Dopo la caduta di Assad – Occorre costruire una vera linea di resistenza
Pubblichiamo un contributo del Segretario Generale del Partito Comunista di Turchia (TKP) Kemal Okuyan sulla situazione in Siria, la tragedia che si trovano ad affrontare le masse popolari, ma soprattutto sulla necessità per i comunisti di rovesciare il tavolo dei falsi dualismi, delle pressioni ideologiche tutte interne al sistema capitalistico, che vorrebbero far schierare i proletari sull’asse del “sostegno alla democrazia” oppure, dall’altro lato, su quello di un “anti-imperialismo” di facciata. Buona lettura.
Discutere se la situazione in Siria può essere descritta come una guerra civile o come un intervento militare straniero è un’impresa inutile: il Paese è stato una zona di conflitto in cui è del tutto ambiguo chi sia “interno” e chi “straniero”. È ovviamente difficile, in queste circostanze, determinare quale sia la forza trainante degli ultimi sviluppi che alla fine hanno innescato la caduta di Assad. È chiaro, tuttavia, che la propaganda secondo la quale “il popolo ha rovesciato un dittatore” da parte dei Paesi della NATO, in primis Stati Uniti e Regno Unito, e della Turchia (che è un membro della NATO ma agisce anche con ambizioni neo-ottomane) non è che una falsa retorica.
Il governo siriano è stato indebolito da interventi stranieri, da una guerra prolungata, da sanzioni economiche, da pratiche che non sono riuscite a unificare il popolo, dalla corruzione, da politiche economiche liberali, da conflitti tra Paesi che avrebbero dovuto essere alleati di Assad, che hanno imposto alla Siria solo politiche per i propri interessi. Tutto ciò ha causato la fine del governo, a prescindere dal fatto che che sia caduto o che sia stato fatto cadere. Tali cause di debolezza hanno reso inevitabile il crollo di fronte all’aggressione israeliana, agli interventi a viso aperto degli Stati Uniti, a quelli occulti del Regno Unito, alla presenza militare che la Turchia ha cercato di legittimare invocando il diritto di combattere il “separatismo curdo” e alla recente operazione condotta da tutte queste potenze in modo coordinato. È evidente che non è stato un movimento popolare da parte del popolo siriano a causare la caduta del regime di Assad. Le tracce lasciate dagli effetti di un’operazione internazionale sono presenti nel rapporto che c’è stato tra la giusta indignazione popolare contro il regime da un lato e, dall’altro, le forze che alla fine hanno rovesciato il governo. Sulla Siria si è abbattuta indubbiamente un’operazione imperialistica seguita da una pace imperialista: una pace imperialista non ha mai portato la pace da nessuna parte, e purtroppo lo stesso varrà per la Siria.
Da due mesi il Partito Comunista di Turchia avvertiva che in Siria avrebbero potuto scatenarsi conflitti imprevisti, sottolineando che fossero in corso i preparativi per un accordo tra Stati Uniti e Russia che avrebbe coinvolto l’Ucraina e la Siria o che si fossero diffuse voci in tal senso. Il Partito ha inoltre costantemente sottolineato che il periodo tra le elezioni statunitensi e l’insediamento di Trump è il momento più pericoloso. Non è una coincidenza che l’amministrazione Biden e la Gran Bretagna, che sono d’accordo sul fatto che la guerra in Ucraina debba continuare ancora per un po’, abbiano deciso di agire rapidamente in Siria.
Naturalmente, l’armamento e l’addestramento di Hayat Tahrir al-Sham (HTS) nella regione siriana di Idlib, lasciata sotto il controllo della Turchia in linea con l’accordo di Astana tra Russia, Iran e Turchia, non è iniziato solo di recente. L’HTS è elencato come “organizzazione terroristica” dalla Turchia e da molti altri Paesi, ma per anni questa organizzazione legata ad al-Qaeda ha rafforzato la sua presenza e i suoi preparativi nella regione. Sebbene si affermi che questa organizzazione, a differenza dell’Esercito Nazionale Siriano (SNA), non sia completamente sotto il controllo della Turchia, è ovvio che il sostegno a questa organizzazione è fornito dal coordinamento di Stati Uniti, Gran Bretagna, Israele e Turchia.
