Oppenheimer: dal dilemma morale alla scienza di classe. Una recensione marxista del film di Nolan
«Ricorda quando temevamo che la costruzione della bomba avrebbe potuto mettere in moto una reazione a catena che avrebbe distrutto il mondo? Penso che lo abbiamo fatto». È la frase con cui Cillian Murphy, che interpreta Robert Oppenheimer, chiude la scena finale del biopic di Christopher Nolan, diventato in pochissimi giorni il film del noto regista più visto in Italia e che si considera già uno dei favoriti alla vittoria degli Oscar del prossimo anno. Oppenheimer ha la caratteristica di introdurre diversi quesiti, nel dibattito pubblico, circa la natura e la legittimità di determinate scelte nella ricerca scientifica una volta preso atto che essa è legata drasticamente a una certa linea politico-ideologica. Le risposte che il film trasmette allo spettatore, tuttavia, com’è evidente dalla citazione messa in apertura, hanno a che fare molto astrattamente con il dilemma morale soggettivo dello scienziato per aver inventato una tecnica di distruzione di massa e ignorano quasi del tutto l’evidenza dei conflitti sociali insanabili – sul piano nazionale e globale – che porteranno al primo utilizzo della bomba nucleare e al clima della guerra fredda, conflitti che pure hanno un ruolo importante nello sviluppo della narrazione sulla vita del protagonista.
Su questa contraddizione del film ci vogliamo oggi concentrare, focalizzandoci soprattutto su tre aspetti: l’approccio socialmente impegnato degli scienziati del circolo di Oppenheimer e l’idea di scienza che questo richiama, i limiti della resa cinematografica degli interessi personalistici che conducono all’accanimento su Oppenheimer e, di conseguenza, il non-detto del film sulle radici di classe del processo allo scienziato e della strategia atomica degli USA.
Prima di cominciare, qualche nota biografica su Robert Oppenheimer. Il fisico, di famiglia ebrea tedesca emigrata negli Stati Uniti, dopo aver studiato fisica quantistica in Europa tornò negli USA per insegnare questa nuova branca della ricerca. Il film si concentra sulla vicenda per cui Oppenheimer è noto ai più: la sua direzione del programma di ricerca e sviluppo in ambito militare che portò alla realizzazione delle prime bombe atomiche durante la seconda guerra mondiale e, più avanti, il suo rifiuto di lavorare alla costruzione della bomba all’idrogeno. Oppenheimer era noto per le sue idee progressiste e, in qualche modo, affini a quelle socialiste e comuniste. Si mostrò attivo in diverse cause legate all’antifascismo e ai diritti sociali e il suo legame con il Partito Comunista americano, del quale tuttavia non prese mai la tessera, era dovuto anche al fatto che i suoi amici e familiari fossero dei militanti attivi nell’organizzazione. Le contraddizioni che caratterizzavano il personaggio (che, da un lato, ebbe un ruolo centrale su come fu costruita la prima bomba atomica e, dall’altro, spinse per una collaborazione con i sovietici) esplosero nel procedimento-farsa del 1954, con il quale gli fu negato l’accesso ai segreti atomici e lo rese una vittima celebre del maccartismo. Fu parzialmente “reintegrato” all’inizio degli anni Sessanta, quando ricevette l’Enrico Fermi Award come gesto di riabilitazione politica.
L’indipendenza di pensiero degli scienziati e la scienza in un contesto capitalista
Oppenheimer è, prima di tutto, un grande affresco storico. Lo è non tanto degli avvenimenti militari, politici e cronologici che fanno scaturire la decisione di intraprendere il progetto Manhattan quanto della realtà sociale degli ambienti della ricerca di quel tempo. Quello che colpisce lo spettatore è che la figura dell’intellettuale impegnato che traspare dalle scene non ha nulla a che vedere con l’immagine dello studioso iper-specializzato di oggi, il quale o si disinteressa completamente delle istanze sociali che non hanno diretto contatto con la sua materia di pertinenza o, peggio ancora, sfrutta la popolarità che la ricerca in un certo ambito specifico gli ha conferito per emettere ex cathedra giudizi ideologici o politici su materie circa le quali non ha piena contezza, finendo, volente o nolente, a conformarsi all’ideologia liberale e borghese imperante oggi in ogni contesto scientifico/accademico.
