In queste settimane, soprattutto a seguito della morte del diciannovenne Ramy Elgaml a Milano, i temi della repressione e della “sicurezza” nel nostro paese sono tornati con forza nel dibattito pubblico: da una parte per bocca dei tanti che si sono espressi contro la violenza arbitraria da parte delle forze dell’ordine a seguito di quello che è apparso ai più come un omicidio del tutto non necessario; dall’altra attraverso la propaganda del governo Meloni, rilanciata quotidianamente da media, talk show e in parte ripresa dai partiti di opposizione parlamentare, secondo la quale andrebbero rafforzate le misure repressive, di protezione degli agenti di polizia e di controllo sociale al fine di garantire la sicurezza.
Mentre i politici della maggioranza parlano pretestuosamente di una presunta “emergenza sicurezza” e di “quadro apocalittico”1, utilizzano la retorica securitaria e la propaganda per proporre leggi che rafforzano l’impianto repressivo.
Nel presente articolo si intende analizzare alcune tra le più recenti proposte elaborate dalla maggioranza di centro-destra, svelando gli interessi che esse celano e inquadrandole nella politica più generale del governo Meloni.
Il DDL Sicurezza come salto qualitativo nella repressione
Il principale provvedimento promosso dal governo Meloni sul tema della repressione è senza dubbio il DDL Sicurezza (ex DDL 1660). Il DDL è stato presentato il 22 gennaio 2024 e approvato a larga maggioranza dalla Camera dei Deputati il 18 settembre2. Trasmesso quindi al Senato, è attualmente in fase di esame. Questo mira essenzialmente a reprimere e a colpire le lotte sociali, sindacali e politiche, attaccando il diritto di sciopero e più in generale ogni forma di dissenso alle politiche padronali promosse dai governi. Alcuni elementi del DDL puntano a caricare sulle spalle dei proletari immigrati ulteriori discriminazioni, mentre invece le altre misure all’interno del decreto mirano a nasconderne la reale natura antipopolare.
Un precedente articolo de L’Ordine Nuovo3 analizza in dettaglio alcune delle principali novità introdotte dal DDL, sulle quali non ci si soffermerà ulteriormente in questa sede. Vale tuttavia la pena citare alcuni degli elementi maggiormente critici per le lotte e le condizioni di vita degli strati popolari: l’introduzione del reato di blocco stradale o ferroviario, che viene reso illecito penale mentre finora era solo amministrativo4; l’introduzione del reato di “occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui” con annessa definizione di una procedura d’urgenza per sgomberare l’immobile dall’occupante5; l’inasprimento delle pene per il reato di danneggiamento in occasione di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico6; l’introduzione del nuovo reato di “rivolta all’interno di un istituto penitenziario”, di fatto previsto anche per chi protesta nei centri di detenzione amministrativa come i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR)7.
Il DDL introduce inoltre il nuovo concetto di “terrorismo della parola”, un vero e proprio reato di opinione: viene colpito con una pena che va da due a sei anni chiunque detenga, o faccia circolare, in forma sia scritta che orale, testi ritenuti capaci di “sobillare” al compimento di atti o resistenze che coinvolgano uffici, istituzioni, servizi pubblici o di pubblica necessità. Questa misura costituisce una nuova versione del reato di propaganda sovversiva del codice fascista Rocco8.
Ulteriori misure colpiscono direttamente gli immigrati, particolarmente quelli irregolari. Per le persone extracomunitarie non sarà infatti più sufficiente il solo documento di identità per acquistare una SIM telefonica, ma servirà presentare anche il permesso di soggiorno. Ciò di fatto significherà la privazione di un telefono e l’impossibilità di comunicare per chiunque non sia in possesso di un permesso di soggiorno9, in aggiunta a introdurre ulteriore difficoltà a trovare un lavoro, esponendo gli immigrati a maggiore ricattabilità.
L’articolo 31 del DDL rafforza notevolmente i servizi segreti. In particolare, potenzia le attività sotto copertura dei servizi, consentendo agli agenti non solo di partecipare alle organizzazioni terroristico-eversive ma anche di dirigerle e guidarle. Ciò costituirebbe una vera e propria licenza criminale per gli esponenti degli apparati di sicurezza, in un paese in cui il ruolo dei servizi segreti in stragi, omicidi, attentati, depistaggi, dossieraggi, golpe tentati, progetti eversivi e altre fenomenologie criminali della stessa specie è stato persino processualmente accertato10.
