionalisti in Kazakistan). Se da una parte può apparire come una tipica “operazione di maquillage”, in realtà possiamo anche leggervi un regolamento di conti ai più alti livelli degli apparati del regime alla luce di possibili nuovi equilibri (colpi di stato di palazzo o azioni simili sono delle opzioni in queste situazioni)1. Il 5 gennaio, le proteste non si sono fermate ed hanno raggiunto anche i territori del Kazakistan settentrionale e orientale che non erano stati ancora coinvolti, e sono continuati anche gli assalti di alcuni gruppi a sedi istituzionali. Nella stessa Zhanaozen, è stato creato un Consiglio che è diventato un organo informale locale di governo e i lavoratori hanno avanzato nuove richieste quali le dimissioni dell’attuale presidente e tutti i funzionari di Nazarbayev, il ripristino delle libertà per la formazione di partiti e sindacati, la liberazione di prigionieri politici e la fine alla repressione, una piattaforma che si è andata diffondendo nel movimento nelle varie aree del paese che ha assunto un contenuto politico. «Sono stati fatti anche tentativi sul terreno per creare comitati e consigli per coordinare la lotta», informa il MSK.
L’inserimento di altri strati sociali e gruppi che possono deviare e strumentalizzare la protesta
Da un lato nella notte tra il 5 e il 6 gennaio sono entrate in azione le truppe speciali e sono iniziate delle sparatorie in vari centri urbani con diverse decine di morti, dall’altro sono state fatte delle concessioni con il fine di placare e disarticolare le proteste, nel mentre avvenivano le manovre alla testa del regime e si apriva la strada all’intervento delle forze del CSTO.
«Tuttavia, non c’è modo di essere compiaciuti e celebrare la vittoria» per le concessioni sulle richieste economiche e le dimissioni del governo. «Il potere nel paese rimane nelle mani del grande capitale. Le truppe non sono state riportate alle loro basi permanenti. Le imprese sono nelle mani degli stessi proprietari. Le autorità si sono già rivolte ai loro partner del CSTO, che comprendono i pericoli dell’esempio della rivolta popolare per altre repubbliche. Bisogna capire che la borghesia kazaka ha già superato il limite nel 2011 sparando ai lavoratori di Zhanaozen. Oggi, probabilmente non si fermeranno davanti a nulla. Alla minima occasione, i lor signori si riprenderanno tutte le concessioni fatte e la repressione tornerà con la stessa rabbia. Il capitale non può esistere senza sfruttamento. Perciò i lavoratori devono organizzarsi in organizzazioni di classe e lottare non per la sostituzione di un clan con un altro, ma per il proprio potere operaio», afferma il PCOR.
Particolare attenzione deve esser posta sull’approccio dei comunisti rispetto alla complessità della protesta popolare nelle condizioni attuali, dove manca anche un forte soggetto rivoluzionario di classe2. Altri strati sociali, gruppi nazionalisti, etnico-religiosi (islamisti, pan-turchisti) o di altra matrice (fondazioni filo-occidentali) si sono inseriti, con annesso tentativo di strumentalizzare e influenzare le proteste, al fine di far avanzare una propria agenda politica più o meno in collegamento con gli interessi di potenze imperialiste. Bisogna qui ricordare che questi gruppi sono stati tollerati, usati e alimentati in vario modo nella collaborazione con il regime capitalista Nazarbayev-Tokayev: un esempio è la riabilitazione dei collaborazionisti nazisti della Legione SS Turkestan e delle unità SS musulmane Mustafa Shokai, così come il riconoscimento del presunto ‘”Holodomor” kazako come genocidio, la rimozione di monumenti dedicati a Lenin e la ridenominazione di strade, villagi e città, nonché altre politiche xenofobe, di discriminazione dei cittadini di lingua russa e che alimentano lo scontro interetnico.