Robert Oppenheimer, innanzitutto, è pienamente integrato in una rete di relazioni dentro cui la preoccupazione per il significato sociale dei cambiamenti drastici che avvengono al tempo della narrazione guida le scelte esistenziali e, anche, di ricerca. Il protagonista stesso viene mostrato spingere per la costruzione della bomba non a causa di generiche ambizioni personali o patriottismo ma per un genuino interesse politico nell’ambito del quale il dovere morale di “fare prima dei nazisti” è solo la punta dell’iceberg: egli, ad esempio, rende pubbliche le sue simpatie per lo schieramento repubblicano durante la guerra di Spagna (guardato con sospetto da altri suoi colleghi, come Ernest Lawrence) e dalle sue parole emerge costantemente la speranza concreta che la presenza dell’ordigno possa servire a produrre una de-escalation bellica. Soprattutto, la vita dello scienziato viene mostrata traboccare di partecipazione politica. Oppenheimer, pur non essendone iscritto, frequenta gli incontri del Partito Comunista degli USA; tra i membri del partito ci sono suo fratello Frank, la sua amante e sua moglie. Egli si iscrive alla Federazione degli Architetti, Ingegneri, Chimici e Tecnici (FAECT), sindacato che cerca di estendere ai suoi colleghi e studenti all’interno delle mura dell’università in cui lavora negli Stati Uniti, attirandosi le ire dei suoi superiori. È proprio ad una festa del FAECT che Oppenheimer viene a sapere dell’invasione della Polonia da parte dei nazisti. Il coinvolgimento politico attivo non è ristretto alla cerchia degli affetti e degli studenti del protagonista ma caratterizza anche alcuni altri esponenti della fisica del tempo come Giovanni Rossi Lomanitz, il quale viene mostrato essere escluso dal progetto Manhattan, nonostante Oppenheimer lo avesse arruolato, proprio per le sue tendenze “di sinistra”. E, sebbene non venga mai sviscerata in tal senso, per chi conosce a fondo una figura di peso come Albert Einstein non può che legare la sensitività e l’oculatezza mostrate dal personaggio nelle poche scene in cui appare nel film alle sue solide convinzioni: il fisico nel 1949 decise, addirittura, di pubblicare un articolo sulla rivista socialista Monthly Review, in cui argomentò analiticamente circa le drammatiche contraddizioni del capitalismo e la necessità dell’economia pianificata.
L’affresco corale che si evince da queste scene è, dunque, quello di una volontà di fare scienza “socialmente impegnata”, non in funzione del produttivismo industriale e non in maniera astratta rispetto al contesto nel quale determinate scoperte dovranno poi essere applicate. La refrattarietà di Oppenheimer verso l’estensione del progetto di ricerca nucleare dopo la fine della guerra proviene decisamente da questo status mentis. Questo aspetto, pur trasparendo nitidamente dalla costruzione del film, è tuttavia nascosto dall’enfasi visiva e verbale che il regista dà agli elementi soggettivi dei protagonisti, elementi i quali paiono ridurre ad una questione moralistica o a conflitti personali tra i personaggi quelle contraddizioni che l’impegno sociale degli scienziati aprirebbe. La soluzione visiva stessa della bomba atomica, che viene mostrata trasmettere “magnificenza” e terrore agli occhi dei suoi creatori nello stesso momento, le appariscenti crisi di coscienza di Oppenheimer, che immagina durante un meeting le conseguenze dell’esplosione dell’ordigno sulle persone, l’incetta di dialoghi e frasi roboanti e generiche sul timore degli effetti della bomba («Noi immaginiamo un futuro e la nostra immaginazione è terrificante») non fanno altro, nella grammatica del film, che mettere a margine l’elemento strutturale che sarebbe all’origine di tali dilemmi: l’impossibilità di separare la ricerca scientifica e le istanze del capitale in un contesto egemonizzato da questo. Tutti i dilemmi “interiori” di Oppenheimer (e dei suoi colleghi) non hanno altra origine materiale che la discrepanza tra i suoi ideali astratti e i rapporti di forza politico-economici nei quali si trova ad operare. La ricerca sulla bomba nucleare, negli Stati Uniti degli anni Quaranta, non può che essere un esempio di quella scienza di classe, caratterizzata da un riduzionismo incapace di guardare alla complessità dei fenomeni, che schiaccia ogni istanza non legata alla riproducibilità del capitale. In particolare:
