Foto di Mussolini al MISE, un sintomo della normalizzazione del Ventennio e i conti mai fatti col fascismo
Negli scorsi giorni ha campeggiato sugli organi di stampa la vicenda legata alla foto di Benito Mussolini presente al ministero dello Sviluppo Economico o meglio, come verrà ora chiamato, ministero delle Imprese e del Made in Italy in occasione della presentazione di un libro sull’architetto Piacentini, ideatore del palazzo sede del ministero, di un quadro raffigurante la figura di Mussolini. Il tutto durante la visita della dimissionaria presidente Casellati e dell’ormai nuovo ministro dell’Economia Giorgetti. A legittimare, secondo i nuovi inquilini del MISE, la presenza della foto di Mussolini negli uffici del ministero sarebbe il fatto che questi fosse capo del ministero delle Corporazioni che presso palazzo Piacentini ebbe sede.
Ad una situazione già di per sé surreale si è aggiunta, dopo che il fatto è apparso sui media e la denuncia è arrivata anche da organizzazioni sindacali dello stesso ministero, una ancora più assurda motivazione per la rimozione della foto. Infatti, esplosa la “bomba mediatica”, il MISE è corso ai ripari, con un comunicato che non regge. Dal ministero è stato spiegato che si sarebbe proceduto con la rimozione “per evitare polemiche e strumentalizzazioni”. Viene da dire che la toppa è peggio del buco.
Il problema non possono essere le legittime polemiche sollevate, tra l’altro tacciate di strumentalità. Il vero problema è che tutto questo sia accaduto, per di più davanti agli occhi della presidente del Senato e ad un ministro, in quei giorni ancora detentore del dicastero, silenziosi davanti a un fatto di questo genere.
In un paese come la Germania in cui, ad esempio, la censura istituzionale rispetto al passato nazista – pur con una serie di elementi sostanziali che andrebbero sottolineati – è in generale più marcata di quanto avviene in Italia, un fatto di questo genere non avrebbe retto ad alcuna giustificazione o rocambolesco richiamo storico di sorta. È chiaro come si confermi ulteriormente il serio problema italiano di fare realmente i conti con il proprio passato fascista che tendenzialmente, come dimostrano le vicende degli ultimi decenni, è stato invece affrontato in termini per lo più auto-assolutori se non proprio di inquietante rivendicazione”. Questa vicenda è, infatti, il frutto di anni di totale ridimensionamento di cosa fu il fascismo e di continua rivalutazione della stessa figura di Mussolini; circostanze, queste, che hanno preso che hanno preso una direzione incorreggibile negli ultimi vent’anni ma che hanno radici ancor più profonde. L’affermazione del mito degli “italiani brava gente” come base concettuale per l’assoluzione dai crimini della stagione fascista e coloniale italiana è uno dei pilastri della narrazione funzionale alla riabilitazione del fascismo. Si pensi, ancora, alla frequenza sempre maggiore con cui vengono derubricati anche nelle aule di tribunale i reati di apologia.
La dinamica politica cui si fa riferimento ha origini che risalgono nel tempo ed è naturalmente trasversale agli schieramenti. Un ultimo recente esempio lo si può avere nelle dichiarazioni di Letta, segretario del PD, che dà solidarietà al neo presidente del Senato La Russa per una scritta su una serranda a Garbatella, che (molto banalmente) lo “schifa”. Lo stesso La Russa, non stupirà, ha commentato la presenza della foto al MISE dicendo che anche a palazzo Chigi è presente un quadro di Mussolini, quasi fosse una giustificazione degna di nota e non un ulteriore grave problema.
Proprio La Russa cerca di liquidare la polemica nata attorno alla vicenda del MISE accusando le “sinistre” (quali?!) di fare della cancel culture. Si ribalta la realtà, anche perché è anche grazie a lui che si è mossa la macchina della cancel culture buttando fango continuamente sui partigiani e cercando di giustificare l’ingiustificabile barbarie del fascismo, banalizzandone le atrocità e cercando di equiparare le azioni delle squadracce alla lotta partigiana. Un aspetto che si ritrova nell’equiparazione fra comunismo e fascismo passato in Parlamento Europeo anche grazie ai voti del PD. In relazione a ciò, si pensi alle recentissime dichiarazioni di Giuliano Amato, politico di lungo corso prima nel PSI e poi nel centrosinistra nonché uno degli ultimi presidenti della Corte Costituzionale (sic!), che ammette l’esistenza di un “clima favorevole alla ricomposizione mai completamente avvenuta del versante che era rimasto sul ricordo nostalgico del fascismo, e del versante antifascista”, presentandolo quasi come un provvidenziale segnale utile a ritrovare una necessaria – a chi? – unità nazionale.
La presenza di quella foto appare quindi come il sintomo di una dinamica lunga e sfaccettata di normalizzazione del fascismo. Il fatto che con leggerezza si proceda ad esporre un foto di Mussolini in una sede istituzionale è il segnale di un rapporto delle istituzioni col fascismo che risente in misura sempre maggiore degli aspetti che qui sinteticamente abbiamo riportato. La capacità di leggere quanto avvenuto e di come si sia arrivati ad un livello di sdoganamento così pervasivo dovrà informare le analisi e l’azione su questo tema, non permettendo un utilizzo dell’antifascismo a quelle forze che, come il PD, si ricordano dell’antifascismo solo in chiave del tutto strumentale salvo poi trovarsi pronte ad affermare che un morto partigiano è uguale ad un morto fascista.
Giovanni Brilli