Nonostante il fatto che gli eventi si siano sviluppati dal basso con una composizione prevalentemente operaia e popolare, esiste naturalmente la possibilità che settori oligarchici3 sostenuti dall’estero tentino di approfittarne per i loro scopi, così come si è verificata anche la diffusione di pratiche provocatorie, di devastazione, di saccheggio e criminalità comune, in particolare ad Almaty e più genericamente nelle regioni orientali del paese, dove è meno forte la tradizione di lotta operaia. Qui è emersa l’influenza di gruppi nazionalisti, islamisti, nonché liberali, che si sono mischiati alle proteste cercando di prenderne la testa, consentendo la manipolazione della caratterizzazione della rivolta con gli eventi incentrati a Almaty, giustificando così la criminalizzazione e la repressione. Si possono fare tante ipotesi su chi e come abbia usato (o tentato) questi fatti, ma di certo non possono essere separate dal sistema socio-economico e dalle competizioni, né possono negare la necessità dei lavoratori di lottare per cambiare la situazione. «I comunisti – prosegue il comunicato PCOR – sono consapevoli che queste proteste non avvengono senza la partecipazione di altri clan capitalisti che si oppongono alla famiglia Nazarbayev – troppo evidente era la sincronizzazione delle proteste e l’unilateralità degli slogan. Non è un segreto che da molti anni, varie ONG finanziate dal capitale, compresi grandi paesi stranieri, stanno lavorando alla formazione di attivisti sul territorio delle ex repubbliche sovietiche. Gli attivisti hanno il loro quartier generale, le loro finanze, le loro connessioni e ad un certo punto cercano di cavalcare le proteste e portarle nella direzione che vogliono i loro padroni, riducendo tutto alla sostituzione di una cricca dominante con un’altra, ma lasciando intatti i rapporti di proprietà privata. Ogni protesta di massa del popolo risveglia diversi strati sociali alla vita politica. Il nostro partito esprime un appoggio incondizionato ai lavoratori che lottano contro gli abomini del capitalismo e la classe dominante che ha perso ogni vergogna. Vediamo nella loro lotta la crescita dell’autocoscienza della classe operaia, l’acquisizione di un’inestimabile esperienza di lotta riuscita e la consapevolezza della necessità dell’organizzazione di classe. Di particolare importanza è la realizzazione della necessaria solidarietà di classe, il passaggio dalle richieste a un padrone alle richieste all’intera classe dominante, e dalle rivendicazioni puramente economiche a quelle politiche».
Il “pericolo” “Maidan”, l’intervento delle forze CSTO e i comunisti
Come è noto, l’Organizzazione Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) – guidata dall’imperialismo russo – ha inviato nel paese, ai sensi dell’articolo 4, più di 3.000 soldati, ufficialmente, per “un periodo di tempo limitato al fine di stabilizzare e normalizzare la situazione”, contro “l’ingerenza straniera” e “le bande terroristiche internazionali”. In questo modo, l’imperialismo russo sfrutta l’occasione per rafforzare la sua egemonia e gli interessi dei suoi monopoli in un paese strategico per la sua sfera d’influenza “euroasiatica” (ricordiamo che il Kazakistan è membro dell’Unione Economica Eurasiatica e del CSTO). Lo stesso vale per la Cina, anch’essa subito schierata a sostegno di Tokayev, che ha nel Kazakistan, membro dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, un passaggio fondamentale della nuova “Via della Seta”. Allo stesso tempo, l’intervento russo rafforzerà i nazionalismi, l’autoritarismo borghese e la repressione antiproletaria, mentre stringerà a sé il regime kazako che, benché se ne creda, non corrispondeva di certo ad un “alleato di ferro”. A loro volta gli USA e l’UE accresceranno le loro azioni e meccanismi nella disputa interimperialista.