1) la scienza di classe è portata a prediligere soluzioni isolate e congeniali agli interessi della borghesia trascurando volutamente le altre se queste rischiano di costituire una perdita per il capitale (ad esempio, il potenziamento nucleare e lo scontro con l’URSS sono preferiti, senza appello, dal governo americano rispetto alla diplomazia e al confronto scientifico con i paesi del socialismo reale, la cui autorevolezza costituisce il maggiore rischio all’egemonia borghese);
2) sia nella ricerca che nella sua applicazione, la scienza di classe favorisce le tecniche e i mezzi più utili a minimizzare le spese “improduttive” e massimizzare i profitti, anche se questo provoca sofferenze a molti esseri umani. Su questo è emblematico il modo stesso in cui è stato costruito il progetto Manhattan, che non ha lesinato episodi di sfruttamento e grave inquinamento sia nei paesi fornitori delle materie prime che negli stessi USA (ne riparleremo più avanti) e lo stesso uso della bomba atomica su obiettivi civili del Giappone. Riguardo a ciò, è molto rappresentativa la scena nella quale il presidente Truman, in risposta a Oppenheimer che gli confida di sentirsi le mani sporche di sangue, offre a questo un tovagliolo invitandolo a sentirsi sollevato dalle scelte fatte a seguito della creazione della bomba, alle quali solo il presidente deve rispondere. Sebbene l’episodio venga raccontato con il tono moralistico e soggettivista evidenziato, esso offre uno spaccato della logica parcellizzante del capitale, il quale tende a dividere “mezzi” e “fini” della ricerca scientifica al fine di far apparire questa come “neutrale” e rendere i suoi autori distaccati dalle dinamiche politiche e sociali;
3) la scienza di classe, infine, si concentra su obiettivi di ricerca solo quando essi sono funzionali a tutelare gli interessi della classe proprietaria. Come si mette in scena anche nel film, mentre la ricerca sulla fisica quantistica si trovava molto indietro negli Stati Uniti rispetto all’Europa, appena la realizzazione di una bomba nucleare è valutata di interesse nazionale il progetto Manhattan viene messo su e, nel giro di pochi mesi, porta le conoscenze americane a superare quelle degli altri paesi del mondo.
Il film di Nolan, dunque, mette in scena tutte queste contraddizioni proprie della scienza in un contesto capitalista ma non può valorizzarne, nella sintassi e nel risalto teatrale dell’opera, il significato strutturale. Gli interessi politici dei protagonisti e il loro essere combattuti circa l’applicazione della bomba nucleare appaiono, perciò, più dettati da differenti approcci caratteriali al tema e la tensione fra le intenzioni degli esperti e la ragion di stato americana si sviluppa più attraverso scontri individuali tra le persone in gioco. Una dinamica simile la vedremo, adesso, anche con riguardo al processo politico ai danni di Oppenheimer.
Il processo a Oppenheimer. La caccia alle streghe ridotta a pretesto scenico
Il film di Nolan, sia per questioni culturali che di opportunità, non ha margini per mostrare che una scienza non in funzione degli interessi di un certo capitale sia possibile. Questo si riflette sulla resa di qualsiasi scena nella quale Robert Oppenheimer o i suoi colleghi vedono accanirsi su di essi i funzionari americani nell’inchiesta che, infine, condusse alla revoca dell’accesso ai segreti atomici allo scienziato.