Lo stesso articolo introduce l’obbligo, di fatto, anche per università ed enti di ricerca di collaborare con i servizi segreti, inclusa la possibilità di derogare alle normative sulla riservatezza. Secondo l’Associazione Italiana per la promozione della Scienza Aperta (AISA) ciò rappresenta «una grave violazione dei diritti costituzionali» portando un attacco diretto all’autonomia degli atenei11. Infatti, il DDL obbligherebbe le università a schedare ricercatori e studenti, trasformandone gli organismi in veri e propri strumenti di spionaggio12.
Infine, il DDL introduce una serie di norme che rafforzano le tutele per le forze dell’ordine, i cui membri potranno detenere armi private senza licenza, utilizzare bodycam sulle divise (provvedimento che diverse associazioni hanno definito ad esclusiva protezione degli agenti in assenza di codici identificativi che permettano ai cittadini di risalire a chi si trovano di fronte)13 e ottenere un’anticipazione fino a 10mila euro a copertura delle spese legali14.
Quelli analizzati fin qui, lungi dall’essere un elenco esauriente, sono solo alcuni degli aspetti giudiziari introdotti dal governo Meloni con il DDL Sicurezza. Ad ogni modo, il filo conduttore di ogni aspetto del disegno di legge è il perseguimento di una logica securitaria che colpisce i settori in lotta, i cittadini immigrati e le fasce sociali maggiormente marginalizzate, tralasciando politiche di integrazione e di prevenzione dei reati legati alla criminalità comune.
Il testo definitivo del DDL si avrà solo al termine del suo iter, con la tenue contrapposizione tra il Quirinale, che attraverso Sergio Mattarella propone modifiche al testo approvato alla Camera15, e governo16 e sindacati di polizia17 che premono per la sua approvazione immediata e senza troppe modifiche.
Si può però affermare in sintesi che il DDL Sicurezza introduce un salto qualitativo nella stretta repressiva, che colpirà in maniera sempre più forte lavoratori e strati popolari.
Dal gratuito patrocinio allo scudo penale per “dare mano libera” agli agenti
Tra la retorica promossa dal governo Meloni vi è quella che gli agenti delle forze dell’ordine non avrebbero ad oggi “mano libera” nell’intervenire per reprimere forme di dissenso sociale o di crimini comuni, e per questa ragione, come testimoniato dalla dichiarazioni di Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia, «serve garantire loro [alle forze dell’ordine, N.d.R.] di poter agire senza il terrore dell’intervento»18.
Proprio in quest’ottica, le diverse forze politiche che compongono la maggioranza di centro-destra stanno formulando alcune proposte volte a tutelare gli agenti anche in occasione di possibili abusi, eccessi e reati commessi.
La principale di queste è il cosiddetto “scudo penale”, seppur questa definizione giornalistica sia stata definita fuorviante dagli esponenti del governo. In particolare, con una norma di questo tipo, la maggioranza vorrebbe introdurre una tutela penale per gli agenti in servizio, in modo che si eviti per loro l’iscrizione automatica nel registro degli indagati con il cosiddetto “atto dovuto”19.
Infatti, ad oggi quando un agente delle forze dell’ordine è coinvolto in un’azione che potrebbe configurarsi come reato (ad esempio, l’uso eccessivo della forza) e viene presentata una denuncia o emerge una notizia di reato, il pubblico ministero (PM) è obbligato, per legge, ad iscrivere l’agente nel registro degli indagati. Ciò non significa che il PM ritenga l’agente colpevole, ma che è necessario aprire un’inchiesta per verificare se l’azione sia stata conforme alla legge o meno. In sintesi, l’atto dovuto è una garanzia procedurale, non un giudizio di merito, e serve a tutelare sia l’indagato sia la correttezza del procedimento giudiziario.
Gli agenti di polizia saranno così incentivati a utilizzare la forza e la violenza per reprimere espressioni di dissenso se c’è la convinzione di aver celato bene prove a proprio carico.
Pur risultando evidente anche ai non addetti ai lavori come, nell’impedire il ricorso all’atto dovuto, l’intenzione sia quella di garantire margini di impunità agli agenti, un’analisi giuridica estremamente critica di una norma di questo tipo è stata fornita persino dal costituzionalista Salvatore Curreri20:
«Una norma di questo tipo sembrerebbe un trattamento di favore, perché parte dal presupposto che le forze dell’ordine, soltanto perché esercitano la loro funzione e indossano una divisa, siano di per sé presuntivamente legittimate nelle loro azioni. Praticamente sarebbe una sorta di presunzione di liceità del loro comportamento, e in forza di questo verrebbe evitata per loro l’iscrizione nel registro degli indagati e verrebbe concesso loro il gratuito patrocinio. Queste forme di tutela certamente mettono in discussione il principio di uguaglianza, in mancanza di motivazioni, anche sulla base di dati statistici che possano giustificarle.»
