Vita Politica Internazionale – Ventiseiesimo numero
In questo numero della nostra rassegna realizzata in collaborazione col Centro di Cultura e Documentazione Popolare (resistenze.org) apriamo con alcuni contributi sul conflitto che sta lacerando la Palestina. In particolare il contributo del Partito Comunista di Grecia (KKE) affronta alcuni argomenti chiave, come l’utilizzo della categoria del terrorismo e il rapporto tra la fase generale del capitalismo monopolistico, maturo per la transizione al socialismo, e la possibilità delle lotte di liberazione nazionale.
Fa seguito la dichiarazione di solidarietà al popolo palestinese delle gioventù comuniste di tutto il mondo, che chiede l’immediata fine del massacro di Gaza e dell’occupazione colonialista israeliana.
Di particolare rilevanza nella lotta quotidiana dei comunisti è la prospettiva strategica posta in analisi dal contributo del Partito Comunista di Turchia (TKP), che riflette sulla possibilità e attualità della rivoluzione socialista in Turchia e come il partito deve mettere in campo il proprio lavoro per rendere centrale la questione del potere operaio nella fase rivoluzionaria.
Si riprende in questo numero e si conclude la rassegna del materiale relativo al 23° Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai, con il contributo del Partito del Lavoro d’Austria (PdA) e le tre dichiarazioni finali sulla guerra in Ucraina, Palestina e Sudan. In chiusura, un aggiornamento a cura del Partito Comunista del Venezuela sulla situazione nel paese latinoamericano, che vede il rafforzarsi della repressione anti-operaia con ulteriori leader sindacali incarcerati. Buona lettura.
In questo articolo a cura del Dipartimento relazioni internazionali del Partito Comunista di Grecia (KKE) si affrontano alcune questioni politiche dirimenti che si stanno sviluppando a livello internazionale, sia nei media borghesi sia all’interno del dibattito di area, sul massacro in corso in Palestina. Si inizia dalla problematicizzazione della categoria del terrorismo, spesso utilizzata dall’imperialismo per giustificare aggressioni e politiche antipopolari. Successivamente, si affrontano le posizioni che vorrebbero ridurre Israele ad una “base degli USA”, facendo astrazione dalla complessità dei rapporti di classe esistente nei paesi: si sottolinea invece come questa guerra sia sostanzialmente combattuta anche contro il popolo israeliano. Un altro tema centrale è il rapporto tra la lotta di liberazione nazionale inserita però in una fase di transizione al socialismo come quella odierna: non solo la prima è possibile nonostante la fine della fase coloniale del capitalismo, ma è anche l’elemento aggregante in grado di mobilitare e raggruppare le forze operaie e popolari sulla causa del potere dei lavoratori.
Per finire, si affrontano le posizioni illusorie sul ruolo progressivo dei capitalismi emergenti (Russia, Cina, Iran…) nella questione palestinese, e anche la posizione speculare, ugualmente fuorviante, che ritira il sostegno alla giusta lotta del popolo palestinese riducendo il conflitto allo scontro inter-imperialistico, che pur esiste ma non esclude l’aspetto progressivo della lotta di emancipazione nazionale.
Anche le organizzazioni giovanili comuniste hanno preso posizione sulla questione palestinese, e in particolare sulla solidarietà alla giusta lotta del popolo della Palestina contro il massacro. Il numero consistente (ben quaranta sigle della gioventù comunista dall’Europa, Asia e Americhe) delle organizzazioni firmatarie testimonia come le avanguardie della gioventù studentesca e lavoratrice mondiale sentano vicino il dramma vissuto in questo momento a Gaza e in Palestina in generale.
I giovani comunisti hanno sottoscritto questa dichiarazione congiunta chiedendo la fine dell’aggressione israeliana, dell’ingiusta occupazione delle terre palestinesi. Si rivendica urgentemente il diritto del popolo palestinese di avere il proprio stato indipendente, lo smantellamento degli insediamenti illegali e il ritorno di tutti i prigionieri politici in questo momento nelle carceri israeliane: è chiaramente posto l’accento sul fatto che “l’origine della sofferenza del popolo palestinese e di tutti i popoli della regione” va ricercata “nell’occupazione della Palestina da parte di Israele, sostenuta dall’imperialismo USA-NATO”.
Questo articolo a firma del Segretario Generale del Partito Comunista di Turchia (TKP) è stato presentato ai partecipanti del 23° Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai (ne abbiamo parlato nello scorso numero di Vita Politica Internazionale).
Il compagno Kemal Okuyan descrive una domanda che viene spesso posta ai comunisti in Turchia, familiare ai comunisti di tutto il mondo, ovvero se si crede realmente alla possibilità di una rivoluzione socialista nel proprio paese. Nel formulare la sua risposta affermativa, ci si sofferma dapprima sulle condizioni materiali, descrivendo una Turchia pienamente entrata a far parte delle potenze globali con un capitalismo completamente maturo, quindi dal punto di vista oggettivo dotata delle basi per la transizione socialista.