Come noto, nel dopoguerra Oppenheimer fu contrario al progetto per la costruzione della bomba all’idrogeno in quanto non la riteneva utile alla soluzione dei problemi della guerra fredda, poiché avrebbe causato un’escalation. Come accennato, questa impostazione era in contraddizione con gli interessi immediati del capitale statunitense, che non poteva in quel periodo storico concedersi alcun atteggiamento collaborativo verso il mondo del socialismo reale, vera minaccia politica, anche interna, ai progetti della borghesia. Le posizioni di Oppenheimer si scontrarono sia con le ambizioni di scienziati come Edward Teller che con le politiche di Joseph McCarthy, che nel 1954 lo colpì con l’inchiesta. Quello che viene messo in risalto dalla costruzione del film e dai dialoghi è soprattutto il primo punto, il conflitto con le ambizioni dei colleghi di Oppenheimer e le ritorsioni personalistiche che hanno avuto peso nell’inchiesta. Ciò non vuol dire che il riferimento all’anticomunismo viscerale di diversi uomini coinvolti nel progetto Manhattan – come Lewis Strauss e Kenneth Nichols – non appaia nel film, o che la fobia anticomunista dell’establishment americano non traspaia dalle scene. Essa traspare, ma in maniera talmente “gratuita” e non approfondita da sembrare un elemento completamente estraneo e un puro pretesto scenico rispetto alla storia: non nel senso che la storia avrebbe potuto funzionare in assenza di esso, ma nel senso che questa avrebbe potuto funzionare ugualmente se al posto dell’anticomunismo, a far montare la levata di scudi contro lo scienziato, ci fosse stato qualsiasi altro tipo di fanatismo (ad esempio, la semplice russofobia, il nazionalismo esasperato, il razzismo, e così via). I dialoghi nei quali si nasconde il sospetto delle simpatie comuniste del protagonista hanno la caratteristica di tendere al grottesco, come ad esempio in tutti i casi nei quali le amicizie comuniste vengono equiparate all’appartenenza formale al partito o nel frangente in cui Strauss, in un incontro del comitato scientifico dell’AEC nel quale Oppenheimer si opponeva allo sviluppo della bomba H, rispondeva allo scienziato facendo scaturire questo scambio di battute:
Strauss: «Il mondo ora è cambiato, il nemico ora non sono i nazisti ma i comunisti, e forse questi stanno lavorando già sulla bomba all’idrogeno a causa delle spie presenti a Los Alamos»
Oppenheimer: «Usiamo questo momento per ottenere concessioni dai russi impegnandoci a non fare una bomba all’idrogeno»
S: «Rivelandone così l’esistenza!»
O: «Ma se ha detto che ci stanno già lavorando…»
Non si mette in dubbio, ovviamente, la veridicità di questo clima storico ma, appunto, la resa di queste scene una volta che si astrae dai fattori sociali e storici che ne hanno determinato le fattezze, e che conferisce all’anticomunismo un aspetto caricaturale e pretestuoso, sostituibile con altro.