Va qui sottolineato, infatti, che se è vero che i capitali cinesi e russi hanno una notevole presenza4, va altresì tenuto ben in considerazione che il 70% del petrolio kazako arriva nei mercati occidentali e sono soprattutto i monopoli degli USA (Chevron, ExxonMobile)5, ma anche GB e dell’UE6 (Eni, Total, Royal Dutch Shell)7, a gestire ampia parte della produzione petrolifera del Kazakistan8, che considerano un “partner strategico per la stabilità regionale”9. Il governo kazako ha applicato in questi decenni i piani del FMI e della Banca Mondiale con relative riforme capitalistiche sulla liberalizzazione e privatizzazione. Gli USA e la NATO possiedono anche laboratori militari e conducono esercitazioni militari in Kazakistan. Inoltre, su iniziativa di Nazarbayev, il Kazakistan ha promosso la creazione dell’Organizzazione degli Stati Turchi con l’appoggio di Erdoğan, un nuovo blocco capitalista e imperialista che mira a operare sotto gli auspici di Ankara per favorire l’espansione di quest’ultima10. Il regime borghese del clan Nazarbayev, ha governato col pugno di ferro, mantenendosi al potere in questi 30 anni di controrivoluzione, sfruttando questo delicato equilibrio nelle contraddizioni interimperialiste che difficilmente potrà rimanere immutato data la recrudescenza della competizione. Bisogna sempre tenere alla base di ogni considerazione, che a determinare l’atteggiamento di queste potenze nei confronti del regime kazako (e viceversa) non sono nient’altro che gli interessi capitalistici, economici e geostrategici. Di conseguenza ognuno cerca di compiere le proprie mosse (usando tutti i mezzi) per trarre vantaggio dalla situazione, aprendo una nuova fase di competizioni e contrattazioni con mire che riguardano in particolare la redistribuzione delle rotte energetiche, delle risorse e delle sfere d’influenza.
Nella lettura (distorta) prevalente, immediato è stato il richiamo al pericolo di una nuova “Maidan” o “rivoluzione colorata”. In merito a ciò, il PCOR afferma che «le autorità del Kazakistan e la borghesia della Federazione Russa con una sola voce stanno diligentemente eludendo l’essenza di classe degli eventi e stanno cercando di ridurre le loro valutazioni all’intimidazione del “Maidan”. Pogromisti e nazionalisti stanno già giocando un ruolo provocatorio nelle file dei manifestanti. Questa è una tattica nota da tempo alla borghesia – distorcere l’essenza degli eventi, ridurli dalla lotta di classe a cospirazioni e colpi di stato. I comunisti hanno già imparato le loro lezioni dagli eventi in Ucraina e hanno da tempo avvertito che anche se non ci fosse stato un Maidan, sarebbe stato redditizio per la borghesia inventarlo come uno spauracchio». I comunisti russi si schierano quindi «contro l’uso delle forze del CSTO come gendarmi e l’ingerenza della Federazione Russa negli affari del Kazakistan, il possibile uso da parte delle autorità russe dell’esperienza della sanguinosa soppressione della rivolta popolare dell’ottobre 1993 e la fascistizzazione dei regimi e autorità del CSTO».
Le posizioni dei comunisti russi e kazaki e la solidarietà internazionalista
Il MSK ha fatto appello a «formare comitati d’azione unificati su base territoriale e produttiva per opporre una resistenza organizzata al terrore militare e poliziesco», considerando che di fronte a «una repressione violenta di tutte le proteste e degli scioperi, è necessario paralizzare completamente il paese con uno sciopero generale». Il PCOR evidenzia che la «situazione rivoluzionaria è ancora molto lontana. I lavoratori del Kazakistan non hanno ancora un’organizzazione, tanto meno una coscienza comunista. Ma hanno fatto un passo avanti nella loro lotta, e questo passo deve trovare il nostro sostegno […] Sappiamo che ogni passo nella lotta di classe, è un passo avanti. Oggi impareranno a fare richieste limitate, sentiranno la loro forza, otterranno una riduzione dei prezzi e le dimissioni del governo, domani, vedrete, troveranno un partito con la conoscenza del cammino verso il socialismo».