Proprio il gratuito patrocinio per gli agenti coinvolti in procedimenti per azioni compiute in servizio è un’ulteriore proposta di legge arrivata dai partiti della maggioranza, in questo caso dalla Lega. Si tratta di un’iniziativa legislativa volta a garantire che gli agenti coinvolti in procedimenti legali per atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni possano beneficiare dell’assistenza legale a spese dello Stato, indipendentemente dal loro reddito21.
Si registra inoltre la promozione della petizione “Basta aggressioni contro le forze dell’ordine” da parte di Fratelli d’Italia che oltre a richiedere l’inasprimento delle pene per resistenza, violenza, minaccia e lesioni a pubblico ufficiale e la creazione del reato di rivolta in carcere, sostiene l’«implementazione degli strumenti di difesa e di tutela legale»22.
La retorica promossa dai partiti di governo, secondo la quale andrebbe rimosso qualunque vincolo (reale o costruito dalla propaganda) che possa ostacolare l’operato delle forze dell’ordine, non dev’essere sottovalutata, perché proprio Fratelli d’Italia arrivò nel marzo 2023 a proporre una legge per abrogare il reato di tortura23. La “pericolosità” di una propaganda di questo tipo è dunque evidente, laddove essa arriva a mettere sotto attacco persino conquiste, seppur parziali, sulle quali un passo indietro rappresenterebbe un grave attacco anche ai più basilari diritti della popolazione.
Il ricorso alle zone rosse
Nelle ultime settimane, il governo Meloni ha fatto ricorso all’istituzione in diverse grandi città italiane delle cosiddette “zone rosse”. Queste sono aree urbane specifiche in cui viene limitato l’accesso a individui ritenuti pericolosi o con precedenti penali, al fine di garantire maggiore sicurezza pubblica. Questa misura è stata promossa dal governo Meloni attraverso una direttiva del Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, inviata ai prefetti il 30 dicembre 2024 a seguito di un periodo di tre mesi di applicazione precedente nelle città di Bologna e Firenze24.
Le zone rosse non sono una novità assoluta del governo Meloni, ma un concetto che ha radici in misure già adottate in passato, in particolare durante grandi eventi o in contesti di emergenza, assimilabili al provvedimento del Daspo urbano. Tuttavia, il governo Meloni ha formalizzato e ampliato il loro utilizzo in modo sistematico.
Una nota prodotta dal Ministero dell’Interno a poco più di una settimana dall’istituzione di zone rosse a Milano e Napoli, sottolinea come i provvedimenti di allontanamento «riguardano individui con precedenti per droga, furto, rapina, reati contro la persona o il porto di armi, che nelle zone monitorate hanno assunto comportamenti aggressivi, minacciosi o molesti, rappresentando un pericolo concreto per la sicurezza pubblica»25.
La definizione di comportamenti “aggressivi, minacciosi o molesti” lascia un ampio margine di interpretazione da parte delle forze dell’ordine. Ciò potrebbe introdurre un elemento di arbitrarietà nell’applicazione della misura. Per lo stesso motivo, c’è la possibilità che i provvedimenti limitativi possano colpire chi partecipa a manifestazioni politiche, sindacali o in generale il dissenso sociale, specialmente se le autorità giudicano come “minacciosi” o “molesti” comportamenti che in realtà rientrano nell’esercizio di diritti quali quello di sciopero o la lotta di classe in generale.
Infine, va registrato come, poiché la norma si rivolge soprattutto contro chi ha precedenti penali (per esempio, reati legati alla droga o furti), c’è il rischio che persone appartenenti a determinate categorie sociali più vulnerabili possano essere maggiormente colpite, creando un effetto emarginatorio e discriminatorio, certificando l’esistenza di aree delle nostre città (verosimilmente afferenti ai quartieri centrali o semicentrali) in cui quei settori degli strati popolari a maggior rischio siano per legge espulsi. A questo si aggiunge il rischio di una vera e propria profilazione razziale, come testimoniato dal fatto che a Milano i “soggetti molesti” sono stati individuati dall’apposita ordinanza in «persone di giovane età e sovente di provenienza extracomunitaria (c.d. seconde generazioni)»26.