Inoltre, si descrive la situazione di forte instabilità in potenziale della Turchia, con multiple linee di faglia economiche, politiche e sociali non riducibili esclusivamente alla questione religiosa. Il focus si sposta sui compiti dei comunisti in questa situazione non-rivoluzionaria, e si indica l’obiettivo di organizzarsi e radicarsi nella classe operaia facendo attenzione a non trasformare questo radicamento in un attaccamento allo status quo. Si affronta il dibattito sulla necessità della conquista della sovranità o democrazia come tappe intermedie fuorvianti, ribadendo la necessità della rivoluzione socialista.
Il contributo del Partito del Lavoro d’Austria (PdA) al 23° Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai si apre con la riflessione sulle dinamiche dell’intensificazione delle contraddizioni interne al capitalismo: in particolare si ricorda la vicenda del discorso di Zelenskyj al parlamento in marzo, e di come anche la socialdemocrazia è parte fondante della gestione borghese e guerrafondaia del potere. Si dà conto del rafforzamento del coinvolgimento austriaco nella NATO, con esercitazioni congiunte del personale militare e la partecipazione ai programmi di riarmo, nonostante la tradizione di neutralità del paese nei confronti delle dispute internazionali. Sul fronte interno l’inflazione (attribuita dai media borghesi all’eccessivo aumento dei salari…) è arrivata fino al 9.5% sui generi di prima necessità, impattando sui lavoratori e le fasce popolari in modo sproporzionato, a fronte di una difficoltà di imbastire una lotta per il miglioramento delle loro condizioni di vita a causa della politica concertativa dei sindacati austriaci. L’intervento dei compagni austriaci si conclude con una considerazione sulla necessità di rendere protagonista la classe operaia nella lotta per i propri interessi, educata e organizzata dal partito comunista: la lotta contro “l’ideologia e la propaganda borghese” va di pari passo alla lotta quotidiana “per i diritti sociali e politici della classe operaia, dei giovani, delle donne e degli intellettuali.”
Tre importanti risoluzioni chiudono l’approfondimento sul 23° Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai, e si concentrano su tre tra i più sanguinosi conflitti degli ultimi tempi.
Per quanto riguarda l’Ucraina, si sottolinea come il carattere della guerra in corso sia di tipo imperialista: all’origine c’è il rovesciamento del socialismo in Unione Sovietica, che ha posto la fine alla prosperità dei popoli ucraino e russo, che insieme hanno sconfitto il fascismo e costruito la nuova società socialista per molti decenni. L’impegno necessario contro questa guerra impone di lottare contro “il disorientamento dei popoli”, a causa della propaganda anticomunista da ambo le parti, e delle illusioni (la parola d’ordine del “mondo multipolare”) sul sostegno ai grandi monopoli e alle borghesie nazionali di una delle due parti.
All’interno della prima dichiarazione si menziona anche l’eroica resistenza del popolo di Cuba contro il criminale blocco economico, la solidarietà con i popoli nelle regioni contese (come Cipro e il Sahara occidentale) che vivono sulle proprie teste l’intensificarsi dello scontro politico, economico e militare globale.
La seconda dichiarazione è in solidarietà al popolo palestinese, e condanna duramente l’offensiva militare israeliana nella Striscia di Gaza, chiedendo un rafforzamento delle manifestazioni che in questo periodo affollano le piazze di tutto il mondo. In particolare si identifica nell’occupazione israeliana della Palestina, sostenuta dall’imperialismo USA-NATO, la causa della violenza e il fattore di rischio per lo scivolamento verso il vortice della guerra generalizzata.
Ultima ma non meno importante la dichiarazione di solidarietà al popolo del Sudan, e in particolare al Partito Comunista Sudanese. Il Sudan è coinvolto in una guerra che ha fatto già 9000 morti e che si sviluppa principalmente come proxy war “alimentata dalle potenze imperialiste e dai loro alleati reazionari nella regione” per perseguire il controllo e il saccheggio delle risorse naturali e le ricchezze del paese africano.
Riportiamo un aggiornamento sulla difficile vicenda del popolo venezuelano, alle prese da un lato con l’aggressione economica e politica da parte dell’imperialismo USA, e dall’altro con l’intensificarsi delle misure antipopolari da parte del governo di Nicolás Maduro e del PSUV: a questo link è disponibile un nostro approfondimento.
In questo comunicato si dà conto della partecipazione del Partito Comunista del Venezuela (PCV) alla campagna nazionale Natale senza lavoratori in prigione, iniziativa promossa dal Comitato dei famigliari e degli amici dei lavoratori ingiustamente imprigionati. In particolare si raccontano le vicende di Leonardo Azócar e Daniel Romero, sindacalisti che sono stati recentemente rinchiusi in carcere a causa del loro impegno nell’organizzazione delle proteste nell’industria siderurgica. I lavoratori incarcerati “sono stati usati come capro espiatorio per i veri corrotti, che hanno saccheggiato e saccheggiano le industrie chiave del nostro Paese”, hanno dichiarato i compagni venezuelani.
In conclusione si dà anche conto della vicenda della regione dell’Essequibo, amministrato dalla Guyana ma rivendicato dal governo di Caracas che ha proposto un referendum per l’inizio di dicembre volto a stabilire l’opinione dei cittadini in merito al controllo della regione. Questa preoccupante escalation di tensione viene posta in relazione, da parte del PCV, anche agli interessi di “Chevron, ExxonMobil, Shell e altre corporazioni transnazionali” che “hanno messo gli occhi sulle risorse naturali che si trovano nel nostro paese e nelle zone contese”.