I comunisti kazaki chiedono «il sostegno di tutto il movimento operaio e comunista internazionale, delle associazioni di sinistra e l’organizzazione di una campagna su larga scala nel mondo», sulla base di queste richieste: «La fine immediata della repressione contro il nostro popolo e il ritiro delle truppe dalle città, le dimissioni immediate di tutti i funzionari di Nazarbayev, compreso il presidente Tokayev, la liberazione di tutti i prigionieri e detenuti politici, che venga garantito il diritto per i lavoratori di creare i propri sindacati, partiti politici, di fare scioperi e riunioni e la legalizzazione delle attività dei vietati Partito Comunista del Kazakistan e del Movimento Socialista del Kazakistan». Inoltre, rilanciano la storica rivendicazione dei lavoratori petroliferi uccisi a Zhanoezev nel 2011 di prendere «sotto il controllo dei collettivi operai, l’intera grande industria del paese, a partire da quella estrattiva». Il PCOR, ha da subito manifestato la solidarietà internazionalista con i compagni e i lavoratori kazaki in lotta. Un picchetto dimostrativo nei pressi dell’ambasciata kazaka a Mosca, è stato represso dalle autorità russe con l’arresto di una decina di militanti del partito e di altre organizzazioni dei lavoratori. «Viva l’internazionalismo proletario! Lavoratori della Russia! Sollevatevi per combattere il potere del capitale insieme ai nostri fratelli di classe kazaki!», è stato il messaggio.
Alcuni partiti comunisti hanno così espresso giustamente solidarietà internazionalista alle lotte e agli scioperi dei lavoratori e dei comunisti kazaki, nonché contro ogni ingerenza imperialista (sia di USA, UE che di Cina e Russia). Di contro, il Segretario generale del PCC, Xi Jinping, esprime apertamente sostegno politico al regime capitalista e anticomunista kazako11 e diversi altri partiti comunisti, quando non rimangono in silenzio, si accodano senza un approccio di classe.
Una questione di principio: l’indipendenza del movimento comunista dalle forze del capitale
È importante valorizzare l’approccio e l’essenza della posizione dei comunisti russi e kazaki, che rimandano alla necessità di un movimento comunista che non sia subalterno a nessun centro capitalista. Essere pienamente vigili e consapevoli degli interessi confliggenti tra le diverse potenze imperialiste (USA, GB, UE, Turchia, Cina, Russia ecc.) e tra i settori della borghesia nazionale in uno snodo strategico ricco di risorse12 come quello kazako, con i rispettivi piani, intrighi e meccanismi per influenzare e plasmare gli eventi a vantaggio degli uni o degli altri contendenti, non può portare il movimento comunista ad una posizione arretrata, difensiva e sostanzialmente opportunista, schierandosi alla coda degli eventi con uno rispetto all’altro sfruttatore nemico della classe operaia. Una cosa è lottare contro i piani imperialisti, a partire da quello di casa propria, un’altra è sostituire alla lotta di classe la politica dei blocchi (che competono sulla base dello stesso sistema), come in un risiko della geopolitica figlio di un campismo fuori dalla realtà. Quest’ultima è una dimostrazione di opportunismo e fornisce una visione semplicistica e distorta degli eventi. Si finisce così anche per ignorare o denigrare gli sforzi e il sacrificio dei comunisti e dei settori più avanzati del movimento operaio kazako, venendo meno ai più elementari principi dell’internazionalismo proletario e comunista.
