La lotta dei lavoratori con disabilità per delle tutele reali. La discriminazione sul lavoro, le pensioni dimezzate e il ricatto tra salute e reddito
Il mondo dei lavoratori con disabilità è, per ovvie ragioni, tra quelli che sta più subendo le conseguenze delle due ultime crisi in ordine di tempo del modo di produzione capitalista – quella legata all’emergenza pandemica e, oggi, quella coincidente col conflitto imperialista.
È noto che il lavoratore disabile viene valutato dall’ASL di riferimento che, con un’apposita commissione, certifica la parte di abilità residua del lavoratore stesso. Da quel momento, questo accede alle categorie protette secondo la legge 68, che prevede anche un carico obbligatorio, per le aziende, di lavoratori con disabilità.
Ciò non ha eliminato una serie di problemi importanti per questa categoria che si sono manifestati, come accennato, soprattutto negli ultimi tre anni. Ne elenchiamo alcuni, fatti presente dal gruppo di lotta “Invalidi e la capacità residua lavorativa” per mezzo di una dei suoi portavoce Silvia Gazzotti.
1) Le leggi che tutelano i lavoratori con disabilità e la capacità lavorativa ridotta pongono solo formalmente alla pari questi soggetti con i loro colleghi. Nella realtà dei fatti, raramente i datori di lavoro forniscono soluzioni e accomodamenti ragionevoli in funzione della disabilità dei dipendenti (come richiederebbe persino una direttiva europea specifica, la 2000/78), i quali si trovano a lavorare accompagnati da fatiche e disagi sconosciuti ai dipendenti normodotati e in un ambiente a volte ostile. Per molti imprenditori il lavoratore con disabilità resta soltanto un numero per “mettersi in regola”. L’Italia è, inoltre, un territorio addirittura svantaggiato rispetto agli altri paesi capitalisti per questa categoria di persone: in Svizzera, ad esempio, un lavoratore con disabilità al 70% viene accompagnato decorosamente fuori dal mondo del lavoro, essendo considerata una capacità lavorativa al 30% insufficiente per il mercato. Sosteniamo perciò la lotta di questi lavoratori affinché venga loro garantita una tipologia di occupazione pertinente alle loro esigenze e una tutela a 360 gradi da parte dello Stato.
2) Le persone deboli inviano spesso certificati di malattia per lunghi periodi ma i contributi maturati lungo queste giornate, come anche per i permessi secondo la legge 104 e le giornate di cura previste oltre questa, sono soltanto figurativi e non contributivi, penalizzanti per quanto riguarda il montante contributivo in vista dell’importo della pensione, e creano una grande disparità di trattamento tra il lavoratore normodotato ed il lavoratore con patologia, che si vede così discriminato sul piano pensionistico per la propria condizione. La voragine contributiva che molti di questi lavoratori si sono ritrovati come conseguenza dell’emergenza Covid, durante la quale molti di essi sono stati costretti, nei casi di impossibilità di lavorare in smart working, a scegliere l’assenza per malattia equiparata appositamente a ricovero ospedaliero (per la quale, inoltre, INPS pagava soltanto per sei mesi all’anno), proviene proprio da qui. È fondamentale, per questa categoria, che ogni qual volta si usufruisca di malattia equiparata a ricovero e ci si assenti per cause relative alla condizione specifica di disabilità i contributi non siano solo figurativi. Una delle rivendicazioni oggi portate avanti da parte dei lavoratori fragili e con disabilità è quella di essere trasferiti, per quanto riguarda le assenze per malattia, dalla gestione INPS alla gestione INAIL, considerata più adeguata a fornire un sostegno dignitoso per via della sua natura di ente assicurativo.
3) Uno strascico della crisi pandemica, per i lavoratori fragili (ad esempio, immunodepressi), consiste nel non poter ritornare in maniera sicura sul posto di lavoro, essendo state ormai ritirate le norme sulla sorveglianza sanitaria eccezionale, sulla possibilità di smart working e sulla malattia equiparata a ricovero ospedaliero (che non entrava nel computo del comporto). In questa situazione, molti lavoratori devono scegliere se rischiare la propria vita, se mettersi in aspettativa non retribuita (cosa che conviene all’azienda che mantiene così un lavoratore disabile nel computo del personale) o perdere il posto di lavoro. Una misura minima ma urgente sarebbe, da questo punto di vista, ripristinare almeno le norme del 2020.
La lotta dei lavoratori con disabilità e dei lavoratori fragili è una lotta che va sostenuta con la consapevolezza che soltanto l’unione delle lotte particolari portate avanti dalle diverse categorie di proletari può produrre la pressione sociale utile a strappare delle vittorie e la coscienza necessaria per marciare uniti verso gli obiettivi politici condivisi dall’intera classe lavoratrice.