La stretta repressiva contro gli immigrati
In aggiunta ai provvedimenti già citati, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi sta lavorando a una stretta contro gli immigrati. Una direttiva su prefetti e questori allo studio del Viminale introdurrà nella valutazione del loro operato un peso particolare alla loro capacità di effettuare espulsioni e rimpatri. Il focus sulla narrazione dell’immigrazione “fuori controllo” è legato ai timori per una possibile escalation delle lotte ad opera proprio degli immigrati27.
Si punta inoltre a mettere gli uffici immigrazione alle dirette dipendenze del Dipartimento di pubblica sicurezza e potenziarli con l’assegnazione di circa 700 agenti di rinforzo. Per quanto riguarda i commissariati, il ministero vuole aumentare il numero di posti delle camere di sicurezza e dei reparti in modo tale che chi viene fermato in attesa di essere rimpatriato possa essere espulso più rapidamente, senza passare per il trasferimento all’interno dei CPR28.
I provvedimenti del Viminale inoltre, riguarderanno anche i rimpatri volontari assistiti dall’Italia, che il governo punta a incrementare, sulla base degli accordi con Tunisia e Libia29.
La stretta repressiva contro i cittadini stranieri, particolarmente quelli irregolari, non ha a che fare semplicemente con le concezioni xenofobe e razziste a cui gli esponenti di FdI e del centro-destra ricorrono, ma ha le sue radici nella natura di classe del governo: non è un caso infatti che alcuni settori produttivi che nel nostro paese vedono lotte più combattive e condizioni di lavoro peggiori sono caratterizzati da una forte presenza di lavoratori immigrati. I provvedimenti del governo puntano a rendere questi lavoratori ancora più ricattabili qualora decidessero di lottare per migliorare le proprie condizioni o strappare diritti. Ancora una volta la retorica razzista e le politiche filopadronali vanno di pari passo.
Conclusioni
Le misure sostenute dal governo Meloni riducono drasticamente i margini di “democrazia” borghese, colpendo in maniera dura il dissenso, rafforzando il controllo sociale e garantendo libertà di manovra a polizia e forze dell’ordine nel reprimere le lotte.
Se persino nel campo della politica borghese le misure come il DDL Sicurezza sono state oggetto di pesanti critiche e sospetto di incostituzionalità30, va però ricordato come l’incremento della stretta repressiva, con particolare riferimento al potenziamento delle forze di polizia e della loro opera di mantenimento dell’ordine pubblico, sia stato un elemento comune alle politiche di tutti i governi succedutisi negli anni recenti.
Partiti come il PD o il M5S non hanno alcuna legittimità a proclamarsi argine ai provvedimenti repressivi poiché, seppur non abbiano mai emanato leggi sulla sicurezza di entità pari a quelle odierne di FdI, hanno contribuito, quando al governo, a perpetuare la progressiva tendenza securitaria, mai agendo in controtendenza rispetto alle politiche del centro-destra (proprio a PD e M5S risalgono infatti norme come il Decreto Renzi/Lupi, il Decreto Minniti o il Decreto Salvini, a cui il DDL Sicurezza va in continuità)31.
La retorica del centro-sinistra o di una serie di settori sociali che, in certi casi in buona fede, scendono in piazza contro il DDL Sicurezza o in generale contro le politiche del governo Meloni gridando al “fascismo” o al “regime” ignora il fatto che i governi borghesi adattano le proprie politiche alle particolari necessità del sistema capitalistico in un determinato periodo storico e in uno specifico paese, al fine del mantenimento del potere dei grandi monopoli.
Proprio per questo, la contingenza che ha portato alla formulazione di un inasprimento di tali politiche risiede non tanto nella, pur esistente, differente impostazione delle forze politiche borghesi nel gestire il disagio sociale, ridurre gli spazi di democrazia o negare i diritti di immigrati e fasce sociali disagiate, quanto nella differente fase storica che, in periodo di aumento e generalizzazione di guerre e conflitto interimperialistico, richiede ai governi borghesi strumenti maggiormente adatti a reprimere il possibile dissenso e impedire ogni ostacolo alla produzione.
Il contrasto alle politiche securitarie del governo Meloni non può prescindere da questa consapevolezza, nell’ottica di un’analisi di classe della società che non varia con la presenza al governo del paese di uno o l’altro schieramento padronale.