Ciò su cui tutte le visioni opportuniste convergono, insieme a quelle demo-liberali, è la cancellazione della connotazione di classe e del fatto che alla base degli eventi ci sono le drammatiche conseguenze che ha per il proletariato la restaurazione capitalista, con le politiche antipopolari e l’autoritarismo borghese, il saccheggio dei beni del periodo sovietico da parte di pochi oligarchi, i conflitti e le competizioni tra monopoli e settori borghesi, lo sfruttamento delle fonti energetiche e dei lavoratori per il profitto di pochi (ricordiamo anche che ⅔ dei profitti sono in mano a monopoli stranieri). Certi opportunisti giungono persino alla conclusione che la classe operaia kazaka non può e non deve lottare in un paese dove il 13% della popolazione non ha reddito sufficiente per il cibo e il 44% sufficiente solo a mangiare nonostante l’enorme ricchezza nelle mani di pochi. Questo perché, nel loro schema geopolitico, mal si concilia con gli interessi di Russia e Cina e dei loro monopoli, la cui natura sfruttatrice scompare magicamente. E, ormai senza limiti, arrivano ad imbiancare la natura di un intervento militare di tipo imperialista (come “garante della pace”) e il regime capitalista assassino kazako (che incredibilmente diventa “antimperialista”), come se per il proletariato l’unica opzione rimasta sia scegliere la bandiera del padrone che lo sfrutta e dei proiettili con il quale esser trafitto da uno stato capitalista.
Come si è combattuto, e si combatte ancora, contro quelle correnti opportuniste che si accodano all’imperialismo europeo e statunitense, è necessaria e urgente una serrata lotta anche contro coloro che vogliono piegare il movimento comunista alla politica estera del capitale cinese e russo. La matrice opportunista è la stessa.
Con questo non si vuole qui fare alcuna idealizzazione del variegato movimento di protesta né voli avventuristi e previsioni irrealistiche, ma solamente porre un punto fermo sui principi. L’unica barricata del movimento comunista sta nella lotta di classe. Il movimento comunista deve tornare a porsi all’offensiva, deve battersi perché la classe operaia diventi protagonista e possa mettere la sua impronta per dirigere gli eventi sulla base dei propri interessi indipendenti di classe, identificando il capitalismo come l’origine dei problemi. Gli sviluppi in Kazakistan ce lo confermano ancora una volta. Per questo sono indispensabili partiti comunisti d’avanguardia che si costruiscono e rafforzano nel fuoco delle lotte di classe e non certo dietro i capitalisti cinesi e russi (così come quelli americani, europei e di ogni dove). Solo in questo modo la classe operaia non sarà più schiacciata nelle macine dello sfruttamento capitalistico, della competizione imperialista e dei pericoli di guerra. Così ci saranno le condizioni per rompere con gli ingannevoli vicoli ciechi e per rovesciare il capitalismo nel suo ultimo stadio, l’imperialismo. Sta qui la concretezza dello scontro in corso nel Movimento Comunista Internazionale.
- Significativo è l’arresto dell’ex premier ed ex capo dei servizi d’intelligence kazako, Karim Masimov, con l’accusa di “alto tradimento” dopo che era stato rimosso dal suo incarico nei giorni scorsi. Inoltre, sono stati rimossi altri due alti funzionari della sicurezza, che sono stati arrestati per “tradimento”. Allo stesso tempo, il vice capo della KNB è stato trovato morto nel cortile della sua casa nella capitale Nur Sultan, mentre il ministero dell’Interno ha confermato la morte del capo della polizia distrettuale di Žambyl, che si sarebbe suicidato.
- In Kazakistan sono legali solo 7 partiti politici filogovernativi. Nel 2015 è stato liquidato il Partito Comunista del Kazakistan, sostituendolo attraverso un’operazione di palazzo con l’addomesticato Partito “Comunista” del Popolo Kazako creato artificialmente dal regime. Centinaia di sindacalisti indipendenti sono in carcere o sono stati uccisi, le organizzazioni sindacali indipendenti sono vietate e le organizzazioni politiche di classe che operano in clandestinità non hanno attualmente forze sufficienti nel paese.