Nello stesso giorno in cui l’amministrazione Biden, insieme a Gran Bretagna e Israele, ha deciso di fare una mossa per un cambio di potere in Siria, il governo del presidente Erdoğan ha iniziato a sostenere che “Israele ci sta minacciando dopo il Libano e la Siria” e il leader ultranazionalista del MHP ha scioccamente deciso di chiedere un “dialogo con Öcalan” (leader imprigionato del PKK) e ha dichiarato che “è necessario rafforzare il fronte interno”. Era impensabile che il governo dell’AKP, che da anni sta rafforzando la sua presenza militare, politica ed economica in Siria in una prospettiva neo-ottomana, rimanesse fuori da questo piano.
Non bisogna dimenticare che viviamo in una congiuntura internazionale in cui coloro che agiscono di concerto sono anche in competizione e persino in conflitto tra loro. Una confusione che si vede chiaramente nelle relazioni della Turchia con l’Iran e con Israele: la classe dominante turca collabora con entrambi contro il terzo.
L’Iran, non disposto ad affrontare gli Stati Uniti e Israele in una guerra aperta, e la Russia, in attesa di Trump, sono stati colti di sorpresa da questa mossa. In pochissimo tempo, la leva siriana che la Russia avrebbe potuto mettere sul tavolo dei negoziati sull’Ucraina gli è stata portata via. Al contrario, la Russia è attualmente alla ricerca di modi per proteggere le sue basi in Siria: questo risultato spiega l’entusiasmo dell’Ucraina per il coinvolgimento nell’operazione a Damasco.
Il governo Erdoğan o troverà un accordo con la regione curda in Siria e guadagnerà peso economico e politico, come ha fatto con la regione curda in Iraq sotto Barzani, o continuerà le operazioni militari contro la presenza armata curda. Ci troviamo di fronte a una strana situazione in cui entrambe le opzioni vanno a vantaggio degli Stati Uniti e di Israele. La possibilità che la Turchia riconosca il Rojava, sostenuto da anni dagli Stati Uniti e più recentemente da Israele, e che si stia muovendo per risolvere la propria questione curda all’interno del contesto preferito dagli Stati Uniti, non può che essere una sintesi del Progetto del Grande Medio Oriente con una prospettiva neo-ottomanista. Se invece la Turchia cercasse di attaccare ed eliminare, per mezzo dell’Esercito Nazionale Siriano, la regione curda in Siria, che ora è più o meno stabilizzata e, contrariamente all’immagine data dai jihadisti, ha un carattere moderno e laico, si rafforzerebbe la possibilità che la Turchia diventi il nuovo teatro dell’intervento regionale dell’imperialismo statunitense. Negli ultimi mesi, infatti, molti leader del PKK hanno detto allo Stato turco “o state con noi e crescete o state contro di noi e vi riducete”.
In questa complessa congiuntura, in cui tutti i Paesi capitalisti partecipano alla lotta per la spartizione imperialistica stringendo alleanze altamente volatili, solo una prospettiva di classe ha la possibilità di disperdere l’inquinamento creato da organizzazioni di intelligence, accordi occulti e palesi. All’indomani del rovesciamento di Assad, dobbiamo guardare al quadro generale piuttosto che alla gara propagandistica tra Tel Aviv e Ankara per rivendicare la “vittoria” o alla questione se Assad abbia fatto il doppio gioco con la Russia e l’Iran o se la Russia e l’Iran abbiano fatto il doppio gioco con Assad.
In Libano, che è un obiettivo aperto dell’aggressione israeliana, potrebbero verificarsi molto presto rapidi sviluppi. L’Iran potrebbe trasformarsi in un importante terreno di scontro, e potrebbe diventare ancora più fragile grazie alle mobilitazioni innescate nelle regioni azere e curde, trovandosi di fronte a seri problemi con l’Azerbaigian, stretto alleato di Israele, e con la Turchia, nemica e alleata di Israele, o affrontare un attacco diretto di Stati Uniti e Israele. Possiamo anche citare il nostro Paese, la Turchia, dove un’enorme energia si accumula in profonde linee di faglia.
I comunisti hanno grandi lezioni da imparare da tutto questo.