Christopher Nolan non è interessato, naturalmente, a produrre giudizi di merito sull’ideologia comunista e sul maccartismo in generale. Ciò che risulta in primo piano nella trama è dunque la tensione tra Oppenheimer e i suoi colleghi-rivali, come Edward Teller (che è pronto a sminuire, interrogato nell’ambito dell’inchiesta, le capacità gestionali del suo avversario per scopi personali) e, soprattutto, lo scontro tra il primo e Strauss (il quale ha la palese intenzione di vendicarsi del protagonista dopo alcuni torti che egli ha subito o pensa di aver subito). Allo sfogo risentito di Strauss è dedicata un’intera scena sul finale della pellicola, e le sue azioni sono poste all’origine dell’accanimento degli alti ranghi statunitensi verso Oppenheimer. Da questo punto di vista, l’ossessione anticomunista funziona come un pretesto, un elemento strumentalizzato dai personaggi del racconto per giungere ai loro scopi. La rilevanza sociale del fatto che proprio questo elemento – e non altri – sia stato il fulcro delle grandi trasformazioni e iniziative politiche americane di quegli anni, con il quasi completo assoggettamento del movimento operaio e sindacale, le scelte di politica estera, la revisione della politica economica inaugurata negli anni Trenta, passa completamente sotto silenzio lungo il film. Ma la pellicola aveva aperto, come illustrato nel paragrafo precedente, delle domande che avevano anche a che fare con il contesto sociale della ricerca e l’impegno socio-politico progressista degli scienziati del tempo: la trattazione personalistica del tema dell’inchiesta a Oppenheimer trascura completamente la necessità di dare una risposta a quei quesiti, risposte che avrebbero trovato terreno fertile proprio nell’evidenza della repressione di ogni mente scientifica che usasse una logica diversa da quella imposta dal capitale, e che avrebbero potuto essere sviscerate proprio dall’analisi di merito di cosa quell’anticomunismo ha significato sul piano della scienza di classe.
Il non-detto del film sulla strategia atomica degli USA
Le leggi del capitale e del mercato, le stesse che influenzano le scelte di investimento nella ricerca scientifica e nelle politiche dell’istruzione pubblica, determinano come questa ricerca viene utilizzata sul piano economico e geopolitico. Il fatto che Oppenheimer non sia un film che tratta specificamente di questo spiega l’assenza dalla pellicola – notata da molti – di ogni riferimento visivo esplicito a Hiroshima e Nagasaki il cui impatto filmico, visto il peso dato dal regista al dibattito perlomeno personale circa la spiegazione delle scelte politiche, avrebbe comportato la necessità di sollevare il continente sommerso della ratio della strategia atomica americana – non più riducibile, a quel punto, al semplice “lavaggio di mani” proposto da Truman a Oppenheimer.
Quello su cui stiamo discutendo sta tutto qua: la radice del “dilemma etico” presentato dai personaggi del film, al netto delle valutazioni individuali dei personaggi stessi e dei loro scontri, coincide con le contraddizioni che lo sviluppo tecnico e scientifico incontra in una società volta al profitto. E questo sarebbe stato portato perfettamente in scena dalla ricostruzione di come la bomba atomica è stata realizzata e, poi, utilizzata. Ci limitiamo, qui, a portare come esempio tre elementi:
1) la necessità politica e ideologica, accennata prima, di evitare qualsiasi tipo di collaborazione o confronto con l’“alleato” sovietico – che, dopo la caduta del nazismo nel maggio 1945 deteneva il prestigio e la forza sociale necessari per mettere in discussione i rapporti di classe nella maggior parte dell’Europa – determinò innanzitutto il livello di segretezza del test Trinity di luglio 1945, condannando alla contaminazione radioattiva migliaia di civili americani. La decisione di non informare o evacuare i civili sul test Trinity «venne dall’alto. Per il capo del Progetto Manhattan, il Gen. Leslie R. Groves, preparare la bomba per l’uso bellico in quasi totale segretezza era fondamentale e prevaleva su tutte le altre considerazioni. Alcuni medici e fisici del Progetto Manhattan avevano cercato di mettere in guardia Groves e Oppenheimer sul possibile rischio di esposizione delle comunità circostanti. Il fisico Joseph Hirschfelder fece dei calcoli preliminari sulla possibile distribuzione del fallout e disse a Oppenheimer che le radiazioni del materiale attivo e dei prodotti di fissione avrebbero potuto rendere inabitabili fino a 100 chilometri quadrati (poco più di 38,5 miglia quadrate) intorno al sito di sperimentazione». I danni alla salute e i morti causati al quasi mezzo milione di persone che vivevano nel raggio di 150 miglia dall’esplosione del Trinity sono ora discretamente documentati.