- Un riferimento è il miliardario e banchiere condannato per reati finanziari, nonché ex ministro kazako all’economia, Mukhtar Ablyazov, leader del partito Scelta Democratica del Kazakistan (QDT). Dall’esilio in cui si trova dal 2009 si è autoproclamato “capo della rivolta” e propone un “governo di transizione democratica”. Il programma del suo partito si contraddistingue per una riforma del regime capitalistico nella direzione delle democrazie di tipo occidentale, proponendosi come riferimento per gli USA e l’UE. Chiede che venga tolto il sostegno “occidentale” al regime di Nazarbayev-Tokayev e un loro intervento negli affari del paese, in una tipica operazione di “cambio di regime”. E’ noto in Italia per il cosiddetto “caso Shalabayeva”, ovvero quando sua moglie fu espulsa (insieme alla figlia) dal nostro paese nel 2013 sotto il governo Letta (ampia coalizione di centrosinistra e centrodestra) non essendo riconosciuta come “rifugiata politica”. Fu trasferita con un aereo privato in Kazakistan per poi fare ritorno in Italia nel dicembre dello stesso anno su intervento del Ministro degli Esteri di allora, Emma Bonino. Il caso, ancora al centro di un processo giudiziario, è emblematico dei rapporti tra lo Stato italiano e quello kazako, con al centro l’ENI.
- Gli scambi Cina-Kazakistan ammontano a 21,4 miliardi (in particolare prodotti agricoli kazaki per l’immenso mercato interno cinese), mentre 19 miliardi con la Russia. Verso la Cina va anche circa la metà della produzione di uranio, di cui il Kazakistan è leader con il 40% a livello mondiale. Tra gennaio e novembre 2021, la Cina ha importato quattro milioni di tonnellate di gas attraverso l’oleodotto Cina-Asia centrale e oltre il 20% delle esportazioni kazake è destinato in Cina, seguita da Russia e Germania con l′8% del totale. Russia e Kazakistan hanno recentemente concluso un memorandum d’intesa per la costruzione di nuovi corridoi energetici verso la Cina e l’Europa e la creazione di infrastrutture per facilitare la vendita di gas naturale compresso (CNG). I due paesi stanno anche cercando di costruire autostrade e nuovi motori di sviluppo per guidare l’innovazione tecnologica e lo sviluppo economico nelle regioni che collegano l’Europa alla Cina. Secondo gli analisti, il corridoio di trasporto Europa-Cina occidentale-Russia-Kazakistan faciliterà l’aumento dei flussi di esportazione.
- Sono circa 700 le imprese statunitensi operanti nel paese, tra cui le già menzionate Chevron e ExxonMobile. Segnaliamo anche come gli investimenti degli USA in Kazakistan, nel solo 2019, ammontano a 5 miliardi e mezzo, posizionandosi, con il 23% del totale, al secondo posto dietro solo ai Paesi Bassi. Dal 2009 al 2019, le esportazioni statunitensi sono aumentate del 22,6%, mentre le importazioni sono di ben oltre il miliardo di dollari, principalmente combustibile fossile. Nel 2020 lo scambio commerciale tra Stati Uniti e Kazakistan si era attestato intorno ai 2 miliardi di dollari, che rappresentano comunque una cifra quasi tre volte superiore rispetto ai 600 milioni complessivi di scambio con gli altri Paesi dell’Asia Centrale. Nel settembre 2020, la Camera di Commercio degli Stati Uniti ha lanciato il Business Council USA-Kazakistan per rafforzare le relazioni economiche.
- L’UE è il principale partner commerciale del Kazakistan con il 29,7% del commercio totale di beni del paese nel 2020. Anche in un anno difficile come il 2020, il commercio totale di beni tra l’UE e il Kazakistan è ammontato a 18,6 miliardi di euro. Le importazioni dell’UE ammontano a 12,6 miliardi di euro, costituite principalmente da combustibili e prodotti minerari. Prima della pandemia, l’Italia era il primo partner europeo: nel 2018 le esportazioni avevano superato il miliardo (1.086,35 milioni di euro). L’Italia è tra i primi importatori europei dal Kazakistan: nel 2019 le importazioni avevano raggiunto i 2,1 miliardi, sono scese a 1,2 miliardi nel solito 2020 (causa pandemia), ma già nei primi nove mesi dell’anno scorso hanno nuovamente sfiorato il miliardo. Si tratta essenzialmente di petrolio e gas.