Innanzitutto, come sottolineiamo da anni, rimanere bloccati tra una posizione “antimperialista” e una posizione “pro-democrazia” costituisce una grande trappola per il movimento comunista di tutto il mondo. In passato, durante l’invasione dell’Iraq, i compiti “democratici” e la posizione contro l’imperialismo sono stati contrapposti e si è cercato di legittimare l’intervento e l’occupazione imperialista in nome della liberazione dell’Iraq dalla dittatura di Saddam e del diritto all’autodeterminazione delle nazioni.
Allo stesso modo, sostenere il nemico del popolo, il governo dei mullah in Iran, a causa della sua cosiddetta posizione “antimperialista” e giustificare gli interventi dei Paesi imperialisti in nome della democratizzazione e della liberazione dell’Iran sono due facce diverse della stessa deviazione: la perdita della prospettiva di classe e il pensare entro i limiti del dominio della borghesia.
Lo stesso problema esiste in Siria. Da un certo punto di vista, i siriani sono stati liberati con la caduta di Assad. Secondo un altro punto di vista, la fortezza siriana dell’antimperialismo è caduta. Tuttavia, entrambi sono sbagliati.
In Turchia stiamo affrontando lo stesso problema da anni. Del governo di Erdoğan si è detto il tutto e il contrario di tutto: solo il TKP sostiene la stessa posizione da 22 anni sull’AKP!
In un primo momento è stato detto che Erdoğan dovrebbe essere sostenuto in nome della democrazia: il TKP si è opposto. Poi è stato detto che tutti dovrebbero unirsi contro Erdoğan per combattere per la democrazia: il TKP si è opposto di nuovo. Quando è stato detto che l’AKP era filoamericano, non ci siamo opposti, ma abbiamo chiesto di non dimenticare che anche il capitalismo turco ha i suoi piani autonomi. Poi c’è stato chi ha presentato una petizione alla NATO lamentandosi di Erdoğan in nome della “democrazia e della libertà”. Allo stesso tempo, alcuni hanno scoperto che il governo dell’AKP era “anti-imperialista”.
Naturalmente, non pensiamo che tutte queste fandonie siano frutto di “buone intenzioni”. Tuttavia, possiamo solo adottare un approccio amichevole a questi errori, che a volte si verificano anche nelle file del movimento comunista, e offrire alcuni avvertimenti dal nostro punto di vista.
In primo luogo, l’idea errata che l’equilibrio delle potenze consenta una strategia solo all’interno dei confini del sistema imperialista, che il movimento operaio si limiti o al paradigma della democratizzazione e della libertà, o a un’opposizione inconsistente e mercanteggiante agli Stati Uniti, lucidata dalla retorica dell’antimperialismo, a causa dell’inefficacia del movimento operaio nell’arena internazionale, deve essere completamente abbandonata dopo tutte queste grandi tragedie.
L’epoca delle rivoluzioni borghesi è finita da tempo. Il movimento operaio, e per di più i comunisti, stanno effettivamente attraversando un periodo di debolezza in tutto il mondo, ma finché agiamo sulla base di quello che possiamo chiamare “wishful thinking” (pensiero velleitario) riguardo alle fazioni all’interno del mondo imperialista, non faremo altro che sanguinare di più.
Ci sono trappole che vengono costantemente tese al movimento comunista.
In quasi tutti i Paesi, coloro che sfidano il potere politico sono accusati di essere agenti stranieri. È così negli Stati Uniti, è così in Iran, è così in Kazakistan, in Georgia, in Turchia, in Russia… La cosa interessante è che gli agenti ci sono davvero e il loro numero è in crescita. L’incapacità dei comunisti di sviluppare una posizione politica indipendente e l’essere bloccati in alleanze intrasistemiche rischiano che questa macchia si diffonda anche nel movimento comunista.
Per fare un esempio: i soldati statunitensi stanno addestrando ed equipaggiando i guerriglieri del PYD nella regione del Rojava in Siria. Se è vero che anni di aggressioni contro il popolo curdo in diversi Paesi lo hanno spinto verso il patrocinio di Stati Uniti e Israele, può questa cooperazione aperta e sistematica essere legittimata nei ranghi rivoluzionari? Il collaborazionismo statunitense e israeliano è stato per decenni la linea di demarcazione per i comunisti, c’è qualche motivo che giustifichi il cedere su questo principio? No. Ma il paradigma libertario è abbagliante e c’è chi lo tollera in nome del “progressismo”. Di fronte a ciò, il governo dell’AKP aumenta la sua aggressività definendo i guerriglieri del PYD “americanisti e israelisti”. Un Paese membro della NATO può accusare altri di essere filoamericani!