2) l’imperialismo USA ha determinato anche le modalità di costruzione della stessa bomba, le cui materie prime erano il frutto delle attività estrattive del capitale occidentale. Ad esempio, i due terzi dell’uranio con cui era stata realizzata la bomba proveniva da una miniera profonda 24 piani nel Katanga, un’area ricca di minerali nel sud-est del Congo, i cui lavoratori erano ridoti in condizione di semi-schiavitù.
3) la stessa decisione di bombardare Hiroshima e Nagasaki fu, infine, dettata dalla necessità di preservare l’egemonia militare degli Stati Uniti capitalisti rispetto al campo socialista e non da ragioni realmente attinenti alla sconfitta del Giappone. Alla metà del luglio 1945, infatti, il comitato unificato del controspionaggio anglo-americano presentò un memorandum al comitato unificato dei capi di stato maggiore, in cui si affermava che appena l’Unione Sovietica avesse iniziato la guerra contro il Giappone, cosa imminente, il governo di Tokyo «probabilmente avrebbe voluto terminare la guerra a qualsiasi condizione». L’alto comando militare americano, considerando ciò, dubitò che l’impiego della bomba atomica fosse indispensabile agli scopi militari. Venne proposto di limitarsi a una dimostrazione: fare esplodere la bomba atomica o su luoghi disabitati oppure sul mare del Giappone. Il sacrificio di centinaia di migliaia di civili è un esempio, forse il più drammatico della storia, di cosa significhi l’applicazione della ricerca e della tecnica su una base di classe.
Un ultimo elemento, alla luce di questo, va sottolineato in questo paragrafo. Il fatto che un film del genere – che mette sotto accusa le scelte politiche della classe dirigente americana del 1945 – abbia potuto essere prodotto in grande stile negli Stati Uniti di oggi ha a che fare proprio con la “sublimazione” di queste accuse, mascherando il più possibile l’aspetto sociale grazie all’accento posto sul piano moralistico e personale. Questo è corroborato, dal punto di vista storico e geopolitico, dal fatto che oggi il Giappone, lungi dal mantenere accesa una qualche forma di rivendicazione contro l’utilizzo della bomba nucleare da parte degli USA, è perfettamente inserito nel polo imperialista a egemonia americana, del quale condivide ideologia, obiettivi e sforzi militari (ospitando anche diverse basi americane). La cesura esistenziale subita dal Giappone rispetto alle tensioni della Seconda Guerra Mondiale, che riflette la vittoria egemonica del punto di vista del capitale americano, è una delle condizioni del poter interpretare nella maniera descritta le contraddizioni del progetto Manhattan, a sua volta condizione per la realizzabilità del film in una cornice capitalista.
Un’interpretazione di classe dei conflitti umani ed “etici” rappresentati da Oppenheimer è fondamentale se c’è la volontà di leggere quella «reazione a catena» che avrebbe «distrutto il mondo» citata dal responsabile del progetto Manhattan alla fine del film dal punto di vista storico-materiale e non ideale. La reazione a catena e l’effetto distruttivo non hanno tanto a che fare con la potenza della tecnologia in sé – sublimata narcisisticamente dell’immagine del “distruttore di mondi” nella quale si rivede il protagonista – quanto con l’efficientismo della logica capitalista, per la quale il sacrificio di decine di migliaia di vite, in patria e all’estero, e di milioni di ore di sfruttamento dell’uomo sull’uomo sono perfettamente razionali e funzionali per massimizzare la continuità dei rapporti di produzione capitalistici nelle proprie aree di influenza nel mondo. Una reazione a catena, su base concorrenziale, che è esacerbata oggi con lo scontro tra i due maggiori poli imperialisti globali e la continua minaccia di escalation atomica, un rischio che la classe dirigente capitalista non valuta sulla base di elementi moralistici ed etici ma, soltanto, quantificando quanto profitto individuale può essere prodotto a fronte delle perdite sociali che il capitale non sarà chiamato a ripagare.