- L’Eni opera in Kazakistan dal 1992. Ha raggiunto i 40 milioni di barili di greggio di produzione e 2,9 miliardi di metri cubi di gas in due giacimenti: l’offshore nel Caspio di Kashagan (in cui ha il 16,8% in joint venture con Shell, Total, Exxon, ConocoPhillips e dove si punta ad arrivare a 450 milioni di barili complessivi), e Karachaganak nel nord-ovest (qui ha il 29,2% con Shell, Lukoil e Chevron). La riserva accertata di competenza Eni supera i 1.200 milioni di barili complessivi. Altri progetti sono relativi alle energie rinnovabili: impianti fotovoltaici, idrogeno e i biocarburanti.
- In dettaglio: la produzione petrolifera kazaka che conta per il 44% delle entrate statali, è per il 30% estratto da compagnie nordamericane, contro il 17% estratto dalle cinesi CNPC, Sinopec e CITIC ed il 3% della russa Lukoil (dati 2019).
- Il Segretario di stato degli USA, A. Blinken, ha sottolineato “il pieno appoggio alle istituzioni costituzionali” del Kazakistan augurandosi una “soluzione pacifica”. L’UE, che col Kazakistan ha siglato l’accordo di partenariato e cooperazione rafforzato, ha invitato “le parti ad agire con responsabilità e moderazione”, chiamando ad una “de-escalation” nel rispetto dei “diritti e della sicurezza dei civili”, chiedendo che le autorità kazake facciano un “uso proporzionato della forza”. Di Stefano, sottosegretario del Ministero degli Esteri italiano, ha affermato che il Kazakistan è “un paese di riferimento per la stabilità regionale dell’Asia centrale e un importante partner commerciale dell’Italia”, inoltre è “un asse portante del formato 5+1 (Italia più Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, ndr).
- In una telefonata, il presidente turco ha espresso la vicinanza e il sostegno della Turchia al presidente del Kazakistan. In base a quanto reso noto dalla presidenza turca, Erdogan ha espresso l’augurio che il Kazakistan possa tornare alla calma e raggiungere la stabilità per la formazione di un nuovo governo. Erdogan ha parlato a nome della Turchia, ma anche in veste di presidente di turno del Consiglio per la cooperazione dei Paesi turcofoni, di cui fanno parte anche Azerbaigian, Kirghizistan e Uzbekistan, mentre Turkmenistan e Ungheria sono Paesi osservatori.
- Il presidente cinese, in un messaggio, ha elogiato il presidente kazako per aver preso “decisioni efficaci e decisive in un momento critico”, riuscendo a “calmare velocemente la situazione”. Inoltre ha aggiunto che la Cina si oppone fermamente a qualsiasi forza minacci la stabilità e la sicurezza del Kazakistan e metta a rischio la vita pacifica del suo popolo. La Cina è “disposta a offrire l’aiuto di cui il Kazakistan ha bisogno per superare le attuali difficoltà”.
- Oltre come già ricordato esser il primo produttore di uranio al mondo, il Kazakistan è anche il quarto produttore globale di rame, tra i primi 20 al mondo di petrolio, possiede anche il 30% delle riserve mondiali di cromo, indispensabile nelle leghe metalliche, una su tutte l’acciaio inossidabile, il 25% di manganese, il 10% di minerale di ferro, il 13% di piombo e di zinco. Inoltre è la nona riserva accertata più grande al mondo di oro. Ricco anche di vanadio, bismuto, fluoro, bauxite, carbone, fosfato, titanio e tungsteno.