Questa è confusione: è necessario uscire da questa confusione e prendere una posizione chiara. Né la democratizzazione, né la soluzione della questione nazionale, né l’antimperialismo possono essere affrontati in un quadro di pensiero borghese. Anche se il movimento operaio si trova al punto zero per quanto riguarda l’equilibrio delle forze, a meno che non agisca con una strategia indipendente e si escluda dagli equilibri intrasistemici, inciamperà tra democratizzazione e posizione antimperialista e ne rimarrà intrappolato in questa divisione, indipendentemente dalla scelta che farà.
L’elenco degli esempi si allunga. Non dimentichiamo che in Jugoslavia una delle più vaste operazioni imperialiste della storia è stata difesa sulla base della libertà-democrazia, del diritto all’autodeterminazione delle nazioni, quasi in modo simile alla Prima Guerra Mondiale. Era difficile ma possibile opporsi a questa operazione e sviluppare una posizione operaia indipendente senza sostenere la linea nazionalista borghese rappresentata da Milosevic. Ed era l’unica opzione.
Poi il numero di esempi è aumentato ulteriormente. Non era obbligatorio scegliere tra le sole opzioni di una dittatura guidata da Saddam e un’invasione statunitense. Naturalmente, ciò che viene proposto non è equidistanza, è possibile sviluppare una posizione indipendente sottolineando i compiti prioritari del momento, per agire senza dimenticare alcuni principi fondamentali. Dal dilemma Biden-Trump, Harris-Trump alla Siria, dal Brasile alla Russia di Putin, dall’Iran a Erdoğan, il movimento internazionale rischia costantemente di rimanere intrappolato tra due opzioni interne al sistema stesso.
La tragedia che le popolazioni povere stanno subendo in Siria da decenni è ora entrata in una nuova fase con conseguenze molto critiche e gravi. Dovremmo rimanere ottimisti, ma il dato di fatto è che la Siria è entrata in una fase molto, molto buia.
Come ho detto, dobbiamo imparare da queste lezioni. Poiché il TKP incontra costantemente tali dilemmi, poiché lotta in una regione che produce costantemente tali dilemmi, il Partito cerca di determinare la propria posizione preservando i propri principi fondamentali e non essendo vincolato da modelli. Uno di questi principi fondamentali è quello di prendere una posizione chiara e inequivocabile contro tutti gli interventi diretti o indiretti, i tentativi di “rivoluzione colorata” e le occupazioni da parte dei Paesi imperialisti. Tuttavia, questo principio ha senso solo se accompagnato dal principio di non schierarsi con alcun governo borghese e di non partecipare ai governi dei capitalisti. In tempi in cui questi due principi sembrano in contraddizione tra loro, il modo per superare le difficoltà e sviluppare un atteggiamento indipendente è quello di collocare sia la lotta per la libertà che la lotta antimperialista sull’asse di classe, guadagnando terreno e avanzando.
Una posizione così indipendente e rivoluzionaria non può essere esercitata durante una crisi se non ci si è preparati bene e non si sono costruiti i canali politici e sociali necessari per una simile posizione durante i “periodi stabili”. Se non avete un’uscita di emergenza, un equipaggiamento e un piano, l’unica cosa che potete fare in caso di incendio è saltare sul lenzuolo che è aperto in quel momento e che vi aspetta, nelle mani di altri attori.
Sì, dobbiamo preparare il terreno per una posizione politica indipendente e creare una nuova linea di resistenza che possa essere facilmente trasformata in una base per l’offesa. Altrimenti, domani saremo costretti a sostenere nuove operazioni contro i jihadisti in Siria, che hanno già iniziato a commettere massacri, che saranno lanciate da Israele e dagli Stati Uniti con il pretesto di ripulire la Siria dagli estremisti islamici.
Resistenza, successo e vittoria ai comunisti di Palestina, Libano, Siria, Iran e del mondo intero!